L’estate sta finendo e negli allevamenti delle bovine da latte si presenterà lo scenario di sempre, anche se non in tutti perché la consapevolezza “zootecnica” sta crescendo rapidamente anche in Italia.

Verso la fine dell’estate ormai quasi tutti gli allevamenti utilizzano i nuovi fieni, sono state aperte le trincee degli insilati di cereali autunno-vernini o erbai misti e negli allevamenti che hanno seminato il mais per avere un “trinciato” di primo raccolto si apre la trincea d’insilato di mais. Nuovi foraggi, nuovi fieni, temperatura più mite e tanti parti. Ma fertilità, produzione di latte e zoppie danno tanti grattacapi. A noi piace chiamare questa situazione “SBPLA” o meglio “Sindrome della Bassa Produzione di latte in Autunno”.

Gli allevamenti avveduti cercano soluzioni ai problemi mentre altri cercano i colpevoli. Nella lista dei colpevoli, a torto o a ragione, finiscono ogni anno le micotossine perché nelle analisi si trovano sempre e quale sia il loro livello di tossicità è spesso un argomento controverso.

Per evitare che le micotossine vengano ignorate, o che ne venga sopravvalutata la pericolosità, è bene fare qualche puntualizzazione.

Le micotossine sono dei metaboliti secondari prodotti da funghi o muffe del genere Fusarium, Aspergillus, Alternaria, Penicillum, etc. Ad oggi se ne conosco 400 tipi ma non tutte hanno effetti negativi, conosciuti, sulla salute umana e animale. Meno ancora sono quelle regolamentate dalla legge o dalle “raccomandazioni” provenienti da enti pubblici. Le micotossine si possono accumulare negli alimenti vegetali, in campo o successivamente, ed ognuna delle muffe ha condizioni di crescita ideali peculiari (umidità, temperatura e ossigeno).

Uno studio non indipendente eseguito nel periodo 2009-2011 con dati analitici raccolti in 7.049 allevamenti ubicati in Europa, America e Asia ha evidenziato che nell’81% degli alimenti zootecnici analizzati è presente almeno una micotossina.

La presenza di micotossine nei così detti concentrati è facilmente quantificabile mentre spesso si sottovaluta il rischio di insilati contaminati. Per questi ultimi alimenti, che spesso rappresentano una percentuale importante della razione di un ruminante, ci sono oggettivi problemi di gestione del campionamento e di calcolo dei dosaggi tossici.

Gli stress idrici, climatici (forti escursioni termiche), l’attacco d’insetti e le cattive pratiche agronomiche possono favorire la crescita di muffe sulle piante, per cui la gestione di questi aspetti rappresenta una tappa fondamentale per avere una minore presenza di micotossine negli alimenti zootecnici.

Un altro punto critico è l’insilamento. Le muffe “temono” pH molto bassi e l’assoluta mancanza di ossigeno, per cui un insilato mal compresso, piante a bassa concentrazioni di zuccheri e scarsità di lattobacilli, sia omofermentanti (tipo il L. plantarum) che eterofermentanti (come il L.buchneri), sono ad alto rischio. I lattobacilli sono molto importanti in un insilato perché producono acido lattico che riduce fortemente il pH. In quella che viene definita “Instabilità aerobica”, dopo l’apertura dell’insilato, i lieviti possono utilizzare il lattato producendo anidride carbonica che innalza il pH e ciò, unitamente alla presenza di ossigeno, favorisce la crescita delle muffe.

Le micotossine possono avere effetti negativi anche molto gravi sulla salute delle persone e degli animali a seconda delle quantità assunte con gli alimenti e della durata dell’assunzione. Per dare la corretta responsabilità “sanitaria” alle micotossine è pertanto fondamentale conoscere esattamente a quale dosaggio sono tossiche, perché sono sempre presenti negli alimenti, e come esercitano i loro effetti negativi sulla salute.

La micotossina più famosa è l’aflatossina B1 (AFB1), essendo l’unica regolamentata negli alimenti destinati al consumo sia umano che animale, come anche il suo metabolita aflatossina M1 (AFM1), presente nel latte. In Europa, e in buona parte del mondo, il limite nel latte di questo metabolita è di 0.05 ppb o 50 ppt. Negli USA è di 5 ppb o 500 ppt. Questi limiti sono stati imposti in quanto l’AFB1 è classificata come cancerogeno di classe 1 e la AFM1 come sospetto cancerogeno di classe 1B. L’Aspergillus flavus, che è la muffa che la produce, si sviluppa principalmente negli alimenti mal conservati, ossia ad alte temperature (> 32°C) ed elevata umidità. In considerazione dei limiti imposti dalle leggi di buona parte del mondo è difficile vedere negli animali i sintomi dell’intossicazione da AFB1 perché il costante monitoraggio della AFM1 nel latte comporta l’immediata sospensione dall’alimentazione degli alimenti contaminati. La legge europea vieta l’utilizzo di alimenti zootecnici che contengano più di 20 ppb di AFB1, limite che scende a 5 per la razione completa. Con diete per bovine da latte contenenti 75 ppb per almeno 5 giorni si può notare una minore produzione di latte e proteine. Nei bovini da carne, si verifica una generale riduzione delle performance con diete contenenti 100 ppb di aflatossine.

