Si sa che le buone pratiche zootecniche sono state costruite da pacchetti di “paradigmi”, ossia da quei concetti tecnici universalmente condivisi dalla comunità scientifica internazionale e recepiti dai professionisti (veterinari e zootecnici) e dagli allevatori. Il “paradigma” dell’asciutta di 60 giorni è uno di questi.

I “paradigmi” possono essere modificati quando la ricerca scientifica trova nuove evidenze, dovute anche al fatto che la selezione genetica, e ora genomica, modifica rapidamente la popolazione delle vacche da latte. Prima di affrontare il tema della più corretta durata del periodo d’asciutta, è però necessario precisare perché sia necessario sospendere la mungitura, e quindi la produzione del latte, per un periodo più o meno lungo.

Le ragioni sono essenzialmente di tipo sanitario. Si asciugano le vacche perché l’asciutta è l’unico periodo del loro ciclo produttivo dove aumentano le probabilità di eliminare dalla mammella i microrganismi che vi sono penetrati nella lattazione precedente e durante il quale è possibile curare la lipidosi epatica, ossia creare quelle condizioni affinchè il fegato esporti gli acidi grassi che ha accumulato nelle prime settimane dopo il parto della lattazione precedente. Oltre alle ragioni sanitarie, ci sono quelle metaboliche. Se l’alimentazione e la gestione delle ultime settimane di gravidanza è corretta, la bovina può avere la possibilità di fare riserve di amminoacidi (proteine labili) da utilizzare dopo il parto, cioè quando la domanda elevatissima di nutrienti non è assecondabile perché l’ingestione è proporzionalmente troppo bassa. Inoltre, in asciutta la bovina può stoccare glucosio sotto forma di glicogene, da utilizzare dopo il parto quando il bilancio energetico è comunque negativo. É bene ricordare che in asciutta, o meglio nelle ultime settimane di gravidanza, il feto è in crescita esponenziale e la bovina deve produrre il colostro, garantire i suoi fabbisogni di mantenimento e crescita, avere sufficienti scorte di antiossidanti e garantire un’adeguata crescita follicolare, se si vogliono avere nuove gravidanze a 100 giorni dal parto.

La domanda che la comunità scientifica inizialmente si pose è: di quanto tempo necessita la bovina per raggiungere tutti questi obiettivi? Visto che la produzione di latte impegna grandi quantità di risorse nutritive, quanto prima del parto è conveniente sospendere la mungitura e quindi la produzione? Per le molte ricerche fatte allora si pensò che interrompere la produzione 60 giorni prima del parto successivo fosse il miglior compromesso tra la perdita di latte dovuta ad una volontaria interruzione della mungitura e la salute delle bovine, e quindi le performance ottenibili nella lattazione successiva. Per moltissimi anni il “paradigma” dei 60 giorni d’asciutta ha resistito. Le ricerche finalizzate alla sua modifica hanno per molto tempo sconsigliato un accorciamento a 45 giorni o addirittura una sospensione di questo periodo. Però, come si sa, la vacca evolve grazie alla selezione genetica e le sue performance produttive, almeno potenziali, sono in costante aumento. Potenziali perché la sub-fertilità e la scarsa longevità produttiva non permettono quasi mai al potenziale genetico di esprimersi completamente.

Ormai da molti anni si assiste al fenomeno di bovine che arrivano all’asciutta, e quindi ai 220 giorni di gravidanza, con produzioni ancora molto elevate e che superano i 20 Kg. Questo è molto frequente nelle primipare ma è spesso presente anche in bovine più anziane di alto potenziale genetico. Gli allevatori accorti tengono queste bovine in appositi reparti (dry-off) per oltre una settimana con razioni “povere”, ossia costituite di sola paglia e fieno. Nonostante questo, spesso la produzione scende lentamente e con difficoltà sotto i 14 Kg  al giorno, soglia alla quale si può in sicurezza interrompere la mungitura. Le ragioni di questo fenomeno sono genetiche e nutrizionali. Genetiche perché le bovine, senza avere avuto per questo una selezione specifica, tendono a spostare il picco di lattazione ben oltre i 60 giorni e la persistenza, ossia la produzione dopo il picco, è molto elevata. La ragione nutrizionale è che purtroppo, e ancora molto spesso, le bovine ricevono razioni uniche, molto energetiche e proteiche, per tutta la lattazione e quindi fino all’asciutta. Cerchiamo ora di analizzare la possibilità, o meglio i rischi e l’opportunità, di accorciare l’asciutta a 45 giorni, o addirittura a 35, almeno nelle bovine che arrivano a 220 giorni di gravidanza con produzioni molto elevate.

