Nel 1945 finì la seconda guerra mondiale lasciando molti paesi europei con un sistema sociale, politico ed economico distrutto. I politici, gli imprenditori, gli agricoltori e i semplici cittadini di allora si “rimboccarono le maniche” per ricostruire quell’Italia che ora è, anche se un po’ appannata, una delle potenze economiche più importanti del mondo. Lo spirito di fare, ossia d’imprendere, e il senso dello stato hanno fatto superare all’Italia tutte le crisi sociali ed economiche che dal dopo guerra si sono succedute fino ai giorni nostri. Negli ultimi anni sembra che l’Italia si sia seduta, satolla delle risorse economiche che le imprese e le famiglie hanno accumulato di generazione in generazione e governata da una politica di basso livello e priva di senso dello Stato. Banche restie a rischiare nel finanziare attività imprenditoriali ma più propense ai meno redditizi ma più sicuri titoli di stato, imprenditori anche agricoli poco propensi a mettere in gioco le proprie risorse economiche e uno stato paralizzato dalla corruzione, dalla burocrazia e dagli interessi personali dei politici hanno consegnato alla decadenza sociale ed economica il nostro paese. Gli amari frutti di tutto ciò sono la disoccupazione specialmente giovanile, un’Italia che non cresce e che non riesce a competere sui mercati internazionale e troppe delle nostre imprese vendute all’estero. Ma come uscire da questa situazione per chi ovviamente ne vuole uscire? Sicuramente smettendo di lamentarsi e di cercare colpevoli invece di inventare soluzioni. L’Italia del dopo-guerra fu ricostruita non solo da leggi o sussidi (a parte il piano Marshall) ma da persone tenaci che senza se e senza ma hanno rimesso su uno Stato e costruito imprese ancora oggi di valore.

La nostra zootecnia sta attraversando un momento di crisi importante ma non peggiore di quello del resto d’Europa. Sconcerta però vedere solo pochi allevamenti italiani organizzarsi, reagire, rischiare investimenti, praticare lotte più o meno dure per il diritto di vedere riconosciuto un prezzo più remunerativo dei prodotti agricoli. La maggior parte dei discorsi sono finalizzati alla ricerca dei colpevoli. Pochi discorsi sulle soluzioni. E’ colpa dell’Euro, delle speculazioni finanziarie, di politici inerti e corrotti, di sindacati che poco rappresentano, delle banche, del clima che è cambiato, dalla crisi dei consumi, della mancanza dei sussidi etc. etc. In conclusione un’Italia in cui non funziona niente. Se i nostri nonni avessero avuto questo atteggiamento nel dopo guerra l’Italia non si sarebbe ricostruita e oggi sarebbe simile a uno dei tanti paesi del terzo mondo.

Le aziende agricole sono imprese del primario come imprese sono le professioni (terziario) che per esse lavorano. Chi imprende rischia per definizione. Molte delle nostre aziende agricole sono state fatte da gente che ha lavorato duramente per pagare gli enormi debiti fatti per comprare le aziende e innovarle. La gente di allora fece le centrali del latte pubbliche, i consorzi agrari, i consorzi di tutela, le cooperative, le associazioni, i sindacati perché i problemi di allora sono gli stessi di oggi. Inventarono queste infrastrutture per affiancare ed agevolare l’imprenditore agricolo che rischiava, con mission chiare e precise. La voglia di rischiare e l’associarsi è ancora la ragione che permette ad alcune zootecnie europee di “reggere” nonostante i bassi prezzi agricoli figli solo delle speculazioni finanziare e dell’assenza di una politica agricola europea ed italiana. Questo senso di resa e di inevitabile fine è il vero nemico da battere. L’attesa inerte che le situazioni cambino da sole non può portare, allora come adesso, a nulla di buono per nessuno.