Il periodo in cui viviamo è davvero complicato.

Già il mercato dei fattori di produzione (materie prime, energia, gasolio, manutenzioni, ecc.) ci mette di fronte ad aumenti che potremmo considerare incredibili. Basti pensare che la granella di mais è balzata da circa 19 €/q agli attuali 29: significa ben oltre il 50% di aumento di un prodotto basilare per l’alimentazione delle vacche da latte.

Qualcuno paga: le aziende agricole sono tra queste.

Sul fronte dei ricavi, il prezzo di vendita del latte alimentare, pur mostrando interessanti segnali, non si è ancora trasferito sulle fatture di vendita effettuate dalle aziende agricole.

Qualcuno guadagna: le aziende agricole non figurano in questo elenco.

Come se non bastasse, il nostro settore vive con molta preoccupazione le sollecitazioni legate ad un richiamo alla sostenibilità ambientale ed ai desideri dei consumatori. A volte rischiamo di vedere i consumatori in modo ostile; come se non fossero il nostro mercato.

Credo di non fare la figura del genio se dico che una serie di paradigmi su cui abbiamo impostato le nostre aziende nel recente passato, siano da modificare. In fretta anche.

Alcune di queste abitudini mentali sono entrate a far parte del nostro modo di gestire le aziende; altre sono figlie dell’impostazione economica generale.

In pratica, da un punto di vista gestionale mi riferisco al fatto che dovremo ridurre drasticamente l’utilizzo di farmaci, in particolar modo antibiotici e sostanze ormonali utilizzate a fini riproduttivi; dovremo aumentare in modo significativo il livello di selezione verso la resistenza alle malattie e verso la longevità; dovremo gestire i liquami in modo da ridurre il livello di metano (per chi non ha biogas) e di ammoniaca rilasciati in atmosfera; dovremo tutelare con investimenti strutturali e gestionali il benessere degli animali in ogni fase di vita; dovremo utilizzare meno paglie e similari; dovremo gestire la transizione all’autoproduzione di energia elettrica ed alla sostituzione di alcuni cantieri di lavoro (la gestione alimentare, ad esempio) ora basati sul gasolio.

In questa situazione dovremo avere costi di produzione tali da garantire alle aziende un adeguato livello di redditività.

Un bel libro dei sogni, non c’è che dire.

Le aziende di vacche da latte, così come quelle di altri settori produttivi (pensiamo all’automotive ed ai trasporti in generale; all’insieme del settore petrolifero, dal piccolo distributore alla grande raffineria), sono destinate nel giro di pochi anni a cambiare pelle. Da una parte è necessaria una forte predisposizione ai cambiamenti operativi, dall’altra serve un chiaro indirizzo agli investimenti. Ci sono alcuni cambiamenti che possono essere fatti modificando le proprie routine di lavoro; per altri è necessario procedere ad investimenti.

Mi rendo perfettamente conto che le condizioni di mercato parrebbero non favorire l’espansione. Molti di noi ricordano il primo periodo dei biogas con tariffe incentivanti a 0,28 €cent/kwh. Gli investimenti richiesti erano formidabili; alcuni hanno pensato che fosse un’opportunità. I più non si sono fidati e sono stati a guardare. Ognuno valuti il risultato.

Dunque cambiare vuol dire anche investire. E quale periodo migliore per investire se non in un momento di svolta?

Come in ogni contesto economico serio, gli investimenti devono essere attentamente vagliati in termini di rischi, opportunità e sostenibilità. In assenza di un’analisi seria in questa direzione si rischia il salto nel vuoto. Questa analisi si chiama Piano Strategico Aziendale. E’ l’analisi che permette di affrontare gli investimenti con la consapevolezza, calcolata, degli obiettivi che con essi è possibile raggiungere, dei rischi che è possibile sostenere, delle fluttuazioni di mercato che è possibile affrontare.

Dunque, si deve investire; con cautela.

Già Manzoni diceva: Adelante, con juicio; Avanti, con giudizio