Molti di noi, se non tutti, sono felici che esistono associazioni e sindacati che tutelano i diritti di varie categorie di persone e gli interessi di vari tipi di imprese, ma anche dell’ambiente e degli animali. Personalmente, credo sia necessario ed urgente migliorare la qualità della vita degli animali d’allevamento e lottare con i fatti contro l’inquinamento dell’ambiente e lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. Qualsiasi uomo dotato di una morale non potrà non essere d’accordo, se non altro per garantire alle future generazioni le stesse opportunità che abbiamo avuto noi ed i nostri antenati di godere della bellezza e della generosità della natura e di un rapporto anche empatico con gli animali.

Un’associazione ambientalista che ha a cuore veramente il futuro del nostro pianeta lotterà con ogni mezzo per esso, non prescindendo però dal fatto che a popolare la nostra terra ci sono ormai anche 7 miliardi di persone che hanno bisogno “tutte” di cibo sano, abbondante ed economicamente accessibile. Un’associazione ambientalista “vera” non potrà auspicare un’estinzione di massa dell’essere umano per ridare alla natura quello scettro del comando che l’uomo gli ha sottratto ormai da millenni. Le stesse considerazioni possono essere fatte per le associazioni animaliste. Tra di esse ci sono quelle che hanno a cuore il miglioramento della qualità della vita degli animali, nel senso di difendere il loro diritto di trascorrerla secondo il loro naturale comportamento e non come l’uomo concepisce il benessere, cioè a sua immagine e somiglianza.

Madre natura è sì benevola ma anche spietata, imponendo le sue leggi che hanno come primo obiettivo difendere la specie e farla proliferare. Il concetto dell’individuo al centro di tutto appartiene solo ad alcune culture non alle leggi naturali, altrimenti non si spiegherebbe l’idea della selezione naturale e della sopravvivenza solo del più adatto. Ci sono battaglie giuste delle associazioni animaliste quando segnalano e denunciano allevatori che maltrattano i propri animali. Trattare bene gli animali, assicuragli cure, comfort, cibo ed acqua sono anche i pilastri delle “buone pratiche zootecniche”. Gli allevatori che non le attuano non sanno fare il loro lavoro e con il loro comportamento rovinano l’immagine del settore agli occhi dell’opinione pubblica. Vanno pertanto isolati e sanzionati duramente.

Il paradigma imperante di come allevare gli animali da reddito si basa sul concetto che maggiore è il numero di capi per superficie d’allevamento e più alta è la probabilità per l’allevatore di realizzare lauti guadagni. Animali altamente performanti grazie alla selezione genetica ed ai progressi della scienza della nutrizione, allevati in grande quantità in spazi sempre più ristretti, è stato ed è un dogma zootecnico indiscutibile specialmente per i monogastrici come polli, suini e galline. Questa “filosofia” è spesso accompagnata dalla convinzione che l’impiego copioso di farmaci e di taluni additivi possa risolvere i tanti problemi sanitari che questo tipo di allevamenti inevitabilmente genera. In molti paesi occidentali la sensibilità dell’opinione pubblica non accetta più tutto ciò e pretende che le tecniche d’allevamento cambino drasticamente e radicalmente. In pratica, molte persone, invece di promuovere cibi più etici prefendoli negli acquisti e rendendosi disponibili a pagare per questi un prezzo superiore, diventano vegani oppure consumatori di cibo artificiale. Molte associazioni animaliste si limitano a denunciare casi di maltrattemento di animali d’allevamento o pratiche zootecniche da loro considerate esecrabili ma veramente poche propongono modelli zootecnici alternativi realistici dove gli animali possono trascorrere una vita dignitosa. Abbiamo scritto più volte che gli allevamenti ritenuti ideali per queste associazioni nella realtà non esistono o sono un numero talmente esiguo da poter sfamare solo una nicchia, generalmente agiata, della popolazione. Un’associazione animalista che non lotta per i diritti degli animali da compagnia di fare una vita dignitosa e la più simile a quella che avrebbero fatto in natura, e contemporaneamente auspica che l’uomo non si cibi più di latte, carne e uova, presenta grandi contaddizioni ed inevitabilmnete induce a pensare che sotto sotto tuteli ben altri interessi. Le associazioni ambientaliste ed animaliste vere e plausibili sono quelle propositive e disponibili a rivedere dalla radice il rapporto dell’uomo con la natura, e che promuovono dibattiti costruttuttivi e concreti.

Questo tipo di associazioni deve doverosamente essere ascoltato, con l’obiettivo di negoziare per trovare soluzioni concrete. Esiste la possibilità, e si sta percorrendo, di riconvertire le pratiche agricole e zootecniche verso modalità più etiche e rispettose dell’ambiente e degli animali che non rinuncino a garantire agli allevatori ed agli agricoltori un giusto reddito ed alla gente cibo sano, abbondante ed accessibile a tutti. Mi trovo a constatare con amarezza che molte di queste associazioni si sottraggono al dialogo preferendo l’atteggiamento del “no a tutto”, aiutando consapevolmente o inconsapevolmente la diffusione del cibo artificiale che appare alle menti più semplici come la soluzione definitiva a tutti i problemi e la panacea alle multinazionali del cibo. Dire sempre no a tutto o, come nel caso dei politici, stare sempre all’apposizione, è una bella strategia per “vivacchiare” e lucrare. Diverso è mettersi in gioco per realizzare un mondo più sano e più giusto, dove di errori se ne possono fare tanti ma si ha la dignità di dire “almeno ci abbiamo provato”.