Nelle stalle di piccole dimensioni, dove la manodopera è costosa ma soprattutto poco disponibile, i robot, [o meglio la mungitura automatica (AMS)] si stanno diffondendo molto rapidamente, e in tutto il mondo.

In questi ultimi decenni, la ricerca scientifica sulla nutrizione della bovina da latte ha fatto “passi da gigante” e l’applicazione che ha avuto nel mondo una diffusione “virale” è stata l’unifeed, universalmente conosciuta con l’acronimo TMR (Total Mixed Ration). Le aziende più piccole utilizzano una TMR unica per tutte le bovine in lattazione (scelta discutibile da un punto di vista tecnico ed economico, ma molto comoda e pratica) mentre quelle di grandi dimensioni preferiscono le TMR specifiche per gruppi.

Della TMR e dei fabbisogni nutritivi delle bovine da latte se ne sa molto, ma le conoscenze sulla coesistenza di un AMS con l’unifeed sono decisamente inferiori, almeno per il momento e fintanto che la comunità scientifica non lo individuerà come argomento attraente. In questo caso, non si usa il termine TMR ma PMR (Partial Mixed Ration) perché il carro unifeed somministrerà solo una parte della dieta giornaliera (e quindi dei concentrati) in quanto la restante parte verrà erogata dal robot di mungitura ed eventualmente da auto-alimentatori di soccorso (self-feeders).

In attesa del prevedibile afflusso di conoscenze scientifiche sulla tecnica AMS+PMR, l’esperienza professionale dei nutrizionisti può fare la differenza perché è ormai chiaro a tutti che la vera sfida della produzione del latte bovino negli ultimi anni, almeno in Europa, non è davvero l’inseguimento di medie produttive sempre più alte quanto quello della fertilità, salute e reddito, oltre agli aspetti etici.

Il passaggio dal TMR all’AMS+PMR è spesso traumatico, non tanto per le difficoltà tecniche che ciò comporta quanto per le opinioni molto contrastanti dei costruttori e dei concessionari dei robot di mungitura su come gestire le quantità e le concentrazioni nutritive della dieta somministrata dal robot e dal carro unifeed.

Prima di soccombere all’italica semplificazione delle “scuole di pensiero”, che sottintende sempre una non conoscenza, proviamo a capire se un ragionamento obiettivo, e che può portare tutti alla medesima conclusione, può essere condiviso. Per fare questo, basta chiedere alla vacca da latte la sua opinione in merito, o meglio, ricordarci cosa avviene in natura.

La “mission” di una bovina è quella di produrre il latte per alimentare il vitello, come del resto fanno tutti i mammiferi. E’ difficile pensare che la vacca sappia che il suo pregiato alimento servirà a produrre le mille forme del latte e a creare reddito all’allevatore. Fino alla nona settimana di vita, il vitello in natura verrebbe allattato dalle 8 alle 12 volte al giorno per pochi minuti (massimo 10), per poi scendere gradualmente a 4 pasti giornalieri fino allo svezzamento, che nello status selvaggio avviene oltre il 6° mese d’età. Già questo ci fa capire quanto poco “naturali” siano le due mungiture giornaliere rispetto alle quattro che buoni vitelli e buoni robot riescono a fare.

E’ noto, perché molto studiato, il comportamento alimentare della bovina da latte. Questa conoscenza ha portato alla scelta della TMR tra le varie tecniche d’alimentazione disponibili, ed ha condizionato la costruzione e la scelta delle dimensione delle mangiatoie, così come la gestione dell’acqua da bere. Questi animali in natura, in ambienti a basso stress (densità dei predatori) e in allevamenti ben costruiti e dimensionati, fanno fino a 11 pasti giornalieri di circa kg 2.2 di sostanza secca che nel caso della TMR durano mediamente poco meno di 30 minuti. Il resto del tempo lo trascorrono sdraiate (11-12 ore) a dormire, a ruminare e ad interagire con gli altri animali e, ovviamente, in mungitura. Un buon AMS+PMR, come avviene con la TMR, deve assecondare il comportamento naturale delle bovine e fornire tutti quei nutrienti di cui hanno bisogno soprattutto nei momenti più critici del ciclo produttivo, ovvelo le prime settimane di lattazione dove il bilancio energetico e proteico è per definizione negativo e il rischio d’acidosi ruminale in agguato.

E’ bene anche ricordare che la bovina conosce molto bene le malattie metaboliche, come curarle e gli alimenti di cattiva qualità e velenosi. Basti pensare che uno dei primi sintomi dell’acidosi ruminale sub-clinica è il rifiuto di mangiare concentrati anche molto appetibili. L’acidosi ruminale sub-clinica si verifica quando il rumine ha un pH < 5.60 per almeno 180 minuti al giorno. Questo non è necessariamente proporzionato alla concentrazione di amido della TMR o del mangime del robot, ma alla sua degradabilità complessiva e alla insufficiente quantità di proteina solubile e tamponi minerali.

