La Pecora Brogna, un animale nostrano

La pecora Brogna è una razza ovina locale veronese, l’ultima ancora esistente, conosciuta anche come Nostrana, Badiota, Sengiarola, Brognola, Prognola, Testa rossa, e con altri nomi che variano di vallata in vallata.

È allevata soprattutto nella provincia di Verona, ed è diffusa principalmente nell’altopiano della Lessinia e nelle valli che lo solcano: la Val d’Illasi, la Val d’Alpone, la Valle di Chiampo e in Valpolicella. I Comuni dove sono maggiormente presenti allevamenti di una certa consistenza, sono Fumane, Badia Calavena, Roveré Veronese, San Mauro di Saline, Bosco Chiesanuova, Vestenanova, nella Provincia di Verona, e, nella provincia di Vicenza, Comune di Altissimo, Valdagno ed Asiago. È interessante notare come la presenza attuale dell’animale coincida, all’incirca, con l’isola linguistica “Cimbra” di origine germanica.

La pecora veronese viene allevata perlopiù in forma stanziale in allevamenti con una consistenza media di 30-70 capi. Un solo allevamento è attualmente costituito da un gregge di circa 700 capi allevati secondo la tecnica di transumanza locale, che prevede lo spostamento a rotazione del gregge nei pascoli in altura nel periodo da Marzo a Novembre e nelle zone pedemontane e di pianura nel periodo invernale.

La consistenza attuale (Gennaio 2017) può essere stimata in circa 2500 capi, in leggero calo rispetto a una decina di anni or sono, a causa della chiusura di numerosi piccoli allevamenti gestiti da pensionati che non hanno trovato continuità di lavoro nelle nuove generazioni.

La presenza sulle Prealpi veronesi della pecora Brogna ha fatto in modo che questo animale sia stato in grado di adattarsi a questo ambiente, sia per gli aspetti fenotipici che per la capacità di riuscire a vivere in questo contesto sfruttando al meglio le risorse tipiche del territorio. Infatti, caratteristica peculiare delle razze e degli ecotipi locali, è quella di essere riusciti a sviluppare un particolare adattamento all’ambiente in cui vivono e al suo clima, da una parte formando una flora ruminale in grado di digerire al meglio le essenze vegetali tipiche della zona, e dall’altra sviluppando particolari resistenze nei confronti dei patogeni autoctoni.

Ben proporzionata nelle forme, la pecora Brogna ha una taglia media, con altezza al garrese di circa 68 cm ed un peso che varia dai 50 agli 80 kg, a seconda del sesso e dello sviluppo. Il tronco è di media lunghezza, proporzionato all’altezza dell’animale, la coda è lunga fino al garretto ed è ricoperta di lana. L’aspetto è grazioso, piacevole e gentile. Il torace è poco profondo. La groppa si presenta leggermente spiovente e gli arti sono fini ma robusti. La testa ha un profilo leggermente montonino ed è acorne in entrambi i sessi (solo alcuni arieti possono presentare degli abbozzi corneali di massimo due centimetri) con macchie più o meno estese di colore tendente al rosso. Anche le orecchie possono essere maculate e sono portate obliquamente verso il basso. Gli arti e l’addome sono privi di lana e di colorazione completamente rossa (anche con tonalità tendenti al castano chiaro o bruno) o pigmentata di tali colorazioni.

La pecora Brogna, si contraddistingue per essere una animale a triplice attitudine. Una pecora quindi in grado di produrre carne, latte e lana. Le singole produzioni, pur scarseggiando in termini quantitativi, se raffrontate con quelle di razze specializzate, si contraddistinguono in termini qualitativi per tutti e tre i prodotti.

Pecora Brogna, una storia che parte da lontano

Il tema della pastorizia, e dell’allevamento ovino in particolare, è da considerarsi una tra le tematiche che hanno caratterizzato l’uso del suolo e l’attività economica del passato nell’area montana veronese. Questa antica tradizione, nei secoli, è profondamente mutata insieme alle popolazioni che, di volta in volta, hanno frequentato gli alti pascoli della Lessinia.

L’allevamento ovino in Lessinia è strettamente legato alla storia della pecora Brogna, razza ovina autoctona  della montagna veronese che per lungo tempo è stata a rischio estinzione. Le informazioni circa le origini di questa pecora sono scarse. Certa è invece la sua diffusione nel corso del tardo medioevo in provincia di Verona, in particolare sull’altopiano dei Monti Lessini.

