La produzione ruminale di metano (CH4) sta sempre più catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica, degli scienziati e dell’industria, ma anche quella degli allevatori e dei nutrizionisti. Si tratta di un processo fisiologico che è però tanto più grande quanto maggiore è l’inefficienza nell’utilizzazione dei nutrienti della dieta. Inoltre, il metano è un gas serra (GHG) secondo solo all’anidride carbonica (CO2) come quantità prodotta ma che ha un effetto serra 23 volte più potente di quello della CO2. Del totale del metano che raggiunge l’atmosfera, il 20-30% è di origine fossile mentre il 70-80% deriva dalle fermentazioni enteriche, dalle aree umide, dalla coltivazione del riso, dal trattamento dei rifiuti, etc. Gli allevamenti sono responsabili del 15-20% del totale delle emissioni antropogeniche e i bovini sono responsabili per il 73% del totale delle emissioni di tutti gli allevamenti. Le emissioni enteriche contribuiscono per il 30-40% al totale della produzione da fonti agricole.

Secondo quanto riportato nel report ISPRA 2020 relativamente alla situazione del nostro Paese, risulta che l’agricoltura contribuisce per il 7% alle emissioni totali di GHG e che il 47% di queste sono dovute alle fermentazioni enteriche. Di questa percentuale, il 36.9% proviene da bovine da latte, il 31.8% da bovini da carne, il 4.5% dai bufali e l’8.5% dagli ovini.

Pertanto, per ridurre la metanogenesi ruminale, al fine di diminuire le emissioni di metano ed aumentare l’efficienza del rumine, è necessario capire come manipolare l’ecosistema ruminale agendo sulla dieta e sugli alimenti che la compongono e utilizzando additivi.

Prima di addentrarci ad approfondire alcune delle principali soluzioni disponibili, è bene approfondire come avviene la produzione ruminale di metano e chi ne è responsabile.

Il 10- 20% dell’energia ingerita è convertita in metano ad opera dei batteri metanogenici e dei protozoi. Dalla fermentazione ruminale del cibo vengono prodotti acidi organici volatili a corta catena (SCFA), biomassa microbica costituita prevalentemente di proteina metabolizzabile, idrogeno (H2), CO2 e CH2.

La metanogenesi ruminale avviene secondo la seguente reazione:

4 H2 + CO2 → CH4 + 2 H2O

I batteri metanogenici sono anaerobi stretti e appartengono al regno degli Archaea. I principali metanobatteri sono il Methanobacterium formicicum, il M. ruminantium, il M. bryanti, il Methanobrevibacter ruminantium, il Methanosarcina barkeri, il Methanomicrobium mobile e il Methanoculleus olentangyi. Negli ambienti anaerobi sono state isolate più di 60 specie microbiche e 5 di queste appartengono ai generi Methanobrevibacter e Methanosarcina. I batteri metanogenici sono presenti in grandi quantità nel rumine e il loro numero è positivamente correlato con il contenuto di fibra della razione.

Esiste una correlazione tra acido acetico prodotto e produzione di metano. Questi organismi crescono solo in un ambiente dove il potenziale redox è inferiore a – 300mV. Per produrre metano, i batteri metanogenici hanno bisogno di H2. All’interno del rumine vive una numerosa popolazione di protozoi, stimata essere di 104 – 106 cellule/ml, che si nutre di batteri, di amido e di materiale vegetale. Questi producono, oltre all’idrogeno, anche acetati e butirrati. Se li isolassimo e li seccassimo peserebbero circa 500 grammi. Questi organismi unicellulari sono prevalentemente ciliati, e quindi dotati di protuberanze con numerose funzioni. I protozoi, come conseguenza del loro metabolismo, producono idrogeno che, grazie al meccanismo descritto come “trasferimento d’idrogeno interspecie”, viene utilizzato dai batteri metanogenici che vivono sulla pellicola esterna dei protozoi. L’idrogeno che si libera nel rumine può essere utilizzato anche da altre specie batteriche. Affinché l’H2 possa essere utilizzato per sintetizzare il metano è necessaria una serie di co-fattori, la cui intima conoscenza permette di capire come inibirli e quindi ridurre la produzione ruminale di metano. La percentuale molare degli acidi grassi volatili ruminali influenza la produzione di metano: acetato e butirrato la promuovono mentre il propionato la inibisce per un’azione competitiva per l’idrogeno.

Esistono diverse soluzioni per ridurre la produzione di metano da parte del rumine. Alcune sono di “comprovata efficacia”, altre meno. Obiettivo di questa selezione è presentarne alcune.

La gestione della nutrizione

Le razioni con un basso rapporto foraggi/concentrati, ricche di carboidrati molti degradabili e di proteine, e che utilizzano alimenti “processati”, ossia cotti e/o finemente macinati, promuovono la crescita dei batteri, come gli amilolitici, che producono prevalentemente propionati e che possono causare una riduzione anche del 10% nella produzione di metano. Queste diete, però, sono un importante fattore di rischio per l’acidosi ruminale. Le diete ad alta concentrazione di foraggi, e quindi di fibre, e quelle poco digeribili, oltre ad essere poco efficienti per la produzione d’energia sono quelle che producono più CH4 per chilogrammo di carne o latte prodotto.