Un aspetto relativamente nuovo del metabolismo delle bovine ad alto potenziale genetico (ormai quasi tutte), almeno per la razza frisona, è che nella bovina “fresca” e non gravida la produzione di latte non è proporzionale alla concentrazione della dieta, come avveniva in un recente passato. Più concentrati si danno, più latte si fa e viceversa. La dieta serve principalmente a restituire alla bovina i nutrienti che ha “investito” nel fare latte. Se la restituzione è adeguata, essa sarà in grado di crescere ancora se primipara, di ingravidarsi precocemente senza l’ausilio di ormoni e di avere un sistema immunitario efficiente. Questo concetto rende obsoleto l’antico  paradigma del “un chilogrammo di mangime ogni kg 3 di latte prodotto” e di fare una razione per la produzione di latte che si desidera avere.

Altra controversia esistente nel AMS+PMR riguarda la formulazione del mangime erogato dal robot, quanta debba essere la quantità concessa, sia giornaliera che per accesso, e quale debba essere la sua concentrazione nutritiva. In questo ambito sono agevolati gli allevatori del Parmigiano Reggiano che hanno una grande esperienza nella gestione degli auto-alimentatori spesso a più vie; una che somministra il mangime di base, che sommandosi al fieno a volontà in mangiatoia simula la  TMR, e quello della seconda via, più ricco e costoso, che “premia” le bovine più fresche, più produttive e in genere non ancora gravide.

La bovina va a “visitare” il robot per mangiare un buon mangime piuttosto che per farsi mungere. L’obiettivo primario dell’adozione dell’AMS non è fare “gare” a chi ha più mungiture ma aumentare la produzione e la salute delle bovine, migliorando contemporaneamente profitti e qualità della vita dell’allevatore.

L’identikit del mangime ideale da affidare al robot di mungitura non è univoco, come non lo è il TMR che è diverso da azienda ad azienda, e deve avere una concentrazione nutritiva e nutrienti che di solito si aggiungono alle bovine “fresche”, che oltre a fare il picco di lattazione si devono di nuovo ingravidare. Le ricerche sull’appetibilità dei concentrati sono abbastanza limitate, ma la tabella elaborata da Jack Rodenburg è piuttosto completa.

AltaMediaBassaMolto bassa
Trebbie di birraSoia f.e.Colza f.e.Semola glutinata
DistillersMaisLegumiGrassi
MelassoSoiaMinerali e vitamine
Polpe di bietolaOrzo
Farina di medicaCruscami

Secondo l’analisi fatta da Gregory Penner, Silvia Menajovsky e Keshia Paddick, dell’Università di Saskatchewan (Canada), nelle 530 stalle canadesi che hanno adottato i robot di mungitura, i costruttori di queste macchine hanno consigliato agli allevatori di somministrare da kg 1.8 a 7.7 di mangime da questo dispositivo.

Stabilire comunque una classifica degli alimenti più appetibili dalle bovine da latte è molto difficile perché i fattori in gioco sono molti, come lo sono del resto anche nella nutrizione umana. La preferenza verso gli alimenti amari, acidi, dolci, salati, umami dipende da animale ad animale e da azienda ad azienda . Tendenzialmente, gli animali preferiscono gli alimenti che fanno “scattare” più rapidamente il riflesso di sazietà perché molto energetici, ma se ad esempio l’odore e il sapore di un alimento vengono associati ad una patologia digestiva pregressa, esso non sarà gradito agli animali a cui ha fatto male. Il gradimento di un concentrato si valuta su animali come le bovine in asciutta e le manze, verificando se lo mangiano, se continuano a mangiarlo e in quanto tempo. Generalmente, un mangime pellettato viene ingerito ad una velocità che oscilla da 180 g a 400 g al minuto, per cui, in una durata media di una sessione di mungitura di 7 minuti, si può arrivare al massimo ad un’ingestione di 2.8 kg per pasto e quindi, teoricamente, si potrebbe arrivare a somministrare mediamente al giorno, se le mungiture fossero tre, fino a 9 kg di mangime, quantità altamente sconsigliata.

Piuttosto controverse sono le opinioni sul ruolo che hanno i dolcificanti e gli aromi utilizzabili nei mangimi del robot per attrarre le bovine ed accelerarne il consumo.

Sappiamo che le bovine di razza frisona di buon livello stanno nettamente aumentando la loro capacità d’ingestione, riuscendo a raggiungere in questa fase e in condizioni di neutralità termica quasi i trenta chili di sostanza secca. Ben sanno i nutrizionisti dei ruminanti che il calcolo esatto della capacità d’ingestione è l’aspetto più importante, perché tanti sono i fattori che la condizionano ed è pertanto molto diversa da stalla a stalla. Conoscere l’ingestione potenziale di sostanza secca per le primipare, le pluripare fresche e non gravide e le pluripare gravide è il primo step per calcolare il livello di sostanza secca sulla quale allestire la TMR. Il secondo step è quello di stabilire quanto mangime deve essere al massimo erogato al giorno e per mungitura dal robot, scalandone la quantità dal TMR. Le linee guida attualmente utilizzate stabiliscono che una bovina in lattazione può arrivare ad ingerire il 3.5% del suo peso corporeo in sostanza secca (ma superare da fresca il 4%), una quantità di NDF compresa tra l’1.2 e l’1.4 % del suo peso e una quantità di NDF indigeribile massima equivalente allo 0.4% del suo peso. Vale sempre la regola che per prevenire i rischi di acidosi ruminale è bene che la razione complessiva giornaliera TMR+AMS non scenda mai al di sotto del 21.5% di peNDF ossia di NDF ≥ 1.8 mm.