Il 30 ottobre 2024 ho pubblicato su Ruminantia un articolo, o meglio una riflessione, dal titolo “ La medicina veterinaria sta perdendo un treno” sul futuro della professione del medico veterinario, e soprattutto di chi ha scelto la libera professione da esercitare con gli animali allevati per produrre cibo per l’uomo.
Sono tanti gli ostacoli e le insidie che accompagnano il futuro veterinario dal primo giorno di “scuola” in quelli che ora chiamano dipartimenti anziché facoltà, che hanno una didattica densa e indifferenziata che dà una buona preparazione di base ma che non aiuta nel post laurea ad essere quello che il mercato si aspetta da te e a realizzare il tuo sogno professionale.
Chi vuole fare il libero professionista, sia di food animal che di pet, deve avere la fortuna di incontrare un collega più anziano che gli insegni la professione, altrimenti è condannato ad una gavetta ad oltranza a meno che non sia un genio o solo molto fortunato.
L’attuale didattica delega a costo zero ai veterinari liberi professionisti il compito di “svezzare” i neo laureati alla realtà del mondo produttivo. Lo stesso succede, sempre a costo zero, quando lo Stato affida ai liberi professionisti servizi di sanità pubblica, anche molto delicati, per quella singolare logica che il controllato deve pagare il controllante.
Secondo il Vet Survey (Survey of the Veterinary Profession in Europe) 2023 realizzato dalla Federation of Veterinary of Europe (FVE), in Italia sono attivi 30.100 medici veterinari dei quali il 62% è indipendente o libero professionista ed un altro 9% esercita la professione in società di professionisti.
Questa moltitudine di sanitari si prende cura sia degli animai da reddito che d’affezione condividendo con i colleghi delle università, dell’industria e del SSN la cura degli animali e la salute delle persone.
Tante sono le criticità che si stanno addensando, ad una velocità spesso sottovalutata, a minacciare la libera professione, dovute per lo più alla bramosia della tecnica che vuole dare il colpo di grazia al mondo naturale per sostituirlo con un più controllabile, manipolabile e redditizio mondo artificiale.
Il pericolo rappresentato dai cibi ultraprocessati, da quelli sintetici e dai robopet è totalmente sottovalutato anche da chi dovrebbe tutelare il futuro della professione veterinaria che è inevitabilmente legata al futuro di ciò che è naturale e di ciò che è vivo.
I liberi professionisti sentono anche istintivamente che il futuro non sarà meglio del passato, ma pochi sono i momenti in cui ci siede a ragionare di questo nelle sedi preposte.
Si parla incessantemente della legislazione sanitaria, di argomenti specialistici della clinica e della chirurgia animale ma quasi mai di questioni che hanno a che fare con il futuro, utili anche ai decisori politici per fare il loro lavoro. La medicina veterinaria è sì un insieme di leggi e norme da rispettare, anche solo per evitare pesanti sanzioni pecuniarie e penali che incombono sui liberi professionisti, ma non può esaurirsi a questo, perché il futuro si sta delineando chiaramente e la saggezza dovrebbe suggerire di farsi rappresentare e guidare da chi ha una visione di medio e lungo periodo e l’età giusta per combattere.
I veterinari che si occupano a vario titolo di animali da compagnia, sempre secondo la FVE, sono circa 27.000 in Italia e assistono grosso modo 16.00.000 di animali da d’affezione. Il settore dei piccoli animali, dove cani e gatti la fanno da padrone, ha conosciuto una crescita esponenziale negli ultimi anni e, vista la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione, sembra avere uno sviluppo inarrestabile.
Un fatto relativamente nuovo che sta velocemente prendendo piede, è quello dei robopet. Ne avevamo avuto un assaggio con il Tamagotchi, un piccolo gioco elettronico portatile che simulava l’accudire qualcuno come un animaletto.
Questo gioco uscì in Giappone nel 1996, e poi nel mondo l’anno successivo, e ad oggi ne sono stati venduti ben 82.000.000 esemplari. E’ ancora acquistabile per una cifra modesta ma stanno avanzando, e a prezzi sempre più contenuti, degli automi che simulano animali da compagnia non tanto destinati ai bambini quanto agli anziani soli e a chi figli non ha per scelta o necessità.
Un robopet non provoca il dolore della morte perché può essere sostituito, non mangia e non beve, non sporca, non crea dipendenze morali e non chiede in cambio della sua devozione al padrone neppure una passeggiata per fare i bisogni.
La medicina veterinaria privata, ora divisa profondamente, come dei separati in casa, tra animali da reddito e animali da compagnia e sport, si dovrà organizzare contro il nemico comune del mondo artificiale che, da come stanno evolvendo le cose, sta incalzando il mondo naturale.
Cibo ultraprocessato, colture cellulari prodotte nei bioreattori, bevande vegetali che sembrano latte e robopet stanno prepotentemente invadendo il mercato con la promessa di soddisfare chi li sceglie senza chiedere nulla in cambio, oltre al compenso preteso dai giganti del cibo e della robotica.
In questo futuro distopico neppure troppo lontano anche il SSN avrà poca ragione di esistere, perché in un mondo artificiale poche saranno le malattie biologiche da prevenire e da curare.
Una medicina veterinaria visionaria che vuole pensare al futuro e gestirlo deve alzare lo sguardo e guardare lontano e, se non ci riesce, deve salire sulle spalle di giganti che hanno un orizzonte più ampio da scrutare.
Questo volare basso dell’attuale veterinaria e questo suo essere concentrata su come gestire legislativamente i problemi, comunque di breve periodo, è uno scenario inedito per la storia della nostra professione.
Check-list, cavilli legislativi e protocolli terapeutici e diagnostici servono solo a gestire, a volte male, il presente ma non sicuramente il futuro.
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