Il metodo per allevare al meglio le bovine da latte è racchiuso in una “dottrina” che taluni chiamano buone pratiche zootecniche. La “dottrina” è fatta di paradigmi, ossia concetti e modalità condivisi dagli scienziati, dai tecnici e dagli allevatori. Questi paradigmi ogni tanto diventano obsoleti perché la ricerca fa il suo corso e le esperienze empiriche di chi alleva gli animali e li assiste continuamente “aggiustano il tiro”.
Uno dei paradigmi più resilienti è quello che recita che un interparto ideale (IC) deve essere di un anno, ossia 365 gg, con una durata della lattazione di 305 giorni e un’asciutta di 60 gg, che è anch’essa un paradigma. In questo modo si mungono sempre bovine con pochi giorni di lattazione, ossia il più vicino possibile al picco produttivo.
Questa granitica certezza era assolutamente vera allora senza eccezioni, ma nel frattempo le bovine per molte ragioni sono cambiate. Innanzitutto, ora la massima produzione di latte, ossia il picco, della frisona italiana avviene mediamente tra gli 80 e i 90 gg, e non come tutti abbiamo studiato a scuola a 40-60 giorni dopo il parto. Si considera che la massima redditività economica di una bovina da latte si ottiene se l’interparto è di un anno perché ciò riduce i giorni medi di lattazione annuali anche sotto i 150 giorni. Per avere un interparto del genere bisogna avere le bovine gravide mediamente a 85 giorni di lattazione, e quindi bisogna ridurre il periodo volontario d’attesa (VWP) il più possibile ma sicuramente tra 40-60 giorni, periodo nel quale non tutte le bovine sono in grado di accogliere e gestire una nuova gravidanza.
Nonostante il progredire delle conoscenze e della genetica molti sono gli allevamenti che seguono ancora questo antico e solido paradigma utilizzando quasi sempre la TAI, ossia la fecondazione a tempo determinato, perché è difficile osservare un comportamento estrale naturale soprattutto negli allevamenti mal fatti e non ben gestiti.
E’ missione della scienza e della natura curiosa ed esploratrice dell’uomo mettere sotto stress i paradigmi e cercare di sostituirli con quelli più moderni, altrimenti saremmo ancora al paleolitico! Molti ricercatori e tecnici si stanno chiedendo quindi se sia più conveniente puntare invece ad un interparto decisamente più lungo per avere quelle che vengono chiamate lattazioni estese o prolungate (extended lactaction) anche conosciute con l’abbreviazione EXT. Sono molte le esperienze empiriche che stanno stimolando la voglia di sostituire il paradigma dell’interparto di 12 mesi con quello delle EXT.
Asciugare bovine di alto potenziale genetico allevate in allevamenti molto efficienti è sempre più complicato perché, specialmente se sono primipare, le produzioni sono molto elevate anche alla fine della lattazione, specialmente se si distribuisce a tutte le bovine in lattazione la medesima razione. Fare una messa in asciutta sbagliata vanifica le motivazioni sanitarie per cui si mette a riposo produttivo una bovina per 45-60 gg. La seconda motivazione è che la messa in asciutta e la fase di transizione sono i momenti più critici del ciclo produttivo della bovina da latte, e quindi richiedono un elevato impiego di ore di lavoro anche specializzata (medico veterinario) e di farmaci, e nelle prime settimane di lattazione è il momento nel quale vengono riformati più animali.
Una EXT ridurrebbe sensibilmente questa fase e quindi tutti questi inconvenienti, perché il numero di parti si riduce molto in azienda e con esso le fasi di transizione.
Il terzo motivo è quello che allungare di molto il VWP significa in pratica iniziare a fecondare bovine più in là con la lattazione e più lontane dal picco produttivo e dalla fase di bilancio energetico e amminoacidico negativo. Negli allevamenti dove non si pratica la TAI sistematica, si osserva che il tasso di concepimento si innalza di molto nelle fecondazioni più lontane dal parto.
Un quarto motivo è che scegliendo la EXT di tutte o parte delle bovine si riduce il numero di vitelli da gestire, e quindi il parco di manze e di vitelli maschi.
Le lattazioni estese o prolungate hanno comunque una serie di pro e contro, ed è un argomento dove la ricerca scientifica non si è ancora impegnata abbastanza e le opinioni sono controverse.
Allo stato attuale si considera standard una durata della lattazione di 305 giorni (STD) anche se di fatto, almeno per la frisona italiana, è probabilmente più lunga. Nella figura 1 viene riportata un’elaborazione della CRV sull’effettiva durata dell’interparto negli allevamento olandesi.
Le primipare sono in grado di produrre una quantità di latte uguale o maggiore rispetto alle pluripare per giorno di lattazione durante le EXT rispetto alle STD. Per la EXT si considera ideale una lunghezza di lattazione di 16 mesi per le primipare e di 10 mesi per pluripare. Si tratta in pratica di estendere l’interparto per le primipare a 18 mesi e per le pluripare a 12 considerando una durata complessiva dell’asciutta di 60 gg.
L’allungamento della lattazione può dare vantaggi ma deve essere accompagnato da altri fattori gestionali e nutrizionali. La persistenza di lattazione può essere accompagnata se si formulano razioni con questo obiettivo. Un parametro per approfondire i pro e i contro delle lattazioni estese è quello del rapporto tra produzione di latte (MY) e interparto (CI) espresso come MY/CI. Dagli studi fatti è stato osservato che un allungamento del periodo volontario d’attesa (VWP) ha comportato un MY/CI più basso per le pluripare e più alto per le primipare. Nelle pluripare la resa delle vacche con VWP > 200 gg è più bassa di quelle con un VWP più corto. Nelle primipare la resa a 150 gg di VWP è superiore a quella delle pluripare con VWP > 90gg. Il VWP influenza positivamente la persistenza della lattazione intesa come calo della produzione dai 100 gg di lattazione alla messa in asciutta. Le vacche con un VWP > 180 gg possono avere un BCS maggiore di 0.25 punti rispetto a quelle con un VWP di 40 o 120 gg
Conclusioni
Le ricerche disponibili sull’argomento sono ancora insufficienti per sostituire il paradigma dell’interparto ideale di 365 gg. La probabile necessità di abbandonare la TAI sistematica riservandola solo come strumento terapeutico per le bovine sub-fertili può essere una valida motivazione per approfondire le ricerche sulle lattazioni prolungate o estese.
I benefici ottenibili sono un miglioramento della fertilità naturale e la riduzione della prevalenza delle patologie della fase di transizione dovute anche alla riduzione del numero di parti durante il ciclo produttivo della bovina. Inoltre si avranno meno femmine e meno maschi a causa della riduzione del numero di parti per vita funzionale e meno necessità di manodopera specializzata per assistenza al parto, ai vitelli e alla messa in asciutta. Di contro, il rischio di ingrassamento delle bovine nell’ultimo terzo di lattazione potrebbe aumentare e i dati sulla produzione delle lattazioni successive sono ancora insufficienti. Allo stato attuale è consigliabile estendere la lattazione alle primipare e comunque adottare una strategia individuale.
Nella seconda parte di questa revisione narrativa Martino Cassandro, Gloria Manighetti e Maurizio Marusi di ANAFIBJ, e Alessandro Fantini di Ruminantia, porteranno dei dati storici relativi alla Frisona e alla Jersey italiana sull’effettiva durata dell’intervallo parto–concepimento e della lattazione.
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