Molte sono le motivazioni che spingono gli allevatori verso l’uso delle materie prime o l’acquisto di un mangime finito. Analizzarne pro e contro può aiutare a fare una scelta razionale e non dettata dall’emotività. L’insieme dei prodotti definiti mangimi, nuclei, semi-nuclei e integratori altro non sono che mangimi complementari (MC), ossia quell’insieme di materie prime vegetali, vitaminiche, minerali e additivi che completano la dieta dei ruminanti. Le materie prime che li compongono devono essere autorizzate e note a livello comunitario.  I MC vengono prodotti in stabilimenti autorizzati secondo quanto stabilito essenzialmente dal regolamento CE 178/2002.

Prendiamo in rassegna ora gli aspetti teorici che dovrebbero far propendere gli allevatori verso l’acquisto del mangime. Proprio perché i MC vengono prodotti in impianti industriali si ha la possibilità di utilizzare una gamma di materie prime e additivi sicuramente più elevata di quanto si possa fare in allevamento. Alle materie prime possono essere applicati processi tecnologici come la macinazione differenziata, la pellettatura, l’estrusione, la fioccatura e quant’altro per rendere le singole materie prime più digeribili e per alcune per aumentarne il così detto “by-pass”. Inoltre nei mangimifici, essendoci bilance e sistemi elettronici di controllo, l’accuratezza dei dosaggi delle materie prime presenti nella formulazione dovrebbe essere sicuramente più precisa di quanto ottenibile con il carro unifeed in allevamento. Vista l’ampia possibilità di stoccaggio di materie prime diverse, chi formula un MC può, attraverso la tecnica dell’ottimizzazione, adattare le formule alle variazioni dei prezzi delle materie prime mantenendo inalterati i valori nutrizionali del MC e i costi.

Infine c’è l’aspetto legale. Un allevatore che acquista mangime è per molti aspetti tutelato verso tutti quegli incidenti relativi alla salubrità del mangime, e quindi del latte e della carne, a patto che esso venga conservato regolarmente. Il cosi detto “cartellino” è un atto legale di cui il mangimista risponde integralmente ma solo di quello che viene dichiarato esplicitamente e implicitamente. Certamente per tutto ciò l’allevatore deve corrispondere al mangimista un prezzo sicuramente superiore all’acquisto diretto di materie prime.  Ma cosa è successo in pratica in questi anni. L’evoluzione dell’assetto legislativo in funzione di una sempre più stringente necessità di sicurezza alimentare ha ridotto vistosamente la gamma di materie prime utilizzabili per formulare un MC. Una tra tutte è la regolamentazione della presenza di aflatossina B1 che ha reso inutilizzabili molti sottoprodotti una volta usati sia per il valore dei nutrienti apportati che per i bassi costi. Per non parlare delle farine di origine animale un tempo largamente impiegate nell’alimentazione dei ruminanti; utilizzate per ragioni sia tecniche che economiche.

La così detta pratica dell’ottimizzazione, ossia il cercare attraverso approssimazioni successive di formulare al minor costo possibile un MC con determinate caratteristiche nutrizionali, comporta inevitabilmente, anche se gestita da nutrizionisti di comprovata professionalità, delle variazioni di colore e aspetto da una fornitura all’altra che hanno generato diffidenza presso gli allevatori e i tecnici che li supportano.

Le ragioni sono estremamente complesse da motivare ma possono essere ascrivibili a motivazioni oggettive e soggettive. Le ragioni oggettive sono dovute al fatto che quando il nutrizionista del mangimificio imputa vincoli molto “larghi” alle materie prime e con pochi nutrienti, i mangimi formulati in questo modo possono dare performance molto diverse da “scarico a scarico”. Le ragioni soggettive sono invece dovute al fatto che, per ragioni più commerciali che tecniche, la competizione tra industrie mangimistiche ha attribuito ai mangimi, e più in generale alle razioni, responsabilità positive e negative sulla salute, la produzione e la fertilità dei ruminanti. Dialoghi del tipo “hai troppe mastiti cambia mangime” oppure “ho un mangime che ti fa fare molto più latte” oppure “ci sono troppe cisti da quanto hai cambiato l’alimentazione” hanno nel corso degli anni spesso attribuito ai MC doti “sciamaniche” e illuso gli allevatori che, nel bene e nel male, un MC possa condizionare molto sensibilmente le prestazioni del suo allevamento. Anche frasi rivolte dagli allevatori ai tecnici dell’industria mangimistica tipo: “lei è sicuramente un buon tecnico ma che ne sa cosa “combinano nel mangimificio”, hanno contribuito a versare benzina su un fuoco ormai diventato incendio.

Questa generale sovrastima del ruolo del mangime e dell’alimentarista ha sì agevolato le vendite dell’aziende e dei venditori più intraprendenti ma anche gettato un profondo e progressivo alone di sospetto verso il mangime. Essenzialmente questo motivo, ossia la diffidenza, ragioni economiche (le materie prime generalmente costano meno dei MC); il non dare valore al controllo di qualità, l’accuratezza della miscelazione e ai trattamenti tecnologici; e la ridotta gamma delle materie prime utilizzabili, hanno fatto indubbiamente proliferare l’uso delle materie prime in allevamento. Altro motivo è lo scarso ricorso in Italia all’uso dell’ottimizzazione anche per la formulazione delle razioni alimentari, cosa preponderante nel resto del mondo dove da molto più tempo di noi gli allevamenti si sono dovuti confrontare con un prezzo del latte o della carne alla stalla più basso e avere una maggiore attenzione al conto economico.

Un compromesso tra continuare ad usufruire della “comodità” dell’uso del mangime e la necessità di rassicurazioni ha fatto proliferare la così detta “formula aperta” che altro non è che un conto lavorazione, essendo noto all’acquirente il costo formula e il “delta” che il mangimista applica per produrlo. La scelta di utilizzare materie prime e mangimi minerali ha indubbiamente un vantaggio economico, specialmente se si “azzeccano” i giusti contratti delle materie prime, dà la sicurezza psicologica sia all’allevatore che al nutrizionista ma toglie anche tanti “capri espiatori”. Ovviamente, per gestire le materie prime si devono avere luoghi di stoccaggio idonei ad ospitare auto-treni e auto-articolati (bilici) ed essere dotati sia di idonea contrattualistica per controlli qualità per gestire la qualità delle merci acquistate. A voi l’ardua sentenza.