In questi ultimi anni, o meglio decenni, abbiamo assistito ad una progressiva ed irreversibile erosione di marginalità nel produrre il latte. I costi di produzione sono aumentati o meglio si sono stabilizzati verso l’alto mentre il prezzo del latte alla stalla si è addirittura contratto. Ad ogni tavolo delle trattative con gli industriali il “mantra” che si sente è sempre lo stesso: <em>è il mercato che fa il prezzo del latte</em>. Quando poi noi tecnici o noi allevatori ridiventiamo cittadini che fanno la spesa troviamo il nostro latte di alta qualità sugli scaffali dei supermercati a prezzi superiori ad 1.5 euro. Guardando però attentamente si trovano “latti” low-cost a prezzi ben inferiori all’euro e che occupano ampi spazi nei locali della grande distribuzione e a questo punto la domanda. Ma l’ingiustizia di un prezzo del latte alla stalla poco o nulla profittevole è per il latte di alta qualità o per i “latti” a basso costo? Oppure il consumatore compra di più il latte economico perché non ha più soldi o perché pensa che sia uguale all’altro con la sola differenza della marca? E’ vero che la crisi economica è molto grave ma risparmiare pochi centesimi al giorno nell’acquisto del latte non è secondo me la vera motivazione mentre credo sia più legata al fatto di non sapere cosa ci sia dietro a quella busta di latte. Questo pensiero vale anche per le uova, la carne e molti dei prodotti dell’agro-alimentare soprattutto di quelli a “marchio” per i quali il consumatore crede spesso che siano operazioni fatte per il suo bene  mentre a conti fatti lo sono più per il bene dei profitti della GDO. Un mio caro e importante collega che si occupa di bioetica mi ha fatto notare quanto danno indotto ha creato agli allevatori una nota testimonial televisiva che prende dagli scaffali di una famosa catena di supermercati italiani una bottiglia di latte che costa il 30% in meno di quelli di marca. Io credo che gli industriali italiani, o almeno quelli rimasti, che imbottigliano il latte o producano formaggi si dovrebbero alleare con gli allevatori per informare i consumatori e renderli più consapevoli. Di converso gli allevatori e industriali potrebbero ottenere , i primi un prezzo del latte più alto e i secondi una contrazione dei margini esorbitanti che pretende la GDO per mettere il latte ed i formaggi italiani sugli scaffali. E ormai “arcinoto” che un italiano preferisce mangiare cose italiane a patto che riesca a capirlo con chiarezza dalle certificazioni e dalle etichette e che non costi una follia. Inoltre il consumatore deve comprendere che il suo scegliere latte economico provoca la chiusura degli allevamenti italiani e forse un maggior guadagno per la GDO. Nel “libro bianco sulla sicurezza alimentare” del 2000 viene con forza ribadito il concetto che “..il consumatore occidentale non desidera consumare carne, uova o latte di animali che hanno sofferto..” Ingannare i consumatori che i latti senza marca dei supermercati” costano meno solo perché non hanno i costi della comunicazione delle industrie del settore può mettere in forte difficoltà non sono gli allevatori ma anche il benessere delle sue bovine. Io credo fermamente e per esperienza che un allevatore italiano sappia molto bene quali siano le condizioni ottimale di benessere per i propri animali. Lo sa talmente bene da condividere totalmente i suggerimenti “stigmatizzati” nei molti documenti dell’autority per la sicurezza alimentare (EFSA). Se il consumatore sapesse che l’allevatore per resistere all’ingiustizia che il prezzo del latte alla stalla  deve sovraffollare gli allevamenti, “lesinare” a volte con l’alimentazione” e se avesse il coraggio di farlo uccidere i vitelli maschi alla nascita forse ci penserebbe qualche secondo in più nel comprare latte low-cost straniero e latte con il marchio della GDO.