Pubblicizzare un prodotto, una tecnologia, una persona o le proprie idee è stato ed è uno dei cardini del progresso. In questo modo, e dagli albori dell’umanità, il progresso ha potuto circolare e l’uomo ne ha tratto giovamento. Si è passati dalle insegne dei negozi e i comizi in piazza a forme di diffusione più efficaci e privi di confini come le televisioni ed internet. Oltre ad evolvere la diffusibilità della pubblicità sono evoluti i contenuti al punto di creare bisogni dove non c’erano e addirittura stili di vita e nuove definizioni di qualità. Ormai la raccolta pubblicitaria permette l’esistenza di giornali e televisioni garantendo profitti elevatissimi sia a chi la ospita e sia alle aziende che ne fanno uso. Anche gli addetti del nostro settore, e quindi noi tutti, utilizzano la pubblicità per informarsi o per pubblicizzare la propria attività e i propri prodotti. I prodotti che l’uomo utilizza si dividono in beni di largo consumo e in beni strumentali. I primi sono quelli per l’uso quotidiano del mangiare, vestirsi, etc mentre i secondi sono quelli che si utilizzano per produrre qualcosa. Facendo degli esempi concreti il latte è un bene di largo consumo mentre le attrezzatture per allevare le bovine o gli alimenti ad esse destinati sono beni strumentali. Pertanto la pubblicità a noi destinata come allevatori, zootecnici e veterinari è principalmente per presentare e proporre beni strumentali. Una scelta corretta di beni strumentali come i tori, i farmaci, gli additivi, le attrezzature della stalla, la sala di mungitura o ecotipi da seminare è parte integrante del successo o l’insuccesso tecnico ed economico di un allevamento. La scelta di un prodotto o l’altro o l’acquisto di un bene per risolvere un problema o aumentare le prestazioni di un allevamento è spesso difficile utilizzando solo le informazioni trasmesse con la pubblicità. Nel nostro paese e nel nostro settore non ci sono strutture pubbliche o private che si occupano di validare e confrontare prodotti omogenei e dare delle linee guida d’acquisto agli allevatori. Nel dubbio si prova perché alcune promesse fatte da alcuni prodotti sono accattivanti. Questo atteggiamento è però alla lunga logorante perché tende a ridurre gli acquisti e privare l’acquirente di una tecnologia oggettivamente interessante.

Uno spiraglio lo ha aperto la legislazione europea con il Regolamento CE 767 del 2009 dove viene regolamentata l’etichettatura e la comunicazione degli alimenti destinati agli animali. Questo regolamento in sintesi obbliga i produttori a scrivere sia sulle etichette ( cartellini ) e sul materiale pubblicitario solo ciò che si può sostenere con la bibliografia o con prove effettuate. Se ad esempio un integratore promette la riduzione delle cellule somatiche o l’immediata scomparsa delle cisti ovariche ciò deve essere dimostrato per non incorrere nel reato penalmente perseguibile di “pubblicità ingannevole”. Questa legge, poco pubblicizzata in Italia, aiuta l’acquirente a scegliere e quindi stimolare l’acquisto e contestualmente aiuta le aziende che hanno prodotti e soluzioni efficaci a differenziarsi ed emergere. La 767 è purtroppo dedicata sono agli alimenti e agli additivi zootecnici. Per tutti i beni strumentali (feed e no feed) un atteggiamento più responsabile nella comunicazione delle aziende contribuirebbe ad aumentare le vendite dei prodotti e darebbe ulteriori risorse agli allevatori per migliorare le performance dei propri allevamenti. Un codice etico che regolamentasse la pubblicità intorno ai principi di “non promettere cosa non si può mantenere” e al “dimostrare il meccanismo d’azione e l’efficacia” stimolerebbe l’attività di ricerca delle aziende, sposterebbe il competere non sul prezzo di vendita ma sull’efficacia e incentiverebbe gli acquisti di beni strumentali da parte degli allevatori.