La defaunazione

Abbiamo visto come i batteri metanogenetici rimangano attaccati ai protozoi ciliati avendo con loro una relazione eco-simbiontica dovuta al fatto che sono i protozoi quelli che producono una quantità significativa di idrogeno. In via teorica, la defaunazione, ossia l’eliminazione dei protozoi, riduce del 20-50% la produzione ruminale di metano e aumenta quella di propionati. I ruminanti alla nascita non hanno protozoi nel loro tratto gastro-enterico. La faunazione avviene grazie al trasferimento di questi organismi viventi dai 7 ai 14 giorni dopo la nascita attraverso la saliva della madre. La defaunazione aumenta la quantità di biomassa batterica ruminale, e quindi la quantità di proteina metabolizzabile che raggiunge l’intestino.

Gli acidi grassi

Gli acidi grassi insaturi una volta giunti nel rumine subiscono un processo di bioidrogenazione, ossia di saturazione dei doppi legami da parte dell’idrogeno ivi presente. E’ stato sperimentalmente osservato che l’aggiunta del 4.6% di olio di colza in razioni a base di foraggi scadenti riduce del 32% la produzione di metano. Appartengono al gruppo degli acidi grassi saturi a media catena (MCFA) l’acido laurico (C12:0) e l’acido miristico (C14:0), entrambi dotati di un potente e riconosciuto effetto defaunante e quindi in grado di ridurre la produzione ruminale di metano.

Sop Star Cow

Il Sop Star Cow è un regolatore della bioresilienza e delle emissioni enteriche delle bovine. E’ disponibile sul mercato, testato scientificamente e consentito, anche nella lattazione, dai principali disciplinari di produzione italiani (ad es. Grana Padano e Parmigiano Reggiano) e promette una riduzione delle emissioni di metano enterico di oltre il 20%.

Per approfondire, leggi anche “Emissioni enteriche dalle bovine da latte“.

Il 3-nitroossipropanolo

Il 3-nitroossipropanolo (3-NOP) è un composto che può inibire il metil coenzima-M(CoM) riduttasi, enzima che catalizza l’ultimo step della metanogenesi, ovvero la riduzione del metil CoM e del coenzima-B(CoB) in metano. Il 3-NOP promette una riduzione della produzione di metano di circa il 30%.

Leggi anche “Effetto del 3-NOP sulle emissioni enteriche di metano nelle vacche da latte” per saperne di più su questa molecola.

Gli acidi organici

Alcuni acidi organici, come il malato, il fumarato e l’aspartato, possono ridurre la produzione di CH4. In particolare, il malato, presente in grande quantità nell’erba medica, sembra essere molto efficace. Questi acidi vengono convertiti in succinato e propionato per cui rendono l’idrogeno meno disponibile.

I prebiotici e probiotici

Probiotici come i lieviti e i terreni di coltura dell’Aspergillus oryzae stimolano direttamente o indirettamente l’attività batterica del rumine. Con il loro impiego si osserva in genere una stabilizzazione del pH ruminale, un aumento dei propionati e una riduzione dell’acetato, del metano e dell’ammoniaca.

Per approfondire, leggi anche “Le biotecnologie per la mitigazione dei gas effetto serra nei ruminanti“.

I tannini

I tannini sono polifenoli naturali presenti nelle piante. Si possono trovare sia nella forma idrolizzata che condensata. Questi composti riducono la fermentazione della materia organica, inibiscono la flora cellulosolitica e causano diminuzione del rapporto acetato/propionato e della metanogenesi. Con l’inclusione dei tannini nella razione si riduce la quantità di ammoniaca nel rumine a causa della riduzione della degradazione proteica. Secondo alcune evidenze scientifiche i tannini aggiunti nelle razione possono ridurre del 23% le emissioni di metano.

Conclusioni

L’elenco delle soluzioni e delle molecole trattate in questa articolo che possono ridurre la produzione ruminale di metano è senza dubbio incompleto. Ridurre il contributo dei ruminanti domestici nella produzione dei GHG, oltre ad essere un dovere morale, offre l’opportunità ai produttori di latte, formaggi e carne di rendere più attraente la loro offerta. Abbiamo visto in questa breve trattazione che ridurre la produzione ruminale di metano è possibile, ma quando si decide di adottare una di queste soluzioni è bene chiedersi:

  • L’additivo è utilizzabile in Europa e quindi in Italia?
  • E’ indicato per tutte le fasi del ciclo produttivo degli animali?
  • Ha effetti collaterali?
  • E’ realmente efficace in vivo?

Queste domande sono essenziali perché quando si decide di ridurre la produzione di metano enterico in allevamento e di farne un claim bisogna quantificare questa riduzione per rendere il tutto certificabile. Queste certificazioni sono oggi ancora troppo poche, anche se potrebbero incontrare il favore dell’opinione pubblica e dei consumatori.