I numerosi lettori di Ruminantia sono ,oltre ad allevatori, veterinari e zootecnici che operano nell’ambito della libera professione, nell’industria e nel Servizio Sanitario Nazionale. Lavorando fianco a fianco con gli allevatori ci si accorge di come gli adempimenti burocratici e le diverse interpretazioni delle leggi stiano “ fiaccando” un settore d’interesse strategico per il nostro paese, come quello della produzione di latte. Alcuni numeri: il lattiero-caseario è il 1° comparto alimentare per fatturato ( 14.2 miliardi di Euro ) e rappresenta il 12% di tutto il food in Italia. Il 92% degli Italiani adulti consuma formaggi, l’85% beve latte e il 77% usa regolarmente il burro. A fine 2011 l’Italia ha esportato 282.000 tonnellate di formaggi con un incremento del 57% rispetto al 2001. Un settore con performance del genere vede di converso la chiusura di molti allevamenti anche se la produzione di latte italiana è stabile. Ma perché chiudono gli allevamenti nella prospettiva di una profonda ristrutturazione del regime quote latte in Europa nel 2015 e quindi della liberalizzazione della produzione e di un export con queste performance? A parte le ragioni legate ad una insufficiente redditività, quanti allevamenti chiudono per la burocrazia? Basta parlare con gli allevatori ed ascoltare “ storie di ordinaria follia” per capire molte cose. Si sa che le leggi vanno rispettate e che la qualità dei nostri controlli sulla filiera agro-alimentare ha dato un contributo sostanziale alla propensione agli acquisti degli italiani e all’export nel mondo. Il legislatore “scrive” le leggi dando sempre una discrezionalità a chi le deve rispettare e a chi deve controllare che vengano rispettate ma, a volte, questa “ discrezionalità” viene applicata nelle sue forme più irrazionali.
Da una stima un allevatore che ha dalle 100 alle 200 vacche in lattazione spende più di 2 ore al giorno per essere in regola con gli innumerevoli adempimenti burocratici sottraendo tempo prezioso all’allevamento e alla sua vita personale. Le storie da raccontare sarebbero tante ma citarne alcune può essere interessante. Un allevatore ha costruito la nuova stalla prevedendo, per il riposo degli animali, la lettiera permanente tipo “ compost barn” ossia i 18 m2 a capo. Ha fatto questa scelta per spendere il meno possibile, garantire il massimo del comfort (benessere animale), generare una quantità minima di liquame da smaltire sui campi (minimo impatto ambientale) e ridurre significativamente l’incidenza di gravi malattie invalidanti come le mastiti cliniche ambientali, le dermatiti e l’infertilità (longevità funzionale). E’ noto che questo tipo di lettiera, essendo interamente coperta, si asciuga per evaporazione essendo movimentata giornalmente. Nonostante tutto questo, il SSN gli ha irrazionalmente imposto la cementificazione, riducendo di fatto molti dei vantaggi derivanti dal “compost barn”. Che dire delle controsoffittature delle sale di mungitura, del divieto per alcuni allevamenti di stoccare alcune materie prime a terra che ridurrebbero di molto il costo dell’alimentazione. I trinciati sono a terra con il fronte, ovviamente aperto , il fieno è nei fienili mentre i concentrati devo essere messi in magazzini chiusi spesso irrealizzabili per vincoli urbanistici. Per non parlare della gestione della Blu Tongue, malattia che andrebbe meglio spiegata agli allevatori delle zone di restrizione, per accettare e condividere le perdite economiche che devono subire grazie alla restrizione nella movimentazione degli animali. A volte gli allevatori hanno la sensazione di essere un “fastidio” per le autorità competenti e che quasi desiderino la loro chiusura. Certo è brutto pensarla in questo modo ma i fatti portano spesso a questa conclusione .
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