L’enorme lavoro di ricerca fatto in questi ultimi anni ha voluto verificare eventuali influenze negative di periodi d’asciutta inferiori ai 60 giorni su produttività, salute e fertilità della lattazione successiva, condividendo il fatto che mungere e bovine ancora dopo tale periodo dà un indubbio vantaggio economico all’allevatore. Ovvio è che in caso di asciutta corta (AC) le razioni alimentari da somministrare sono molto diverse rispetto a quelle utilizzate per l’asciutta di durata tradizionale (AT). Questo dettaglio è molto importante. In caso di AT sono tre i piani alimentari necessari: quello di asciugamento utilizzato per circa una settimana, quello propriamente d’asciutta utilizzato per un mese e quello di preparazione al parto impiegato per 20 giorni. Si tratta di tre cambi di razione molto ravvicinati ma che danno un tempo sufficiente al rumine di adattarvisi. In caso di AC di 35-45 giorni adottare lo stesso schema è piuttosto pericoloso, per cui si consiglia di adottare solo due diete, quella per l’asciugamento e quella di preparazione al parto. E’ sulla base di questo che i ricercatori hanno fatto le ricerche per verificare eventuali impatti negativi sulla lattazione conseguente all’AC. Un accorciamento dell’asciutta a 35 giorni dà un immediato vantaggio produttivo sulla lattazione in corso di circa 500 kg e 600 kg di latte in più rispettivamente per le pluripare e le primipare. Non sono state riscontrati effetti negativi sulla produzione e la concentrazione di grasso nella lattazione successiva, se non addirittura un aumento della proteina del latte. Una minore produzione è stata osservata in caso di asciutta cortissima (ACS) o addirittura sospesa (NOA). Si è rilevato che l’AC riduce la prevalenza della chetosi nella lattazione successiva e la quantità di colostro (8.9 vs 6.8 kg) della prima munta, ma non il trasferimento delle immunoglobuline al vitello. Relativamente all’impatto sulla salute della mammella è stato verificato che per rinnovare l’epitelio mammario sono necessari 25 giorni. Pertanto, una AC di 35 gg è un periodo sufficiente. Il rischio di nuove infezioni mammarie all’asciugamento aumenta proporzionalmente alla produzione in quel momento. Ogni 5 kg di produzione oltre i 12.5 kg aumenta del 77% il rischio di nuove infezioni mammarie. L’AC dà per questo un notevole beneficio. Secondo altri autori la percentuale di bovine con più di 200.000 cellule somatiche/ml al primo test dopo il parto non è influenzata dalla durata dell’asciutta.

Pertanto, si può concludere che l’accorciamento del periodo d’asciutta non ha influenze negative sulla salute della mammella. Sebbene, fisiologicamente, il 76% delle bovine abbia una durata della gravidanza di 280 giorni ed il 9.8% inferiore a 275 gg,  l’AC tende a ridurre il periodo di gravidanza. Di sicuro interesse è invece l’effetto dell’AC sull’ingestione dopo il parto, sui NEFA (dimagrimento) e sul BHBA (chetosi). Se nell’AC viene gestita correttamente la dieta, dopo il parto si avrà una maggiore ingestione (anche di 3 kg) di sostanza secca rispetto all’AT. Altro effetto positivo è la riduzione nel dopo parto sia dei NEFA che del BHBA. L’accorciamento dell’asciutta non ha ripercussioni negative sul peso dei vitelli e sulla fertilità mentre apporta un beneficio sul tasso di rimonta.

Conclusioni

Viste le numerose evidenze e considerando l’evoluzione genetica delle bovine si può ragionevolmente consigliare una riduzione “mirata”, o meglio individuale, del periodo d’asciutta dai tradizionali 60 giorni ai 35-45 giorni. Il beneficio economico è innegabile e gli effetti collaterali praticamente nulli. Quello che è assolutamente sconsigliabile è la sospensione dell’asciutta o le ACS. Rimane da approfondire se una AC dia il tempo sufficiente alle bovine di guarire dalla lipidosi epatica, che ha un effetto non sempre “esplicito” sulla salute, l’efficienza e soprattutto la fertilità delle bovine. Per evitare inutili rischi è consigliabile adottare le indicazioni offerte dalla nutrizione clinica per la gestione della lipidosi epatica ed eventualmente investire una parte del guadagno derivante dal maggior latte munto con l’AC nei pochissimi principi attivi di comprovata efficacia su questa patologia ad alta prevalenza nella vacca da latte. Per questo, e per altre ragioni, può valere la pena considerare due gruppi di AC, uno per le primipare con diete specifiche ma semplici, e uno per le pluripare dove predisporre i nutrienti necessari alla cura e alla prevenzione della lipidosi epatica.