Per essere pienamente consapevoli della distanza “siderale” che c’è tra l’agricoltura e l’opinione pubblica basta guardare o ascoltare le previsioni del tempo di qualsiasi piattaforma. Quando il designato dell’aeronautica militare, l’avvenente annunciatrice televisiva o il commento scritto dei tanti siti meteo, descrivono un’Italia piena di sole utilizzano il termine “bel tempo”, mentre se sono previste piogge lo chiamano “cattivo tempo”. Questo non è un fenomeno di oggi. Anche il mitologico colonnello Edmondo Bernacca, che per quasi un trentennio ha informato gli italiani, tramite la RAI, sulle previsioni del tempo, ha sempre utilizzato l’espressione “bel tempo” per descrivere l’assenza di pioggia.

All’epoca aveva ragione, perché il surriscaldamento del pianeta ancora non era sotto i riflettori, e piogge e neve si susseguivano regolari. Dire che il pianeta si sta surriscaldando per colpa delle attività umane e che la piovosità ha un comportamento anomalo trova ormai “quasi” tutti concordi. I dati sono inequivocabili non solo per i valori assoluti registrati dalle centraline meteo ma soprattutto per la rapidità con cui ciò sta avvenendo.

La pandemia prima e la guerra dopo hanno tolto dalle priorità umane il controllo delle emissioni di gas climalteranti, obbligandoci a guardare solo al brevissimo periodo. Sarebbe però un errore gravissimo non mettere in cima alle urgenze la produzione primaria di cibo, ossia la zootecnia e l’agricoltura.

Ogni nazione dovrebbe ritenere d’interesse strategico il tendere il più possibile all’autosufficienza alimentare. Si possono avere bombe e missili in quantità, ma se non si hanno cibo e acqua è difficile difendersi da aggressioni esterne e pensare di sopravvivere a lungo. Il cambiamento climatico, inteso come temperature e precipitazioni anomale, ha un impatto negativo soprattutto sull’agricoltura e sulla zootecnia. La gente deve sapere, anche solo per ragioni puramente egoistiche, che se non piove e non si irriga non si possono coltivare quelle piante che sfamano, in regime di vera par condicio, animali, vegetariani, onnivori e vegani, con enormi difficoltà anche per la fauna e la flora selvatica. Le azioni di contrasto al surriscaldamento del pianeta sono necessariamente di lungo periodo ma se mai si parte mai si arriva, e lasciare un pianeta invivibile, tipico di ogni film di fantascienza distopica, alle future generazioni è quanto di più immorale si possa fare. Da considerare è anche il fatto che anche se si iniziasse subito a fare sul serio per ridurre i gas climalteranti, bisognerebbe comunque già adesso correre ai ripari.

Anche solo moralmente e per dare buon esempio e alcuni stimoli, potremmo iniziare a dire che è bel tempo quando piove regolarmente e senza fare danni, e a definire mal tempo quando il sole e la siccità non danno tregua. In questo i giornalisti e gli influencer posso fare molto. Poi bisogna organizzarsi per tempo per stoccare le acque meteoriche e superficiali che servono ad irrigare i campi, e costruire i pozzi dove non ci sono altre alternative. La scienza e la tecnica devono andare a braccetto nel selezionare piante che necessitino di meno acqua e modi di irrigare più intelligenti. Al contempo, la selezione genetica e la nutrizione dei ruminanti possono fare molto per avere animali sempre più efficienti da un punto di vista alimentare e meno impattanti.

Ruminantia dedica molte delle sue pagine a parlare di temi scottanti che devono essere affrontati con il consumatore come la macellazione, il benessere animale e la sostenibilità. Il dialogo serve anche ad evitare la ghettizzazione nella quale sembra inesorabilmente stia scivolando l’allevamento degli animali che producono cibo per l’uomo.

Parallelamente a ciò, anche l’agricoltura intesa come produzione primaria di alimenti vegetali sia per l’uomo che per gli animali non può esimersi dal dialogare con la gente, nella consapevolezza che la popolazione che vive nelle città è in continua crescita e che la perdita del rapporto con la campagna è ormai molto diffusa. Gli stereotipi con i quali vengono immaginati gli agricoltori, e quindi anche gli allevatori, sono in parte dovuti alla cinematografia e alle agenzie pubblicitarie, ma questa immagine deformata di un settore che rappresenta un asset strategico per qualsiasi paese nuoce a tutti. Il buon senso e la lungimiranza dovrebbero ufficializzare con leggi ad hoc il nuovo ruolo delle aziende agricole, fatto di erogazione di servizi agro-sistemici come la tutela del territorio assegnato, dell’inquinamento, della cultura locale e delle tradizioni. Un Paese come il nostro di appena 302.073 km2, con solo il 23.3% di questa superficie classificabile come pianura e 17.8 milioni di SAU, non può competere per il trofeo delle commodities con paesi anche europei a spiccata vocazione agricola e zootecnica. L’Italia, con un Piano Agricolo Nazionale, dovrebbe attribuire agli agricoltori e agli allevatori nuovi ruoli che siano funzionali a ciò di cui abbiamo prima parlato, e avviare un dialogo non ideologico ma argomentato con l’opinione pubblica.

Ci accorgeremo del cambiamento quando sentiremo esclamare dalle famiglie riunite a guardare le previsioni del tempo: “Meno male che domani piove!