Secondo la Treccani, per dottrina s’intende una “Serie organica di principî che costituiscono la base di una scienza, di una filosofia, di una religione oppure un complesso di cognizioni apprese con lo studio e coordinate organicamente fra loro”.

Se riflettiamo bene su quale sia il metodo migliore per allevare al meglio le bovine, anche detto lo “stato dell’arte”, ci rendiamo conto che si tratta di un insieme di paradigmi. Lo storico della scienza Thomas Kuhn descrisse tale concetto come “un insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente, all’interno di un periodo di tempo”. Pertanto, la dottrina di come allevare le vacche è un insieme di paradigmi, ossia principi universalmente condivisi dalla comunità degli scienziati, dei tecnici e degli allevatori in un determinato periodo temporale. Ci sono però persone appartenenti a queste comunità che, per finalità diverse ma spesso motivate dalle esperienze empiriche e dalla curiosità scientifica, individuano nei paradigmi delle falle, che Kuhn definì anomalie. Un paradigma è infatti robusto e resiliente se è affidabile, se ha un’alta capacità di prevedere e se non ha, quindi, anomalie.

Per meglio comprendere questa riflessione dalle grandi ricadute pratiche si possono fare degli esempi di paradigmi. E’ universalmente condiviso che le bovine abbiano bisogno, tra una lattazione e l’altra, di un periodo d’asciutta di 45-60 giorni, che la fase di transizione inizia tre settimane prima del parto e finisce tre settimane dopo il parto, che è bene che il pH delle urine delle bovine prossime al parto sia basso, che il periodo ideale di allattamento dei vitelli delle razze da latte deve essere di 60 giorni, che il vitello deve essere allontanato dalla madre alla nascita, che la TMR sia la migliore tecnica di alimentazione delle bovine e che per produrre più latte possibile bisogna che i giorni medi lattazione siano i più brevi possibili, cosa che comporta che le vacche debbano essere fecondate appena si può dopo il parto. Ci sono paradigmi economici, ossia quelli che hanno fatto affermare l’allevamento intensivo su quello estensivo, quelli relativi al concetto delle economie di scala oppure che affermano l’esistenza di una correlazione diretta tra fatturato e profitto. C’è poi una corposa serie di paradigmi della nutrizione della bovina da latte, che vanno dalla concentrazione di amido della razione al giusto livello di urea nel latte, e che affermano che non serve integrare le vitamine del gruppo B nelle razioni. L’elenco dei paradigmi che compongono la dottrina che stabilisce come allevare le bovine da latte è piuttosto lungo. Questi possono essere classificati nei seguenti raggruppamenti: genetica, ambiente, sanità, management, nutrizione ed economia. I paradigmi vengono insegnati nelle scuole professionali e all’università, e ricordati nei momenti di formazione e aggiornamento per allevatori e professionisti.

Per comprendere a fondo il concetto di dottrina e dei paradigmi, è bene recarsi all’estero nelle zootecnie emergenti come quella della Cina e del sud-est asiatico. Questi popoli hanno infatti imparato a memoria la dottrina di come allevare le bovine da latte e la applicano pedissequamente nei loro allevamenti, facendo un copia e incolla dogmatico dei suoi paradigmi genetici, ambientali, sanitari, gestionali ed economici, e rimanendo sconcertati quando si presentano anomalie. La ricerca e l’esperienza empirica però non rimangono mai ferme, accumulando conoscenze su conoscenze, e soppiantando molte di quelle vecchie con le nuove. Se i paradigmi una volta condivisi dai più si fossero cristallizzati nel tempo, probabilmente continueremmo a credere che è il sole a girare intorno alla terra oppure che la migliore ruota sia quella quadrata.

Un paradigma comincia scricchiolare quando presenta delle crepe, ossia quando non dà risposte certe e definitive ai problemi per i quali fu formulato. Anche gli allevatori e i professionisti che lavorano negli allevamenti, come i nutrizionisti e i veterinari, hanno un ruolo attivo nel demolire i vecchi paradigmi e costruirne di nuovi, sempre che utilizzino un criterio scientifico molto vicino al metodo scientifico. Tutti noi siamo consapevoli del fatto che i paradigmi dell’attuale dottrina di come allevare le vacche da latte sono zeppi di anomalie.

Per onestà intellettuale, si può veramente dire che tutte le bovine che fanno il periodo di transizione esattamente come descritto dal protocollo non avranno problemi e faranno una lattazione sensazionale? Siamo così sicuri che le vacche che non fanno il periodo d’asciutta non saranno pienamente produttive nella lattazione successiva? Siamo certi che un vacca che ha costantemente un livello di urea del latte altissimo non rimarrà gravida o non porterà avanti la gravidanza? Queste precisazioni sono importanti perché nella zootecnia, ma anche in tanti altri settori, esistono e dilagano tanti pregiudizi o bias, ossia convinzioni nate su esperienze limitate e non ripetibili. Non bisogna commettere l’errore di scambiare un pregiudizio con un nuovo paradigma che sostituisca il precedente. Tutti noi che lavoriamo negli allevamenti di bovine da latte, anche se inconsapevolmente, sappiamo quali paradigmi della dottrina di come allevare le vacche sono diventati “corrotti”, ossia fragili e discutibili. Probabilmente erano quelli nati da poche evidenze scientifiche o da pregiudizi.

Le attività umane evolvono perché evolve la conoscenza; ma, affinché ciò si tramuti in qualcosa di positivo, la sostituzione di paradigmi vecchi con quelli nuovi deve avvenire con un criterio che altro non è che il metodo scientifico. Per dovere di completezza, c’anche da dire che esiste una differenza tra il metodo scientifico e lo scienziato, perché non è detto che tutti gli scienziati utilizzino pedissequamente il metodo scientifico. La pandemia di Covid-19 ha portato brutalmente alla luce questo problema (su questo tema, leggi anche “Perchè fidarsi della scienza“).  L’attuale modo di concepire e gestire sia l’allevamento intensivo che estensivo delle bovine da latte sta presentando diverse crepe, molte delle quali emerse in seguito al pressing dell’opinione pubblica ma anche per ragioni tecniche. C’è qualcosa di fondo che non va se le bovine rimangono gravide solo dopo trattamenti ormonali, se la dermatite digitale ha ormai un andamento endemico, se la longevità funzionale della frisona è così breve, e chi più ne ha più ne metta. Molti dei paradigmi che costituiscono l’odierna dottrina dell’allevamento della bovina da latte stanno invecchiando e la sostituzione con i nuovi che sono già disponibili si scontra con il concetto di “abbiamo sempre fatto così”, oppure con l’appartenenza a qualche indefinibile scuola di pensiero. Il mondo ultimamente sta cambiando sempre più rapidamente: questo può essere visto negativamente da chi cerca di difendere strenuamente lo status quo oppure positivamente se si considera che sta offrendo, a chi le sa cogliere, nuove oppurtunità.