I viaggi di lavoro in Cina stimolano sempre riflessioni. Un mondo e una cultura così lontana ma anche così vicina alla nostra sta vivendo una rapidissima evoluzione nella produzione del latte bovino e nella catena del valore che essa genera, con aspetti che appartengono al nostro passato ma che possono dare spunti per il nostro futuro.

Il modello economico occidentale tende a comprimere i prezzi delle produzioni primarie per valorizzare la redditività del secondario e del mercato finanziario. Rimanendo nel nostro settore è evidente la tendenza ad una progressiva ma inesorabile riduzione del prezzo del latte e della carne alla stalla, resa possibile essenzialmente da una concentrazione sia dell’industria di trasformazione che della GDO. Il tutto giustificato, anzi “mascherato”, da notizie catastrofiche sui consumi e sulle produzioni “esuberanti” di alcuni paesi e sui cali di consumo.

Nel periodo Settembre- Dicembre 2014 il prezzo medio del latte alla stalla è stato in Lombardia di Euro 38.6/100 litri cioè, in calo rispetto al periodo Gennaio-Agosto 2014 di Euro 4.9/100 litri e quindi di circa l’11% . Confrontando l’andamento del prezzo del latte fresco al consumo sulla piazza di Milano nei primi 8 mesi del 2014 ( 139 euro/100 litri) con quello del periodo Settembre-Dicembre 2014 ( 141 Euro/100 litri ) si è registrato un aumento di circa l’1%. Il dato che palesemente porta ad attribuire questo calo del prezzo alla stalla ad un azione speculativa è dimostrato dal fatto che si è calato il prezzo quando storicamente nel periodo Agosto-Dicembre si produce meno latte in Europa, anche se la produzione europea è aumentata nel 2014 del 4.6%. A Gennaio 2015 il prezzo del latte alla stalla è sceso ulteriormente. A Gennaio 2015, rispetto a Gennaio 2014 il prezzo del latte alla stalla si è ridotto del 12% mentre nell’analogo periodo il prezzo del latte fresco al consumo è aumentato del 10.8% !!

Questa situazione sta mettendo in difficoltà molti allevamenti italiani e l’indotto ad essi legati senza che ancora, ad oggi, ci sia una risposta dall’Anti Trust sull’esistenza ancora di un regime di concorrenza in Italia o dalla magistratura relativamente all’interrogativo se tutto il latte destinato alle DOP e IGP  o comunque marchiato “Made in Italy” lo sia veramente. Ma cosa c’entra la Cina in tutto questo? In questo paese il PIL cresce ancora tutti gli anni di due cifre, forte anche della crisi del modello economico  di sviluppo occidentale del 2008, basato più sulla speculazione finanziaria che su una reale crescita economica dei paesi. Il prezzo del latte in Cina, seppur più basso rispetto al 2014, è molto sostenuto essendo di circa 70 euro/100 litri. Sappiamo che il costo maggiore di produzione del latte è l’alimentazione e in Cina una razione alimentare per le vacche in lattazione raggiunge spesso i 10 euro capo, dovuta ad un prezzo elevato d’acquisto delle materie prime in un mix simile a quelle utilizzate in occidente, nonostante il mercato mondiale degli alimenti zootecnici sia gestito da 5 multinazionali che controllano dal 75 al 90 % delle materie prime con un fatturato di 365 miliardi di dollari.

Analizzando i costi di produzione del latte in Cina ci si accorge che, a parte la spesa ridotta per la mano d’opera, il resto costa molto di più che in Italia e il prezzo del latte al consumo è sicuramente più basso. L’alto prezzo del latte alla stalla giustifica un costo dell’alimentazione elevata che, insieme alla possibilità economica di adottare beni strumentali di ultima generazione, mantiene un indotto importante.

L’Italia è un paese dove il lattiero-caseraio rappresenta il 12.4% di tutto l’agroalimentare sostenendo un indotto non indifferente. In Italia la differenza tra il prezzo del latte alla stalla e al consumo è di 112 euro/litro, ossia il costo della materia (latte) prima incide per solo il 24%. La comunità europea dovrebbe mettere in atto azioni che mantengano oltre una certa soglia il prezzo del latte alla stalla, lasciando al mercato il giusto posizionamento del prezzo del latte al consumo con un modello nuovo rispetto a come sono state gestite le produzioni primarie, non dimenticando il valore strategico che ha l’agricoltura in un mondo che cresce di circa 200.000 individui al giorno. Questo consentirebbe agli allevatori di avere quella redditività necessaria a migliorare ed espandere la propria attività, investire in tecnologie volte a migliorare quel benessere degli animali e quella sicurezza alimentare auspicata dai consumatori occidentali ma che in molti casi l’allevatore non riesce a garantire per mancanza di mezzi economici.

Un minor differenziale tra il prezzo del latte alla stalla e quello al consumo, sul modello cinese, darebbe un sicuro impulso all’indotto e quindi all’occupazione. Ci auspichiamo quindi che anche i molti settori dell’indotto e la politica  partecipino  più attivamente nel migliorare la catena del valore del latte.