Un forte impulso all’attività pastorale si ebbe durante il dominio degli Scaligeri. A testimonianza del fatto che la pastorizia in quell’epoca era attività importante, si può segnalare come a Verona, a pochi passi da Piazza Erbe, nel corso dei Portoni Borsari si trovava il luogo delle Sgarzarie. In tale isolato era ospitato l’opificio dei garzatori e il cosiddetto “Fondaco del Segnoro”, dove gli operatori del settore laniero potevano affiancare, ai tradizionali luoghi di lavorazione del prodotto, uno spazio dedicato alla misurazione, alla pesatura e alla timbratura delle pezze di lana prima della loro vendita. Sotto la loggia c’era il mercato delle lane. Per tutto il trecento, la lavorazione della lana ha rappresentato una delle attività principali degli artigiani veronesi, i quali erano dediti alla produzione di manufatti molto rinomati, detti panni alti veronesi, .

In corte delle Sgarzarie c’erano 14 “staci”, botteghe-laboratori dove lavoravano vari artigiani. La lavorazione dei panni alti cominciava con il purgo della lana, ovvero con la pulizia del filato attraverso il lavaggio nell’acqua dell’Adige. In questo modo si toglievano le impurità e in seguito, dopo la filatura e la tessitura, il panno era avviato alle follerie a Veronetta. Qui, i panni venivano imbevuti in una soluzione di sapone, pigiati a file e sottoposti ai colpi di magli della gualghiera, un macchinario mosso dall’acqua che li rendeva spessi, sodi e li infeltriva. A questo punto i panni erano pronti per essere portati agli opifici citati, dove venivano puliti e grattati con il garzo, un cardo selvatico dotato di spini forti, che toglieva ogni impurità. Infine, con delle forbici, si tagliavano le punte eccedenti in modo che le cime fossero uguali tra loro. Le lane successivamente venivano colorate e trasformate in una vasta gamma di tessuti.

L’introduzione, allora, di una varietà selezionata di pecora, precorritrice dell’attuale Brogna, con caratteristiche di lana lunga e pregiata, pare sia stata praticata per controbattere la concorrenza dei panni alti ricavati dalle costosissime lane di importazione (delle Fiandre, Inghilterra, Francia, Spagna …) e per la produzione di pergamena (la carta di Fabriano non era ancora utilizzata in maniera così diffusa come avverrà a partire dal ‘500, con l’invenzione della stampa e l’utilizzo di carta impastata con stracci e polvere di legno).

La famiglia degli Scaligeri, oltre ad avere proprie greggi, ospitava nei pascoli di proprietà anche greggi di altre famiglie. Per questo servigio ricevevano un tributo di pascolo, che veniva ricambiato con assistenza e protezione. In questo periodo erano praticati anche contratti di soccida, che prevedevano un accordo economico tra il proprietario del gregge e quello del fondo agricolo.

Numerose furono le regole sui pagamenti relative al pascolo degli ovini. Ad esempio, venivano riconosciute al soccidante la metà delle lane e venivano regolamentati i quantitativi di formaggio o ricotta che spettavano alle parti.

Le ricerche del professor Pastore – inizia la riscoperta della razza

La volontà di salvaguardare la biodiversità in campo zootecnico è nata e si è sviluppata a partire dalla presa di coscienza del processo di impoverimento del materiale biologico causato dall’eccessiva concentrazione nell’interesse alla specializzazione di specie che hanno come unico obiettivo la produttività.

Solo agli inizi degli anni ’70 in Europa si cominciò a prendere atto del rischio di erosione genetica nel patrimonio zootecnico autoctono.

In Italia, dal 1976 il Consiglio Nazionale della ricerca avviò il programma finalizzato alla “Difesa delle risorse genetiche delle popolazioni animali”.

E’ per questo motivo che in Lessinia a partire dagli anni ’80, il Prof. Emilio Pastore dell’Università di Padova ha promosso un’operazione volta al recupero delle antiche razze ovine a rischio di estinzione del Veneto. Egli ha sondato l’intero territorio della Lessinia per selezionare quei soggetti che rispondessero alle caratteristiche biometriche di razza che negli anni a seguire vennero descritte nel Registro Anagrafico di Razza.

