Il COVID-19 come un fulmine a ciel sereno ha infettato oltre 8 milioni di persone in 180 paesi del mondo e più di 500.000 persone hanno perso la vita a causa di questa pandemia.

La disinformazione che ha accompagnato questo periodo nefasto ha sicuramente contribuito a rendere così elevato il numero delle vittime. Una corretta informazione anche sulle incertezze di questa pandemia avrebbe salvato molte vite umane e il rinunciare agli scoop giornalistici a tutti costi e all’improvvisa notorietà televisiva offerta ai tanti “esperti” interpellati avrebbe potuto modificare l’epidemiologia di questa malattia.

Sul rischio di pandemie, cambiamenti climatici o eventi catastrofici è da tempo che una parte degli scienziati ci sta avvertendo. Poche o nulle sono state le risposte dei leader politici mondiali che nelle democrazie reali sono contesi dalla “pancia” della gente, dalle lobby e dal fare i reali interessi del paese mentre nelle dittature, più o meno palesi, sono pesantemente condizionati dal loro ego smisurato e dall’incapacità di leggere i segnali che il futuro ci manda.

Per dare un presente e un futuro di libertà, salute e prosperità economica al nostro mondo ci vengono in aiuto la cultura umanistica e quella scientifica. La prima, se ben accudita e coccolata, permette alle popolazioni di non ricominciare sempre da capo. Infatti, come disse George Santayana, “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. La cultura scientifica, e quindi il metodo scientifico, è invece la sorgente del progresso medico e tecnologico e per come è organizzata ha, o meglio dovrebbe avere, gli anticorpi per essere libera, indipendente e di qualità.

I risultati della ricerca scientifica per essere davvero utili al progresso dell’umanità devono arrivare all’industria, alle professioni, ai media e poi alla gente. Per come è organizzata la comunità scientifica, i concetti che essa produce dovrebbero essere “robusti”, veri e ripetibili. Il modo attraverso il quale la comunità scientifica pubblica i risultati della ricerca e l’attuale struttura della didattica superiore dovrebbero offrire enormi garanzie.

I molti condizionali da me utilizzati nel paragrafo precedente sono dovuti al fatto che spesso ci sono deroghe a questi principi. La migliore comunità scientifica, ormai oppressa dagli indici bibliometrici necessari per fare una giusta carriera e per ottenere finanziamenti per le proprie ricerche, ha poco tempo per la divulgazione, e la continua riduzione dei fondi pubblici per la ricerca rende vulnerabile l’attività scientifica nei confronti degli interessi privati.

Durante il lockdown la gente è stata confinata forzatamente nell’ambiente domestico e molto dell’inedito e abbondante tempo a disposizione è stato trascorso davanti alla televisione o su internet. Giornalisti ed esperti si sono rincorsi nell’affermare tutto e il contrario di tutto per compiacere la pancia della gente e qualche politico in cerca d’interessi personali.

Molti di noi erano poi fermamente convinti che il dopo COVID-19 ci sarebbe stata una rifondazione dell’umanità, che ci avrebbe fatto ricordare come una vita slow, con profonde radici nei valori umani e nella tradizione, sia quello che rende felice l’uomo e come il precario e conflittuale rapporto dell’umanità con la natura possa riservare “spiacevoli” sorprese.

Sembrerebbe, ad oggi, che il periodo di distanziamento sociale non abbia lasciato nulla nella memoria collettiva e che l’umanità abbia ripreso appieno le abitudini e le regole di prima.

Il nostro mondo di produttori di cibo di origine animale, ma anche i consumatori, hanno un assoluto bisogno della scienza per progredire ma dobbiamo continuare a fidarci ciecamente di essa. Durante il tempo del coronavirus abbiamo fortemente dubitato del suo rigore, qualità e imparzialità e questo è molto pericoloso anche quando smettiamo di essere gente e diventiamo allevatori, professionisti ed istituzioni.

Noi del latte e della carne ci indignamo quando le inchieste giornalistiche sugli allevamenti intensivi fanno di ogni erba un fascio mettendo nello stesso tritacarne mediatico i buoni allevatori, rispettosi degli animali e dell’ambiente, con gli allevatori cialtroni e negligenti.

Ci auguriamo che la comunità scientifica, e perché no anche i giornalisti, facciano lo stesso nei confronti degli scienziati improvvisati e disonesti. Che si costruisca una gogna digitale per gli scienziati che tradiscono i valori e la mission della scienza.

Sia la gente comune che i settori produttivi hanno bisogno di riporre le loro speranze nella scienza ma essa ora ha il dovere di “battere un colpo” e dimostrare, anche se è complesso farlo, di essere al servizio della cultura e di null’altro.