In generale, l’esposizione cronica delle bovina da latte alla AFB1 porta ad una riduzione della salute, delle performance, della funzionalità epatica e del sistema immunitario. La AFM1 viene prodotta nel fegato (citocroma P- 450) a partire dalla AFB1 presente nel rumine, con un tasso di conversione che va dall’1 al 6%. Bastano poche ore per avere un innalzamento dell’aflatossina M1 nel latte ed è necessario solo qualche giorno dopo la sospensione alimentare per tornare alla normalità.

Per calcolare il carry over, ossia per sapere quanta AFM1 aspettarsi nel latte conoscendone la quantità presente negli alimenti, si applica la seguente equazione:

 AFM1 (ng/kg o ppt di latte) = 1.19 x (µg ingerite/capo/giorno) + 1.9

Con gli attuali limiti di 20 ppb dei mangimi complementari e nelle materie prime, e di 5 ppb dei mangimi completi, ossia delle razioni, è facile superare i limiti di legge. Se si utilizzasse una farina di mais con 19,999 ppb di AFB1, quindi nei limiti di legge, e se essa fosse inclusa in un mangime per bovine da latte al 40% e le bovine ne consumassero kg 8, esse ingerirebbero 64 µg al giorno di AFB1 e quindi il latte risulterebbe avere sicuramente più di 50 ppt, considerando anche che una parte di aflatossine sono necessariamente presenti negli alimenti della razione.

Per la prevenzione della contaminazione delle piante da parte di questa pericolosa micotossina sono oggi disponibili ceppi di Aspergillus flavus atossigeni, ossia non in grado di produrre l’AFB1. In Italia s’impiega prevalentemente il ceppo MUCL 54911.

Le altre micotossine di cui sia la Food and Drug Amministration (FDA) che la Commissione europea hanno dato indicazioni (non divieti) sui dosaggi massimi da non superare sono quelle prodotte da muffe del genere Fusarium come la vomitossina (o DON o deossivalenolo), la fumonisina, lo zearalenone (ZEA) e l’ocratossina A (OTA). Per queste ultime due micotossine non esistono indicazioni specifiche della FDA. Per le tossina T-2 e HT-2 non si sono raccomandazioni ufficiali specifiche.

Tutte le micotossine prodotte dalle specie di muffe che appartengono al genere Fusarium crescono prioritariamente in campo, ossia sulle piante prima della loro raccolta e conservazione. Le condizioni ideali per la loro crescita sono le giornate calde alternate a notti o giornate più fresche e l’elevata umidità (> 70%).  Il rumine è generalmente in grado di distruggere questa classe di micotossine per cui all’intestino può arrivarne solo una quantità esigua per essere assorbita, e praticamente nulla si accumula nella carne e nel latte dei ruminanti. E’ vero però che diete ad elevato transito ruminale e rumini con pH inferiore a 6.00 sono meno efficienti nella biodegradazione delle micotossine.

Alcune informazioni essenziali sulle singole micotossine

La T-2 e l’Ht-2 sono ampiamente distrutte, o meglio biodegradate, dal microbioma ruminale ed in particolare dai protozoi.

La vomitossina (o Don o deossivalenolo) viene prodotta da molte specie di muffe del genere Fusarium quando si alternano giornate calde con notti fredde e nei periodi umidi. Dallo studio non indipendente prima citato sembrerebbe che sia presente nel 59% dei campioni analizzati, con una concentrazione di 854 – 621 ppb, ossia 0.854 – 0.621 ppm. La FDA raccomanda di non superare la concentrazione di 5 ppm nella razione giornaliera delle bovine da latte e di 10 ppm in quella dei bovini da carne. La Commissione europea consiglia di non superare gli 8-12 ppm nei concentrati destinati ai ruminanti. Diete contaminate fino a 2.6-6.5 ppm non danno particolari problemi se non la scarsa ingestione. Il trasferimento nel latte e nelle carni è ampiamente improbabile in quanto questa micotossina è biodegradata dal rumine.