Il professor Pastore ha avviato così il percorso da seguire per la salvaguardia della biodiversità tra le razze ovine venete che può essere riassunto in 4 punti:

  • Identificare ed inventariare
  • Preservare e gestire
  • Valutare
  • Valorizzare

L’obiettivo di tale lavoro è stato quello di dare un contributo alla conoscenza delle razze ovine autoctone del Veneto, tra cui la pecora Brogna, partendo dalla ricostruzione storica delle loro origini, studiandone l’evoluzione e individuandone le caratteristiche e le tipicità.

Dal 2000, anche Veneto Agricoltura, su indicazione della Regione del Veneto, ha attivato, presso la propria azienda pilota per la montagna di Villiago (Sedico, Bl), un centro di conservazione delle quattro razze autoctone del Veneto, tra cui la razza Brogna introdotta a Villiago nel 2001. L’obiettivo del Centro di Conservazione è, tra l’altro, la produzione di giovani riproduttori (agnelle e montoni) per gli allevatori interessati, oltre a quello di sviluppare, in collaborazione con altri operatori pubblici o privati, ulteriori azioni a sostegno dello sviluppo dell’allevamento.

L’Associazione per la promozione e la tutela della Pecora Brogna – i Pastori si uniscono

Nel 2012 è stata fondata da allevatori, tecnici e ristoratori del territorio l’Associazione per la promozione e tutela della pecora Brogna che, con l’aiuto di enti locali come il Gruppo di Azione Locale Baldo-Lessinia, il BIM Bacino Imbrifero Montano dell’Adige, la Comunità Montana della Lessinia e diversi Comuni, sta cercando di promuovere l’allevamento di questo animale con iniziative e strategie sul territorio mirate a far conoscere i prodotti della pecora Brogna.

Con il costante aumento del consumo di tali prodotti si sta costruendo tra i consumatori un volano economico che può dar vita, soprattutto tra i giovani, ad un nuovo interesse per questo tipo di allevamento. Con una maggiore richiesta di prodotti ci sarebbe lo spazio per far nascere nuovi allevamenti, incentivando così un’economia sostenibile in aree svantaggiate che altrimenti vedono un costante abbandono, soprattutto da parte della popolazione giovane del territorio.

Si è pensato che, per incentivare il consumo di carne, ed in particolare di agnello, di pecora Brogna, fosse fondamentale il coinvolgimento di ristoranti, trattorie ed agriturismi locali. Per questo, a fine novembre 2013, l’Associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna ha organizzato un corso di cucina con la consulenza di due chef di fama internazionale. Essi hanno iniziato i cuochi iscritti alle tecniche per esaltare in cucina le proprietà della carne di agnello e pecora Brogna, sfruttando non solo i tagli più pregiati ma valorizzando l’intera carcassa dell’animale. Questo per incentivare una diversificazione dall’offerta tipica dei ristoranti che propongono l’agnello nel solo periodo Pasquale, utilizzando tagli pregiati e di agnelli importati dall’estero, e per stimolare ad un utilizzo più critico e consapevole delle carcasse, al fine di poter sfruttare anche i tagli meno nobili dell’animale. L’Associazione ritiene infatti che solo creando la giusta cultura gastronomica, sarà possibile incentivare il consumo di carne ovina tutto l’anno e, conseguentemente, generare una richiesta di animali agli allevamenti del territorio.

Un altro contributo importante per la diffusione dei prodotti di agnello e pecora Brogna sul territorio è fornito dalla collaborazione tra l’Associazione per la Promozione e Tutela della Pecora Brogna e l’A.Ve.Pro.Bi., l’Associazione Veneta Produttori Biologici e Biodinamici, che ha spinto alcune aziende agricole che allevano ovini di razza Brogna ad avviare la riconversione del proprio allevamento al metodo biologico.

Questo passo importante è in realtà avvenuto molto naturalmente e si è dimostrato una logica conseguenza del tradizionale allevamento della pecora Brogna nella montagna veronese. L’attuale gestione degli allevamenti, infatti, si identifica a pieno con quelle che sono le indicazioni richieste dal Regolamento che a livello comunitario disciplina il metodo di produzione biologico (Reg. CE 889/08). Tra le prescrizioni comunitarie, ad esempio, è richiesto un forte legame col territorio che tutte le aziende devono avere, in modo da rispettare i parametri di rapporto tra numero di animali allevati e terreni condotti. In questo modo le deiezioni animali non fungono da inquinanti per il terreno perché in eccesso diventando invece preziosi apportatori di azoto organico per lo stesso.

