Sono molte le motivazioni che spingono ad un impiego razionale dei farmaci in allevamento e quindi ad una diminuzione del loro utilizzo. La prima è sicuramente la necessità di ridurre l’impiego degli antimicrobici all’indispensabile per scongiurare il rischio del dilagare di ceppi batterici antibiotico-resistenti. Senza prendere provvedimenti si stima che nel 2050 ci saranno 10 milioni di decessi causati dall’antibiotico-resistenza rendendo quindi questo fenomeno la prima causa di morte per l’uomo. In particolare, i fluorochinoloni, le cefalosporine di terza e quarta generazione, i macrolidi e le polimixine sono le nostre ultime “armi” nei confronti dei ceppi batterici multi-resistenti, da impiegare quindi con oculatezza e solo se strettamente necessario. La seconda motivazione è che farmaci anche di natura diversa dagli antimicrobici, come gli ormoni e gli antinfiammatori, possono creare residui pericolosi per la salute umana sia nel latte che nella carne. Infine, la terza è che la medicalizzazione sistematica può essere una pratica d’emergenza qualora i fattori di rischio siano gravi ma non può davvero essere lo status quo anche, e soprattutto, considerando il punto di vista dei consumatori sempre più diffidenti nei confronti delle vigenti pratiche d’allevamento.
Per arrivare all’uso razionale dei farmaci c’è un percorso da seguire che prevede delle tappe obbligatorie.
La prima è che ogni malattia verso la quale deve essere prescritta una terapia deve prima essere ben diagnosticata dal veterinario. Ancora si osservano casi in cui le terapie nei confronti delle mastiti cliniche, della metrite puerperale, delle patologie neonatali o della dermatite digitale sono affrontate a tentativi o con pool di antibiotici direttamente da parte degli allevatori. Come è anche pratica diffusa quella dell’uso sistematico di cocktail ormonali per la gestione della fertilità delle bovine. La seconda tappa è quella di ridurre al minimo i fattori di rischio che facilitano la propagazione delle malattie, sia infettive che parassitarie, utilizzando i principi spesso elementari e per questo trascurati della bio-sicurezza e dell’igiene. Per il grande “blocco” delle malattie metaboliche ci sono ormai talmente tante conoscenze che non resta che applicarle integralmente. La terza tappa riguarda invece la genetica e prevede l’utilizzo di riproduttori che conferiscono alla discendenza una migliore fertilità e una maggiore salute.
Per dare delle risposte concrete su come razionalizzare l’uso dei farmaci in allevamento Ruminantia ha proposto il progetto della Stalla Etica, un percorso lungo e apparentemente complesso che si articola in scelte genetiche, nutrizionali, manageriali, ambientali e sanitarie chiare e precise.
Il rovescio della medaglia del bisogno di razionalizzare l’uso dei farmaci in allevamento è il rischio di non curare correttamente gli animali che si ammalano, contravvenendo di fatto ai più elementari principi del benessere animale. Per meglio chiarire questi concetti possono essere utili degli esempi. Gli ambiti dell’allevamento dove vengono maggiormente impiegati i farmaci sono la gestione delle malattie dei vitelli, della mastite (sia clinica che sub-clinica), le malattie podali e la fertilità. Interventi “drastici” sull’ambiente, inteso come pulizia e metri quadrati a disposizione, come interventi sull’igiene della vitellaia, della messa in asciutta, della fase di transizione e della lattazione, possono ridurre sensibilmente la necessità di molti farmaci. Se la bovina ha a disposizione spazi all’esterno, ampie superfici di riposo e fondi di stalla non sdrucciolevoli e se si ricorre ai sensori per la rilevazione dei calori, l’utilizzo di ormoni può essere ridotto solo all’indispensabile. La dermatite digitale è una malattia ubiquitaria e per certi versi incurabile. Se non si evita che i piedi delle bovine siano sempre umidi e imbrattati di feci è un illusione che biocidi come la formalina e il solfato di rame possano avere una reale efficacia, mentre rappresentano sicuramente un reale rischio per la salute umana e dell’ambiente.
Capitolo a parte è quello della mastite. Arrivare ad utilizzare antimicrobici alla messa in asciutta solo nelle bovine con mastite sub-clinica (terapia selettiva in asciutta) è relativamente semplice, a patto che si controllino le storie cliniche delle bovine, si conosca il livello e l’andamento delle cellule somatiche e si sia eseguito un esame batteriologico. Porsi l’obiettivo a breve termine di trattare solo il 50% delle bovine in allevamento può dare un contributo sostanziale per la riduzione dell’uso di antimicrobici.
Oggi le conoscenze sono tali e tante da rendere tutto ciò possibile e di facile esecuzione. Molte delle malattie dei vitelli si prevengono sia con l’igiene che, soprattutto, con un colostro di buona qualità e somministrato precocemente. Il controllo sistematico della sua qualità, l’avere a disposizione colostro artificiale, l’assicurarsi che i vitelli lo abbiano precocemente assunto e che le immunoglobuline si siano realmente trasferite da esso al vitello sono tutti fattori che permettono di ridurre consistentemente l’impiego dei farmaci e la mortalità neonatale.
Volendo fare un “mea culpa” di sistema possiamo condividere il fatto che sia gli allevatori che i professionisti che li assistono si sono adagiati sulla facile soluzione del farmaco utilizzabile anche in metafilassi e degli additivi “miracolosi”. Le ormai ineludibili scelte che la zootecnia deve rapidamente fare, anche alla luce del crollo dei consumi dei prodotti di origine animale, richiedono un cambio di mentalità degli allevatori ed una riqualificazione dell’offerta delle prestazioni professionali dei veterinari e degli zootecnici.
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