La fertilità delle vacche da latte è in cima alle priorità degli allevatori che ben conoscono il valore economico di avere una stalla che per tutto l’anno abbia bassi giorni medi lattazione. Questa condizione è possibile solo se le vacche partoriscono frequentemente e in tutti i mesi dell’anno. La nutrizione ha sulla fertilità un ruolo molto importante, anche se non esclusivo. Nelle razioni destinate alle vacche nelle prime settimane di lattazione si cerca di avere la massima concentrazione energetica possibile senza che questa però riduca la capacità d’ingestione. Questo avviene quando si riducono troppo le fibre ad attività ruminale ,ossia ruminabili, sostituendole con amidi. Per lo stesso motivo si utilizzano i grassi, nella speranza di ridurre gli effetti nefasti sulla fertilità causati da un bilancio energetico eccessivamente negativo. Tuttavia l’uso dei grassi nell’alimentazione della vacca da latte è un argomento molto complesso che, se non affrontato con le dovute cautele, può essere causa di problemi sanitari, false illusioni e comunque spese aggiuntive inutili. I grassi utilizzabili sono quelli saturi maggiormente derivanti dall’olio di palma ( C16:0) oppure gli insaturi come l’acido linoleico ( C18:2, n-6)  molto presente nel mais e nel girasole e nella soia integrale , l’acido linolenico ( C18:3, n-3) tipico del lino integrale e poi quelli a lunghissima catena come l’ EPA ( C20:5,n-3) e il DHA ( C22:6,n-3) molto presenti nell’olio di pesce e in alcune alghe. Allo scopo di migliorare la fertilità si ricorre ai grassi per mitigare il bilancio energetico negativo, per stimolare la crescita dei follicoli, per avere un follicolo dominante di maggiore taglia, per aumentare la produzione degli ormoni steroidei come gli estrogeni e il progesterone, per avere ovociti ed embrioni di migliore qualità e per aumentare il tasso di sopravvivenza degli embrioni nell’ambiente uterino almeno fino all’attecchimento. Ogni acido grasso, o meglio ogni categoria di grassi, ha un ruolo specifico ( o lo dovrebbe avere ) sulla fertilità. Gli acidi grassi saturi come l’acido palmitico ( C16:0 ) e l’acido stearico ( C18:0) vengono, e devono essere utilizzati, come fonte energetica. Sono presenti in quota variabile negli alimenti destinati alle vacche da latte ma, volendone aumentare la concentrazione nella razione, si utilizzano come saponificati o idrogenati in modo da proteggere loro stessi e il rumine dagli effetti collaterali negativi degli oli liberi. La ricerca è contrastante sul fatto che i grassi saturi possano migliorare la fertilità. In molti casi la loro adozione aumenta sia la produzione di latte che di grasso, peggiorando di fatto il bilancio energetico. Inoltre, la loro inclusione nella razione di fine gravidanza in teoria dovrebbe  ridurre la lipomobilizzazione dopo il parto e l’accumulo dei grassi nel fegato. In pratica succede spesso che l’uso di questi grassi aumenta i NEFA e il BHBA mentre diminuisce il glucosio ematico e l’insulina. Inoltre, cosa ancor più grave, un uso eccessivo di acidi grassi saturi induce o meglio aggrava l’insulino resistenza, tipica della fase di transizione, per avere più glucosio e quindi lattosio e quindi latte. Diversi invece sono gli effetti degli acidi grassi insaturi.Di questi ne esistono tre categorie utilizzabili. Quelli classificabili come omega 3 ( nome dovuto alla posizione nella molecola dei doppi legami) sono principalmente l’acido linoleico ( C18:3, n-3), l’EPA ( C20:5,n-3) e il DHA ( C22:6,n-3). I loro effetti benefici sono innumerevoli. Il più importante è quello antinfiammatorio inibendo l’enzima ciclo-ossigenasi-2 prodotto dall’endometrio coinvolto nella sintesi di prostaglandine come la PGF-2α. Interessante è anche l’effetto di questi PUFA nel rendere le cellule più sensibili all’azione dell’insulina. L’acido linoleico ( C18:2, n-6 ) è invece un omega 6 che ha un effetto benefico sulla salute dell’utero nel post-partum stimolando, al contrario degli omega-3, la sintesi delle prostaglandine. Pertanto l’uso ideale di questi acidi grassi insaturi sarebbe gli omega-6 durante le primissime settimane dopo il parto e gli omega-3 nel periodo successivo fino a gravidanza accertata. Il problema di tutti questi acidi grassi saturi è il passare il rumine ossia il non perdere i doppi legami che li caratterizzano per poter, una volta assorbiti nell’intestino, esercitare i loro effetti. Ci sono solo due possibilità per evitare tutto questo. La prima è la rumino-protezione, come la saponificazione o l’incapsulamento, e la seconda è quella di utilizzarli a dosaggi elevatissimi nella speranza che una quota significativa lasci il rumine indenne.  Esiste un altro acido grasso che può aiutare la fertilità attraverso un meccanismo “tortuoso” ma efficace. Si tratta dell’acido linoleico coniugato ( CLA o trans-10, cis-12 C18:2). Il CLA si sviluppa nel rumine maggiormente dall’acido linolenico. Ha la capacità di ridurre la sintesi di acidi grassi ex-novo della mammella e quindi di far risparmiare energia preziosa per la fertilità. Conclusione: L’uso degli acidi grassi nell’alimentazione della vacca da latte, siano essi saturi che insaturi, ha effetti contrastanti sulla fertilità, specialmente quando se ne fa un uso improprio confondendo gli omega 3 con gli omega 6 oppure attribuendo effetti a quelli saturi che non possono avere.