Altra peculiarità degli allevamenti di pecora Brogna, in linea con quanto richiesto dal regolamento CE 889/08, è che gli animali fruiscono spesso del pascolo. Questi animali infatti sono stabulati in stalla solo nel periodo invernale mentre per tutto il resto dell’anno vivono al pascolo in terreni opportunamente recintati allo scopo. I trattamenti veterinari sono sporadici e non si rendono necessari interventi di profilassi di massa. L’alimentazione si basa esclusivamente sull’utilizzo di erba da pascolo o fieno aziendale, sfruttando a pieno le caratteristiche tipiche del ruminante che è in grado di vivere e produrre alimentandosi di foraggi freschi o essiccati senza necessità di grosse integrazioni di concentrati, come avviene invece negli allevamenti intensivi. Tutte queste caratteristiche gestionali fanno in modo che gli allevamenti di pecora Brogna rispettino a pieno il Regolamento comunitario che disciplina le produzioni biologiche e siano, a tutti gli effetti, un modello d’allevamento sostenibile che la zootecnia di montagna dovrebbe prendere come esempio.

Quali prospettive per il futuro?

Lo sviluppo del “Progetto pecora Brogna” è legato anche alle caratteristiche di triplice attitudine (carne, latte e lana) che questa preziosa razza in via di estinzione possiede. Da un punto di vista lattiero-caseario gli intenti sono quelli di selezionare, in alcune aziende, quei capi che dimostrano per caratteristiche morfologiche della mammella e capacità produttive, un’attitudine lattifera migliore. L’intento infatti, una volta costituito un gruppo selezionato in allevamento, è quello di sviluppare la filiera del latte. Il formaggio “Mistorin”, infatti, fa parte delle tradizioni storiche della Lessinia, e già nei tempi addietro veniva prodotto a partire da latte vaccino ed ovino. Riprendere la produzione di questo tipico formaggio porterebbe ad ulteriori vantaggi economici per le aziende oltre a contribuire al recupero di un importante valore culturale ormai andato perduto.

Un ulteriore impulso per lo sviluppo dell’allevamento della pecora Brogna sarà dato dal consolidamento della filiera della lana. Ogni anno si riescono ad ottenere da un capo adulto circa due chilogrammi di lana sucida. Da questa lana, opportunamente lavata e cardata presso lanifici ancora attivi nella zona di Biella, si è ottenuto un filato di ottima qualità, che sta già riscontrando interesse da parte di privati che ne acquistano matasse o gomitoli per realizzare manufatti in pura lana. Tale filiera andrà col tempo incentivata in quanto, anche se non molto remunerativa, ha il vantaggio di creare aggregazione tra gli allevatori che nel periodo delle tose (primavera inoltrata) si coordinano per riuscire in breve tempo ad accumulare quantità di lana sufficiente per riuscire ad ammortizzare i costi di trasporto fino alla provincia di Biella. E’ inoltre un aspetto etico non trascurabile che un prodotto come la lana, che è sempre stato prezioso se non fondamentale per la popolazione montana, venga valorizzato anziché essere smaltito come rifiuto speciale, con costi ulteriori per l’allevatore.

Nell’ottica di incentivare nuovi prodotti, si sta già lavorando all’affinamento della produzione anche di salumi di pecora. In particolare, il salame di pecora, prodotto con carne ovina magra e grasso di suino, è già molto apprezzato tra i consumatori. Tale insaccato, oltre che suscitare ulteriore interesse e curiosità nei confronti dell’allevamento della pecora Brogna, è un ottimo sistema per gli allevatori per valorizzare animali adulti a fine carriera che altrimenti non porterebbero loro alcun reddito.

Tra le iniziative sviluppate dall’Associazione per la Promozione e tutela della Pecora Brogna c’è da ricordare anche la partecipazione all’Antica Fiera del Bestiame di Erbezzo. L’Associazione organizza una giornata interamente dedicata all’ovino e ai suoi prodotti con laboratori della lana, tosature e degustazioni di carni e formaggi. L’allestimento della Mostra Regionale degli animali di razza Brogna, arrivata alla terza edizione, è diventata un importante momento di confronto e crescita per tutti gli allevatori.

Come si è potuto descrivere, molte sono le iniziative che l’Associazione per la Promozione e tutela della Pecora Brogna, sta mettendo in atto, e molte altre sono quelle che ha intenzione di intraprendere. È ovvio però che il risultato di tutto questo lavoro avrà raggiunto il suo scopo solo se il consumatore saprà apprezzare, e soprattutto richiederà, i prodotti di questo prezioso animale, non solo per la qualità degli stessi, ma anche per il loro valore aggiunto. Infatti, l’allevamento della pecora e la pastorizia in genere in Lessinia hanno avuto ed hanno non solo una valenza economica ma anche una funzione storica, culturale e sociale per questo territorio.

