La democrazia è il punto di arrivo e di partenza del progresso di un popolo, perché la libertà e il benessere sono un bene inalienabile ma purtroppo se ne diventa consapevoli dopo aver vissuto guerre e dittature o più semplicemente studiando la storia.

Uno degli effetti collaterali della democrazia è che la classe politica è in perenne status elettorale, fatto che la porta a cercare il consenso di fasce il più ampie possibile della popolazione e spesso, anzi spessissimo, a parlare con slogan.

Un argomento su tutti è quello della sicurezza alimentare intesa come la possibilità per una nazione di avere cibo sano, buono e accessibile per tutti. Su questo sacrosanto e bipartisan diritto, che richiede progettazione, azioni strategiche e tattiche complesse, la politica sta diffondendo la retorica del blocchiamo le frontiere al cibo straniero, dimenticando che l’export agroalimentare italiano vale oltre 60 miliardi e potrebbe subire gravi contraccolpi negativi dall’adozione di misure protezionistiche.

Per aumentare la produzione primaria serve terra da coltivare (SAU) la più irrigua possibile. Le speculazioni finanziarie post COVID, la guerra in Ucraina, le tensioni sul canale di Suez e la crisi climatica stanno facendo riflettere sul fatto che ogni popolo deve aumentare il suo livello di autosufficienza per garantire la sicurezza alimentare.

Questa congiuntura, più che di slogan elettorali e propaganda, ha bisogno di un progetto da realizzare rapidamente evitando le semplificazioni del “capro espiatorio” di cui abbiamo parlato nell’editoriale di Ruminantia mese del mese di febbraio.

La prima cosa da fare, secondo noi, è arginare il consumo del suolo, soprattutto quando questo erode la SAU, perché l’Italia è piccola ( 302.073 km2) e la SAU è di soli 12.8 milioni di ettari. La pianura occupa il 23.2% della superficie italiana e la collina il 41.6%, e in buona parte sono occupate da abitazioni, dai servizi e dall’industria. A breve sul consumo del suolo faremo un focus con ISPRA.

L’allevamento e l’agricoltura, salvo le dovute eccezioni, richiedono acqua per far bere gli animali e irrigare i campi, ma il cambiamento climatico sta concentrando le piogge nell’ambito di fenomeni estremi e la quantità di neve e dei ghiaccio si è ridotta molto. In queste condizioni l’acqua deve essere stoccata per evitarne perdite e non va sprecata da una rete idrica che “fa acqua da tutte le parti”.

Di tempo per organizzarci ne abbiamo avuto abbastanza, ma lo abbiamo sprecato.

Per aumentare la produzione primaria è necessario “proteggere” a monte l’agricoltura e la zootecnia dalle eccessive fluttuazioni dei prezzi dell’energia, delle sementi, dei concimi e dei mezzi tecnici, e a valle dai prezzi d’acquisto dei prodotti agricoli per lo più stabiliti soggettivamente dagli acquirenti.

Molti sono gli allevamenti che negli ultimi anni hanno cessato l’attività, specialmente le piccole unità non ubicate nelle zone irrigue. L’agricoltura e la zootecnica non possono, a differenza degli altri settori dell’economia, essere assoggettate solo alle regole base dell’economia.

Se fosse così non ci sarebbero le risorse di integrazione al reddito messe a disposizione dalla PAC e dallo specifico regime fiscale delle aziende agricole. Le recenti proteste dei “trattori” hanno chiesto più che un aumento dei sussidi un sistema di maggiore protezione e tutela della loro attività.

Altro aspetto, che inspiegabilmente non è attenzionato dalla politica e dai media, è quello del continuo e incessante peggioramento della reputazione che la zootecnia e l’agricoltura hanno nell’opinione pubblica e che sta minando, ormai da molti anni, il futuro della produzione primaria a vantaggio dei cibi ultraprocessati. Questi sono ormai copiosamente presenti nella spesa della gente e vengono accolti con generale favore dal giornalismo d’inchiesta e dall’opinione pubblica.

La disponibilità e il consumo di alimenti ultra-processati sono aumentati in tutto il mondo. Questi cibi rappresentano oggi il 50-60% dell’apporto energetico giornaliero in alcuni paesi ad alto reddito, e i paesi a medio e basso reddito stanno seguendo il loro esempio.

Le agenzie pubblicitarie e tante trasmissioni televisive promuovono un modello di agricoltura e d’allevamento sicuramente attraente ma non in grado di assicurare la sicurezza alimentare necessaria ai popoli, ma solo ad una ristretta élite ad alto potere d’acquisto.

Per arginare il dilagare delle demonizzazione dell’allevamento in particolare, e parlare degli aspetti salutistici del cibo, sia naturale che ultraprocessato, servono copiosi investimenti in risorse umane, studio e comunicazione. Sono ormai disponibili numerosissime evidenze scientifiche sui rischi per la salute dei cibi ultraprocessati ma sono poche le azioni di divulgazione che vengono fatte su questo argomento.

Ruminantia crede profondamente nel valore della diffusione della cultura alimentare, al punto di essersi dotata di una rubrica dedicata dal nome Etica & Salute dove pubblicare le migliori evidenze scientifiche sul comportamento alimentare corretto.