Noi occidentali ci eravamo abituati a pensare che l’unica guerra possibile dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale potesse essere solo quella economica. Le multinazionali delle commodity, sia agricole che non, i giganti del web e la finanza internazionale hanno come unico obiettivo il profitto e spesso vedono l’uomo solo come consumatore, e a volte anche elettore. Anche in condizioni difficili e tragiche sovente non provano pietà e compassione, spesso in aperta contraddizione con i codici etici sbandierati sui loro siti web. Ne abbiamo avuto inequivocabile rappresentazione durante la pandemia di Covid-19. Mentre si avviava la gigantesca macchina della solidarietà e il sistema sanitario e politico di ogni paese occidentale dava il meglio di sè, le multinazionali in questione si sono freddamente insinuate in ogni rivolo dei ristori governativi, prendendo a pretesto la crisi per lucrare a mani basse.

Non contente di questo, quale migliore occasione può offrire la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina? Ci sono ovviamente motivi oggettivi che stanno causando un’impennata dei prezzi di alcune commodity agricole come il grano, il gas e il petrolio, ma il rialzo dei prezzi del gasolio, agricolo e non, della benzina e di alcuni alimenti zootecnici prevalentemente prodotti nel continente americano e nei paesi europei sono proprio difficili da spiegare per l’entità che hanno. Questo contesto sta mettendo in forte difficoltà l’agricoltura e la zootecnia in un momento in cui il buon senso suggerisce di essere il più autosufficienti possibile per il cibo, sia destinato agli uomini che agli animali, e l’energia. La politica dei Paesi democratici si sa è lenta, e alla luce di cosa stanno facendo le non democrazie del mondo siamo più pazienti ad accettarla, ma qualcosa per evitare la catastrofe, almeno in agricoltura, lo dobbiamo pur fare, e rapidamente.

Ruminantia pertanto si permette di dare suggerimenti alla governance italiana ed europea limitatamente al suo campo d’interesse che sono le filiere del latte e della carne di ruminanti.

  • I prezzi degli alimenti zootecnici sono passati dalle “stalle alle stelle” e la raffinata regia delle multinazionali delle commodity agricole li ha ben proporzionati tra loro. Il punto proteico e il punto di amido degli alimenti zootecnici utilizzabili in Europa è praticamente identico. Esisterebbe un’ampia gamma di sottoprodotti ancora reperibili ed a prezzi contenuti ma che nei ruminanti da latte non possiamo utilizzare per l’elevato rischio di contaminare il latte con l’aflatossina M1. Basterebbe andare in deroga di due mesi sul limite dell’aflatossina B1 nel latte, e solo per i formaggi freschi e il latte alimentare, per consentire ai nutrizionisti di ridurre i costi dei concentrati ed evitare il rischio di sospensione delle forniture di mangimi agli allevatori.
  • E’ evidente che l’Europa deve accelerare la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili come il biogas-biometano, il fotovoltaico e l’energia eolica. Per fare ciò serve una massiccia campagna di incentivazione economica per la trasformazione delle aziende agricole da consumer a prosumer, che deve però essere necessariamente accompagnata da una imponente semplificazione burocratica che oggi è il più importante fattore che scoraggia gli allevatori ad attivare questo nuovo ramo d’azienda.
  • Gli allevatori, e in particolar modo quelli di bovine da latte, hanno un prezzo del latte alla stalla tale da far pensare seriamente a cessare o ridurre l’attività, e ciò è in piena contraddizione con l’assoluta necessità dell’Italia di diventare il più possibile autosufficiente anche dal punto di vista alimentare. Si è addossata la colpa di tutto questo solo alla GDO, ma di questo perdonatemi non sono del tutto convinto perché il prezzo al pubblico dei prodotti del latte e della carne è aumentato; ne è testimonianza la crescita dell’inflazione nell’agroalimentare. Gli organismi pubblici preposti a sorvegliare sui prezzi e sul commercio devono moltiplicare gli sforzi per individuare chi si sta indebitamente arricchendo e sanzionarlo. Se le leggi non sono chiare o sono assenti, la politica può promuovere interventi normativi straordinari ed intervenire.
  • In Italia non tutta la terra arabile viene coltivata, e il processo di “cementificazione” non accenna a diminuire. Urge pertanto il riavvio dell’iter legislativo per arginare la costante perdita di terreno agricolo.
  • Non mi risulta che il governo abbia costituito un’unità di crisi a salvaguardia dell’asset strategico rappresentato dall’agricoltura. Non ci vorrebbe molto a farlo e i risultati potrebbero essere interessanti, e rapidi, per tutti.
  • Non mi risulta siano state organizzate proteste, non tanto per disturbare cittadini già angustiati dalla pandemia e dalla guerra quanto per sensibilizzare i politici e distrarli dalla compulsiva ossessione delle prossime elezioni e inchiodarli alle loro responsabilità. Personalmente, sto indirettamente assistendo a numerosi tavoli di trattativa con gli industriali sul prezzo del latte e lo spettacolo che ne scaturisce è avvilente, perché privo di lungimiranza. Spesso questi tavoli neppure si organizzano perché prevale negli allevatori il senso della resa.
  • Altra debolezza in cui l’Italia è lentamente scivolata è la mancanza di una strategia per lo stoccaggio di granaglie importanti come il mais, il grano e quant’altro. L’ammasso di derrate alimentari non rapidamente deperibili era un modo per mettere in sicurezza un Paese, ma la globalizzazione e l’assoluta certezza che non ci sarebbero mai più stati pericoli di guerra e sopraffazione per le Nazioni occidentali ce lo ha fatto dimenticare.

In conclusione, urge intervenire, e farlo prima che sia troppo tardi. Anche se strutturalmente, e per fortuna, il processo decisionale è molto più lento nelle democrazie rispetto alle dittature, bisogna, a mio avviso, attivare quell’unità di crisi che ci permetterà di superare indenni le code della pandemia e le urgenze generate dalla guerra in corso, e prevenire i sicuri rischi futuri.