Una pecora per l’ambiente

Una pecora per l’ambiente è lo slogan scelto dall’Associazione per la Promozione e la tutela della pecora Brogna. Anche nel territorio montano della Provincia di Verona si sta assistendo negli ultimi decenni ad una riduzione del numero di aziende zootecniche e ad un conseguente abbandono dei terreni agrari montani più marginali, con un progressivo rimboschimento delle superfici a prato e pascolo. Questo fenomeno di successione secondaria, per il quale in aree un tempo coltivate si stanno sviluppando nuovi boschi, è visto da molti come un fatto positivo, che va a bilanciare il grave fenomeno della deforestazione che si sta verificando nei paesi in via di sviluppo, dove si sta assistendo da tempo alla progressiva distruzione di ampie superfici di foresta tropicale.

Il rimboschimento di aree pascolive o coltivate a prato nelle aree montane porta invece a conseguenze negative sotto molti aspetti. In ambito ambientale si osserva una perdita di biodiversità di tutte quelle specie vegetali che necessitano di ambienti aperti, con la scomparsa di quelle associazioni erbacee ed arbustive che necessitano di luce per il loro sviluppo. In ambito animale, si assiste ad una minore disponibilità di cibo, oltre che per l’avifauna, con conseguente diminuzione della stessa, anche per le specie zootecniche allevate, fenomeno questo che porta all’acquisto da parte delle aziende agricole di foraggi e materie prime extraterritoriali. Altro effetto negativo da un punto di vista ambientale è l’aumento del rischio di dissesti idrogeologici, dovuto al fatto che i prati gestiti in maniera estensiva e con ridotta copertura arbustiva sono caratterizzati da una moderata perdita di suolo. Al contrario, in presenza di copertura arbustiva, si verificano più facilmente fenomeni erosivi ad elevato scorrimento superficiale, potenziali cause di inondazioni a valle con pericolo di frane e alluvioni. Inoltre, in periodi o aree siccitose, anche il pericolo di incendi è ovviamente molto più elevato in aree boschive piuttosto che in zone pascolive.

Da un punto di vista sociale, il fenomeno del rimboschimento comporta per la popolazione residente una perdita di conoscenze e tradizioni legate alle identità locali caratterizzate da quei lavori e attività storicamente svolte in territori montani: la fienagione, la gestione di una mandria o di un gregge al pascolo, la conoscenza di erbe e fiori utilizzati sia scopo terapeutico che culinario. Gli effetti negativi si ripercuotono anche sull’industria del turismo, che, a causa della perdita di valore estetico del territorio, per una omogeneizzazione dello stesso, assiste gradualmente ad una diminuzione della presenza di visitatori che si spostano per le proprie vacanze in aree dove la cura del territorio è considerato aspetto fondamentale e prioritario.

Questi fenomeni socio-ambientali appena elencati hanno ovviamente ripercussioni economiche sulle aree montane. La popolazione locale è sempre più orientata alla ricerca del lavoro verso valle e si assiste così ad un costante abbandono del territorio con conseguente innalzamento dell’età media degli abitanti residenti.

Per cercare di arginare questo fenomeno, iniziato ormai già negli anni ’60, una soluzione può essere quella di incentivare attività economiche sul territorio compatibili con lo stesso che possano invogliare giovani o imprenditori locali ad investire nuove risorse in zona montana. Una di queste attività è sicuramente la pastorizia che, come già detto, è sempre stata per la Lessinia fonte di reddito per la popolazione locale.

Siamo quindi convinti che l’allevamento della pecora Brogna possa rappresentare  una possibilità significativa di sviluppo per la montagna veronese, uno sviluppo nel quale la componente  economica può e deve convivere con il rispetto del territorio, la salute di chi lo abita (vegetali, animali e umani) e il valore sociale, indispensabile per la sostenibilità di qualsiasi progetto. Questo è il percorso che abbiamo iniziato e che auspichiamo per il futuro della nostra terra e delle generazioni future.

 

Autori: Marcello Volanti e Giuliano Menegazzi

Tratto da: “ la Lessinia ieri oggi e domani” n°40 anno 2017