Il genere Fusarium può anche produrre le fumonisine tra le quali la B1 è il tipo più tossico. Le condizioni climatiche favorevoli alla produzione delle fumonisine sono le stesse delle vomitossine. Il loro meccanismo d’azione consiste principalmente nell’interrompere la sintesi sfingolipidica causando la leucoencefalomalacia, anche nota come avvelenamento da mais ammuffito nel cavallo. Nei vitelli è nefrotossica a 1000 ppb per kg di peso vivo. Nei bovini da carne si può notare un ridotto accrescimento con diete contenenti 148 ppm per 31 gg consecutivi. E’ stata evidenziata una riduzione della produzione di latte con diete con 100 ppm somministrate da 7 giorni prima del parto a 70 giorni dopo. Non è stato evidenziato un trasferimento nel latte, mentre il consumo diretto da parte dell’uomo di alimenti contaminati è potenzialmente molto pericoloso perché la fumonisina B1 è stata classificata come cancerogeno di classe 1B. La FDA raccomanda di non superare i 15 ppm nella razione completa e i 30 ppm nel mais e nei suoi derivati se non superano il 50% della sostanza secca della razione. La Commissione europea raccomanda invece un limite massimo di 60 ppm per il mais e i suoi derivati, e di 50 ppm per i mangimi composti destinati a ruminanti con più di 4 mesi d’età.

Lo zearalenone (ZEA) è ben conosciuto per la sua capacità di mimare o simulare gli effetti degli estrogeni (estrogenomimetico). Si ritiene che poco meno della metà degli alimenti zootecnici sia contaminata e che il 30% dei campioni d’insilato di mais negli USA contenga circa 500 ppb di questa tossina. Il rumine, ed in particolare i protozoi, sono in grado di trasformare lo zearalenone nei metaboliti α e β zearanelolo, anche se questa capacità detossificante è limitata. L’intossicazione da ZEA provoca ridotta ingestione, minore produzione, diarrea e problemi riproduttivi. La FDA non dà al momento indicazioni mentre la Commissione europea raccomanda un limite massimo di 2 ppm nei cereali, di 3 ppm nei sottoprodotti del mais e di 0.5 ppm nei mangimi completi per ruminanti.

L’ocratossina A (OTA) è come la AFB1 prodotta da muffe del genere Penicillum. E’ cancerogena (classe 2B), mutagena e inibisce il metabolismo del glucosio. Viene quasi completamente distrutta dal microbioma ruminale. Solo la Commissione europea raccomanda di non superare la concentrazione di 0.25 ppm nei cereali e nei prodotti a base dei cereali.

Cosa fare quindi per evitare la presenza di micotossine negli alimenti destinati agli animali, nel latte e nella carne?

Molto può essere fatto in campagna con l’adozione delle più corrette pratiche agronomiche e conservando i foraggi, soprattutto se insilati ma anche i concentrati, nel miglior modo possibile. Se comunque qualcosa non è andata bene si può ricorrere ad additivi minerali come i minerali argillosi che hanno nei confronti delle micotossine una funzione adsorbente, ossia hanno la capacità di legare indissolubilmente la micotossina per evitarne l’assorbimento intestinale. Questi agenti sequestranti o binder sono discretamente efficaci nei confronti dell‘AFB1 ma lo sono molto meno nei confronti delle altre micotossine. Questi materiali argillosi sono generalmente silicati ed hanno una struttura molto particolare ricca di cationi come il magnesio, il calcio, il sodio, il potassio e il ferro. Sono molti quelli disponibili ma gli studi d’efficacia prevalenti sono quelli sull’allumino silicato di calcio (HSCAS) che ha un’alta affinità per l’AFB1, e quelli sulla montmorillonite. L’HSCAS forma legami molto stabili con l’AFB1 mentre non ha alcun effetto su OTA e DON.  Sono anche utilizzabili bentoniti, zeoliti e clinoptiliti che si differenziano tra loro per capacità di scambio ionico, superficie, dimensioni, forma e distribuzione delle particelle. Poche sono le informazioni disponibili circa la capacità di queste argille di adsorbire anche lo zinco, il magnesio e il manganese. Sono disponibili in commercio anche adsorbenti a base di lievito, carbone vegetale attivo e prodotti a base di clorofilla. Di grande interesse futuro è il poter disporre di microrganismi ruminali specializzati nella biodegradazione ruminale delle micotossine da utilizzare come additivi o di enzimi microbici provenienti da Armillariella tabascens e Rhodococcus erythropolis, che agiscono contro l’AFB1, e dall’Aspergillus niger e dalla Phaffia rhodozyma, che biodegradano l’OTA.

Conclusioni

Le micotossine che contaminano gli alimenti destinati agli animali che producono carne e latte sono un aspetto che non va sottovalutato ma che neppure deve diventare la causa presunta di ogni problema dell’allevamento. Entrambi questi atteggiamenti estremi possono essere pericolosi per la salute degli animali e dell’uomo e per il reddito degli allevatori. Un approccio razionale è quello di avanzare un sospetto clinico di rischio d’intossicazione da micotossine che deve essere necessariamente accompagnato da una ricerca e quindi da una quantificazione della presenza negli alimenti zootecnici di specifiche micotossine. Se il problema oggettivamente esiste è necessario affrontarlo modificando eventualmente la quantità degli alimenti presenti nella razione, o escludendoli, ed inserendo gli additivi più opportuni. Tuttavia, la prevenzione da fare in campagna e durante lo stoccaggio degli alimenti è la pratica più razionale ed auspicabile.