Gli allevatori e i suoi tecnici si trovano spesso a discutere dell’energia della razione o meglio degli apporti energetici alle vacche in lattazione. Se ne parla nel vederle dimagrire troppo nelle prime settimane di lattazione, quando si trovano troppe cisti e vacche vuote alle visite ginecologiche oppure , ma di questo se ne parla troppo poco, quando ingrassano a fine lattazione. I buiatri e gli allevatori più attenti hanno ormai intimamente compreso che, innalzare la quantità di alimenti energetici come il mais o i grassi dà pochi risultati e, a volte, crea problemi metabolici che aggravano quelle patologie riproduttive derivanti dal bilancio energetico negativo.

La vacca è un erbivoro ruminante che si è evoluto per utilizzare al meglio le essenze vegetali. La sua salute è tutelata, soprattutto quando è “fresca”, quando può ruminare almeno 450 minuti al giorno, fare 14 cicli ruminativi e, per ognuno di essi, 63 masticazioni ruminali al minuto. Questo gli consente un flusso salivare di oltre 150 litri di saliva e quindi un pH stabilmente dal 5.80 al 6.00. Questo è possibile quando la razione contiene una quota adeguata di fibra da foraggio e che questa abbia una adeguata granulometria. Troppo spesso per aumentare l’energia della razione , essendo la capacità d’ingestione comunque limitata, si sostituisce la fibra ( NDF ) con gli amidi. Questo comporta una riduzione della ruminazione , quindi della saliva prodotta, con un conseguente calo del pH ruminale e quindi verso l’acidosi ruminale. Durante questa malattia metabolica la vacca per “ automedicazione” ridurrà l’ingestione e nel rumine si accumuleranno le endotossine ( LPS). Nel rumine esistono molte specie batteriche gram-negative tra cui quelle che fermentano le cellulose, ovvero la fibra. Questi batteri non sopravvivono a pH troppo inferiori al 6.00 e dalla loro morte si liberano queste endotossine che altro non sono che parti della loro parete cellulare. Gli effetti delle endotossine sulla vacca da latte si vedono spesso come conseguenza della morte dei gram-negativi presenti nell’utero che s’infetta dopo il parto ( metrite puerperale) oppure nel corso delle mastiti ambientali da Escherichia coli e di tutti gli altri gram-negativi.

Quando queste endotossine passano dal rumine nel sangue innescano una serie d’importanti reazioni metaboliche. La vacca non sa da dove arrivino le endotossine per cui si comporta come se ci fosse un’ infezione da gram-negativi da qualche parte. Vengono richiamati i globuli bianchi specializzati come i neutrofili, reclutate le risorse nutritive per il sistema immunitario innato e sospese le funzioni metaboliche non prioritarie come la riproduzione. In pratica viene sospesa ogni attività riproduttiva con il blocco del GnRH, indotta l’insulino-resistenza per aumentare la glicemia e stimolata nel fegato la produzione delle proteine della fase acuta. In pratica quando s’ inseriscono troppi amidi oppure troppi concentrati, per aumentare l’energia della razione, si rischia di aumentare la produzione ruminale di endotossine e quindi aggravare ulteriormente la fertilità. Allora qual è la soluzione ? Quella fondamentale è fare foraggi di qualità consci della difficoltà di una corretta fienagione. Ricorrere il più possibile agli insilati, siano essi di mais che di cereali autunno-vernini, perché la loro digeribilità è sicuramente superiore al fieno. Nelle aree di produzione del Parmigiano Reggiano rivalutare il ruolo fondamentale degli essiccatoi aziendali il cui rapporto costi-beneficio è sicuramente favorevole.

Cercare di non utilizzare più di kg 15 di concentrati includendo in questa quantità anche le materie prime “fibrose”. Bisogna ricordarsi che la vacca da latte è un ruminante ossia un animale che utilizza gli aminoacidi per fare energia, per cui si deve stimolare, anche con gli opportuni additivi, la crescita della biomassa ruminale soprattutto quella che fermenta le fibre e utilizzare fonti proteiche a bassa degradazione ruminale ricche di aminoacidi glucogenetici. Limitare l’uso dei grassi utilizzando solo quelli inerti nel rumine per evitare interferenze con l’attività fermentativa. Infine leggere criticamente i dati sulla concentrazione energetica delle razioni.