A volte succede che si apre un nuovo insilato, sia esso in balloni o in trincea, ed esso risulta essere poco appetibile o addirittura viene rifiutato dalle bovine. Ci si accorge però di questa anomalia solo quando si prova l’appetibilità di questi prodotti somministrandoli da soli, ossia non mescolati nella razione, ad animali mai completamente sazi come le manze e le vacche in asciutta. Ad onor del vero questa dovrebbe essere un’abitudine in allevamento perché l’alta ingestione nelle bovine, specialmente se fresche, è più importante della concentrazione energetica della dieta. Proprio perché ruminanti. Le bovine possono annusarli e non mangiarli oppure fare un primo “boccone” e poi non mangiarli più. Se non si è attenti su questo aspetto potrebbe succedere che il loro inserimento in una dieta unifeed riduca l’ingestione, anche non significativamente, e ciò comporterebbe riduzioni della produzione, dimagrimenti e problemi di fertilità. Questo inconveniente può accadere anche su insilati apparentemente buoni al colore, odore e temperatura, o anche dopo aver consultato l’analisi chimica e il profilo fermentativo. E’ vero che insilati sia di mais che di cereali autunno-vernini con umidità inferiore al 30% e un pH vicino al 4.00, non hanno una buona stabilità aerobia (calore) una volta aperti, poco acido lattico , molto acido acetico, tracce di acido butirrico, sono già di per se a rischio. Molto acido acetico e acido butirrico non giustificano però questa anomalia. Tale rischio poi aumenta quando l’azoto ammoniacale espresso su quello totale supera il 10%. C’è comunque da dire che per tante ragioni l’ingestione di diete con molti insilati è tendenzialmente inferiore a quelle “tipo parmigiano reggiano”, ossia prive di foraggi insilati. Ma quali sono le sostanze che creano questo rischio di poca o nulla appetibilità? Un ruolo negativo sull’appetibilità, e forse direttamente sulla salute delle bovine, lo hanno le amine biogene che derivano dalla decarbossilazione degli aminoacidi ad opera di un gruppo d’enzimi (aminoacido-decarbossilasi) prodotti da parte delle piante o dai batteri che si sviluppano negli insilati. Batteri che non sono necessariamente clostridi ma anche lattici( LAB) e di altre 9 specie batteriche. Ogni aminoacido produce, se decarbossilato, la sua amina-biogena. Quelle “sotto osservazione” sono l’istamina che deriva dall’istidina, la tiramina che deriva dalla tirosina, la putresceina che deriva dall’ornitina, la cadaverina che deriva dalla lisina e l’acido gamma-butirrico(GABA) che deriva dall’acido glutammico. Queste amine vengo definite biogene perché sono molto attive sul metabolismo degli animali e dell’uomo. Possiamo citare come esempi il GABA che blocca i gangli nervosi, l’istamina che agisce sulla circolazione e la tiramina che aumenta la contrattilità uterina. Nelle condizioni prima descritte, ossia di insilati umidi, con pH elevato e ricchi di azoto-ammoniacale, il rischio di sviluppo di amine biogene è molto elevato. Sicuri fattori di rischio per lo sviluppo di amine biogene sono la lenta acidificazione e la presenza d’ossigeno. Si è accertato che il Lactobacillus casei scoraggia la produzione di amine biogene, cosa che non succede con il Lactobacillus buchneri. Ci sono poche informazioni su dove queste amine biogene agiscono per ridurre l’ingestione degli insilati che le contengono e le concentrazioni pericolose. Per dosarle negli insilati vengono attualmente utilizzati metodi cromatografici come l’HPLC, di indaginosa e costosa applicazione nei controlli di qualità in allevamento. Quindi quali consigli pratici suggerire. Il primo è sicuramente quello di analizzare di routine gli insilati, non solo per le loro caratteristiche chimiche ma anche per pH, profilo fermentativo e azoto ammoniacale. Il secondo è quello di attivare una verifica di routine dell’ingestione media di sostanza secca. I software di razionamento oggi disponibili sono in grado di fare una stima accurata di quanto dovrebbe essere l’ingestione considerando la temperatura e l’umidità dell’ambiente, la produzione, il numero dei parti e i giorni medi di lattazione. Se l’ingestione teorica si discosta molto da quella reale è necessario attivare rapidamente una diagnostica d’allevamento che preveda in primis la verifica dell’ingestione spontanea dei soli insilati da parte di animali non sazi. Sicuramente, e in tempi ragionevoli, ci saranno maggiori conoscenze sulla “tossicità” di queste amine biogene ingerite con gli alimenti e sarà possibile lo sviluppo di una diagnostica rapida, e a più basso costo, per quantificarle negli insilati.