Forse le nostre future abitudini alimentari sono scritte nel modo con cui mangiano i cani e i gatti. Se questi animali non dividessero con noi le nostre case, vivrebbero in natura cacciando o mangiando carogne in quanto sono predatori carnivori. Il cane e il gatto appartengono all’ordine dei carnivora: il gatto è un carnivoro stretto mentre il cane può avere anche un comportamento alimentare onnivoro.

In passato, quando dominava l’ambiente rurale, ai cani erano riservati gli avanzi di casa oppure le carcasse degli animali. Al gatto invece toccava procurarsi da solo il cibo, e quindi cacciare topi e uccelli. Con la migrazione dell’uomo verso le città, ai cani e ai gatti si è iniziato a dare essenzialmente carne e pesce, cruda o cotta e, nel caso dei cani, addizionata con pane o pasta.

Oggi, la quasi totalità, per non dire tutti, dei cani e dei gatti mangia croccantini, ossia cibi ultra-processati, che rappresentano idealmente un pasto completo, equilibrato e facile da gestire. Unica variante ai croccantini sono i cibi umidi, anche detti “scatolette”, che con i croccantini condividono la fama di essere completi, sicuri e comodi da utilizzare. Resiste una ristrettissima fascia di “stravaganti nostalgici”, che preferisce dare ai cani e ai gatti carne e pesce, crudi o cotti, tuttalpiù arricchiti con qualche vegetale. Questa fascia di persone, e i cultori della dieta Barf, è aspramente criticata perché questa alimentazione, si dice, non è bilanciata e salutare. Ai nutrizionisti degli animali da compagnia e alla gente non interessa minimamente con quali alimenti di base siano fatti i croccantini, nè tantomeno della loro provenienza. Quindi, nel sentire collettivo, si è radicata la convinzione che dare ad un cane o ad un gatto carne cruda o cotta faccia male, mentre dare croccantini e scatolette fa bene. Questa trasformazione culturale non è certo casuale, ed è stata diffusa con forza e convinzione dai nutrizionisti ed amplificata grazie ad un ingente dispiegamento di risorse economiche messo a disposizione dai produttori di questi cibi. In Europa nel 2018 il mercato del pet food aveva un valore di ben 21 miliardi di euro.

La Mars è un colosso del cibo da 35 miliardi di dollari e ne fattura 18 nel pet food, posizionandosi come la prima del mondo in questo settore, seguita dai 14 miliardi di fatturato della Purina. Secondo il rapporto Assalco-Zoomark 2020, il 93% dei medici veterinari che si occupano di animali d’affezione ritiene che il cibo industriale confezionato sia la scelta migliore. L’86% lo considera più sicuro e il 78% pensa che sia in grado di aumentare l’aspettativa di vita di questi animali.

Volendo fare un “salto di specie”, sembrerebbe che la nutrizione umana stia percorrendo la stessa strada che ha percorso la nutrizione dei cani e dei gatti. Molti medici delle varie discipline, molti nutrizionisti e una percentuale in continua crescita dell’opinione pubblica, ritiene che gli alimenti semplici che hanno accompagnato fin qui l’evoluzione umana facciano male. La carne rossa fa male, e lo stesso vale per il latte, i formaggi, i salumi, i pane, la pasta e il vino. Fanno male perché fanno ingrassare, diventare allergici e intolleranti, causano inoltre il cancro, le malattie cardio-vascolari e il diabete. Oltre tutto provocano sofferenze agli animali d’allevamento, deforestazione, surriscaldamento del pianeta e inquinamento. Anche cibi parzialmente lavorati come i formaggi e le carni conservate sono state classificati come dannosi dall’etichetta a semaforo Nutri-Score.

Dice una famosa pubblicità: “ti piace vincere facile”. Questo felice slogan si può mutuare nel cibo per l’uomo, avendo davanti l’esperienza vincente della colossale riconversione dell’alimentazione degli animali d’affezione dai cibi naturali a quelli artificiali.

Nei cibi ultra-processati, che vogliono spodestare i cibi naturali e tradizionali, la provenienza degli ingredienti non interessa a nessuno. Alla luce di questo, sembrerebbe che investire nei prodotti a denominazione d’origine, nel Made in Italy, e nei sapori, colori e odori non artificiali sia anacronistico e poco lungimirante. Ai produttori di pet food c’è voluto relativamente molto tempo per convincere la gente che i cibi naturali non sono adatti ai cani e ai gatti, mentre ai produttori dei cibi ultra-processati ci vorranno forse risorse economiche più ingenti ma sicuramente meno tempo per modificare il comportamento alimentare dell’uomo. Latti vegetali, carne artificiale e barrette trionferanno, a meno che la produzione primaria, ossia l’agricoltura e l’allevamento, i Consorzi di Tutela e le industrie alimentari nazionali non facciano fronte comune e si organizzino non già per evocare punizioni esemplari e rappresaglie ma soluzioni. Per produrre cibo artificiale tutta la produzione primaria diventerà commodity, ossia potrà essere prodotta in ogni parte del mondo; verrà promossa quella che costa meno, e quindi il nostro Paese ne uscirà totalmente penalizzato su tutti i fronti.