Il valore di una qualsiasi impresa non è data dal solo fatturato che fa ma anche, e soprattutto, dalla marginalità economica che produce. Si possono avere attività che esprimono fatturati enormi ma hanno margini operativi bassi e viceversa. Per i nostri allevamenti è la stessa cosa. Si possono avere aziende con una produzione media pro-capite elevatissima ma che non guadagnano e viceversa.

Con la lenta e progressiva, e per certi aspetti inesorabile, erosione della marginalità in agricoltura, come in tutte le altre attività del primario, il conto economico assumerà sempre più un ruolo di guida mettendo in secondo piano le valutazioni di qualità derivanti dalla sola lettura delle prestazioni produttive come la media del latte consegnato o il posto occupato nella classifica di una mostra.

Un conto economico è composto da costi e ricavi. L’argomento ricavi è frustrante in quanto il potere contrattuale degli allevatori è storicamente debole nei confronti dei colossi che ritirano e lavorano il latte e poi lo distribuiscono. Negli anni orsono, quando la politica era più concreta e lungimirante, nacquero allo scopo le centrali del latte pubbliche e le cooperative di raccolta. L’ansia e la necessità di privatizzare ha consegnato a pochi industriali e qualche catena della GDO molta della lavorazione e della vendita del latte e dei suoi derivati. Molti allevatori per rimanere attivi si sono dovuti diversificare in altre attività come le filiere corte o le energie alternative. Sul fronte dei costi la possibilità d’intervento è relativamente più facile e veloce. Molti sono i centri di costo della produzione del latte. Si va da quello più sostanzioso del costo dell’alimentazione, al costo del lavoro, alle spese per l’energia, all’acquisto dei farmaci e del seme per la fecondazione artificiale. Se la gestione della contabilità tiene correttamente separata l’attività agricola da quella zootecnica tutti i costi per produrre gli alimenti aziendali andranno ripartiti su ciò che viene prodotto e trasferiti all’allevamento al costo di produzione e non al valore di mercato.

Questo è il metodo più consigliabile quando si è deciso di mettere mano seriamente e non teoricamente ai costi di produzione del latte. L’individualismo e l’isolamento degli allevatori ha radici culturali ma è anche stato ad arte coltivato in nome dell’antico “divide et impera” (dividi e comanda). Allevatori solidali ed uniti possono condividere l’acquisto di merci con un rapporto qualità/prezzo molto interessante. Possono fare sinergia sulla costosa proliferazione di attrezzatura per l’agricoltura, dalla produzione degli alimenti zootecnici, alla loro raccolta e al loro stoccaggio. Le produzioni agricole più forti del mondo sono proprie degli agricoltori e allevatori che sono stati capaci di aggregarsi. L’esempio dell’Olanda, della Danimarca e d’Israele sono molto significativi. Aggregarsi è facile sulla carta ma non lo è in pratica ma è forze l’unica soluzione “strutturale” per uscire dalla inevitabile e progressiva riduzione della redditività in agricoltura.