Per equo s’intende quel prezzo del latte alla stalla che, inserito nella voce ricavi del conto economico, permette all’imprenditore/allevatore di avere un utile positivo e tipico per quel tipo di attività.
Ogni tipologia di attività economica ha un’aspettativa di utile che deriva da molteplici fattori ed è caratteristica per quella determinata attività. La tipicità deriva, o meglio, dovrebbe derivare, da estesi benchmark, nelle dimensioni e nel tempo, che, purtroppo, le produzioni primarie non fanno sistematicamente, almeno a memoria d’uomo.
Se si vuole intraprendere un’attività come quella del cardiochirurgo, del notaio, del ristoratore, del costruttore di automobili o dell’industriale del latte, si sa grosso modo che tipo di marginalità ci si può aspettare. Se i conti di un settore o di un’impresa non tornano, due sono le prime macro aree da esplorare: i costi e i ricavi.
Se i costi sono alti si agisce su di loro stressandoli in modo che essi non possano interferire a breve, medio e lungo termine sui ricavi. Si possono fare tagli sulle risorse umane, valutando quando si possa perdere in fatturato e qualità, oppure si possono ridurre le spese della ricerca e sviluppo o nell’innovazione tecnologica, valutando in prospettiva quando si potrebbe perdere in futuro in competitività verso le imprese concorrenti. Questo solo per fare degli esempi.
Dopo di che si passa ai ricavi. In questo caso il modo più evidente per intervenire è rivedere il posizionamento, ossia il prezzo di cessione delle proprie merci e dei propri servizi.
A tutti noi, ogni qualvolta ci rapportiamo con i notai, può sembrare spropositata la loro parcella ma dopo un “giro” di preventivi ci accorgiamo che le oscillazioni del prezzo di un determinato servizio sono simili, per cui ci sembra nomale quello che prima ci sembrava sproporzionato. Per la produzione primaria dell’agroalimentare, ed in particolare per il valore del latte alla stalla, sembra che non sia così perché è l’industria a decidere qual è il prezzo equo da corrispondere secondo un metodo ai più oscuro.
E’ notizia del 10 Novembre 2021 la firma da parte del Ministro Patuanelli del “Protocollo di una intesa di filiera per la salvaguardia degli allevamenti italiani“ (emergenza latte) tra Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza delle Cooperative Italiane, settore agroalimentare, Assolatte, Federdistribuzione, Ancd Conad, Ancc Coop, Ue Coop, Assalzoo, Agrocepi e Unione Coltivatori Italiani. Questo accordo garantisce, o meglio, dovrebbe farlo, un prezzo minimo base del latte alla stalla di 40-41 centesimi/litro. Tale aumento deriva principalmente dalla GDO e in quota minore dall’industria.
Questa intesa varrà fino al 31 Marzo 2022 momento in cui le stalle, notoriamente, entrano nel periodo di massima produzione annuale e, di conseguenza, il prezzo del latte tende a calare. Questo aumento di 3-4 centesimi di per sé è una buona notizia perché, per chi sta asfissiando, una boccata d’ossigeno, piccola o grande che sia, è una salvezza. Di fatto, però, quella che potrebbe sembrare una salvezza in realtà non lo è, perché anche questa volta lo Stato è intervenuto per “spegnere un incendio” non per varare un accordo metodologico tra le parti di breve, medio e lungo periodo.
Se gli allevatori da soli non riescono a imporre il concetto che il prezzo del latte lo fa chi vende e non chi compra, prezzo ovviamente che deve essere equo e plausibile sia per chi vende e sia per chi compra, lo Stato deve intervenire a loro supporto con le numerose strutture che finanzia e dovrà deciderà con chiarezza e senza farfugliamenti se questo è un tema da affrontare a livello centrale o a livello regionale anche se sarebbe piuttosto evidente che la dinamica dei costi e dei ricavi degli allevamenti è profondamente diversa da regione e regione e soprattutto da Nord a Sud.
Dai commenti che si leggono sui social network alla notizia sulla sigla del “protocollo d’intesa” o dalle discussioni che stanno imperversando sui gruppi WhatsApp degli allevatori, non traspare entusiasmo ma frustrazione e rabbia.
Questi 3-4 centesimi al litro che forse arriveranno agli allevatori sanno tanto di elemosina. Gli allevatori vogliono solo che gli sia riconosciuto il diritto ad un prezzo equo del latte alla stalla, che sia da loro determinato sulla base di criteri oggettivi e prevedibili nel medio periodo. Diritto che devono avere anche l’industria lattiero-casearia e la GDO, i cui bilanci sono pubblici e quindi visibili ed a disposizione di tutti.
Gli strumenti ci sono, e sono anche semplici da utilizzare, le strutture pubbliche e le competenze per gestirle anche, ma manca la volontà di fare quella che il buonsenso chiama “la cosa giusta”.
La politica dovrebbe ormai aver capito, ma francamente non credo, che la rete ha sconvolto le regole antiche con le quali si governa un popolo, ossia prima affamandolo e poi concedendo (bastone e carota) per addomesticarlo. Questa lenta e costante erosione della redditività delle produzioni primarie sta facendo covare una rabbia incontrollabile che rischia di travolgere anche chi fornisce agli allevatori beni e servizi, e di minare alla base il sacro concetto di democrazia.
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