È dagli anni ’80 che la produzione di mais per insilato continua ad aumentare in termini di superficie in pianura padana, rappresentando in modo quasi paradigmatico il foraggio base della razione, a parte la zona del Parmigiano Reggiano. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che il silomais era la coltura che massimizza l’energia prodotta per unità di superficie, e che rappresenta il modo per diminuire il costo della razione? A questo proposito ricordo un pioniere, un vero precursore di molte tendenze divenute poi consuetudini, l’ing. Venier, che utilizzava come foraggi 10/11 kg di S.S. da silomais e 1-2 kg di paglia, sotto gli sguardi accigliati dei cultori del fieno di prato. Negli stessi anni un altro grande del nostro settore, il prof. Succi, cominciò a diffondere la coltura della loiessa italica come insilato primaverile.

Parto da lontano ma l’argomento è attuale ancora oggi: possiamo immaginare una razione senza, o con molto poco, silomais sostituito da foraggere a raccolta primaverile? O se lo usiamo massivamente, con quali strategie possiamo renderlo più adatto alle esigenze attuali delle bovine?

Innanzitutto onore ai pionieri, ma i silomais degli anni ’80 avevano, per ragioni genetiche, contenuto di ADL molto elevato, e le prime loiesse tetraploidi da insilare faticavano a pre-appassire convenientemente per la massa foraggera enorme e la tendenza all’allettamento.

Quindi, idee moderne ma difficoltà attuative. A quarant’anni di distanza, grazie alla ricerca e di fronte a nuove problematiche, a che punto siamo?

Cominciamo dal silomais:

  1. Il silomais ha raggiunto produttività enormi.
  2. La genetica del mais, in termini di digeribilità dell’NDF, ha fatto passi avanti notevolissimi (pensiamo al mais bmr).
  3. Vi è stato un aumento delle problematiche sanitarie della pianta (piralide, diabrotica) che può essere contenuto con trattamenti insetticidi.
  4. Queste patologie della pianta spesso fanno da battistrada alla diffusione delle tossine, specialmente quelle da Fusarium, che possono essere combattute con fungicidi. Le ultime ricerche hanno rivelato che le fusariotossine non sono solo agenti patogeni per gli animali, ma sono capaci di influenzarne la produttività, a causa di una diminuita digeribilità della fibra.
  5. Il cambiamento climatico ha reso sempre più imprescindibile, viste le esigenze idriche del mais, il ricorso a tecniche di irrigazione (goccia, pivot) sempre più costose per permettere alla pianta uno sviluppo adeguato anche in carenza di risorse idriche (estate 2022 docet).
  6. In caso di irrigazione tradizionale, la scarsità idrica condiziona in modo rilevante la produttività per ettaro del silomais.

Per quanto riguarda gli autunno-vernini:

  1. Gli autunno-vernini da insilare hanno registrato anch’essi notevoli progressi di natura genetica.
  2. Dal punto di vista della disponibilità, abbiamo loiesse con maggior attitudine all’insilamento, orzi ibridi, frumenti foraggeri ad alta produttività, e miscugli di questi che spesso comprendono anche avena e triticale.
  3. I miscugli possono contenere anche leguminose primaverili come trifoglio, veccia e pisello che aumentano, anche in modo considerevole, le proteine dell’insilato.
  4. Vi è stata anche una riscoperta della segale.

Usufruiamo, quindi, di un ventaglio molto vasto in termini di produttività, qualità, epoca di sfalcio e modalità di conservazione, che lascia solo l’imbarazzo della scelta.

Questo stato di fatto ci fa porre una serie di domande un pò provocatorie:

  1. Sono gli autunno-vernini a doversi adattare al mais di secondo raccolto, o viceversa?
  2. Il mais di secondo raccolto, che raggiunge la fioritura in condizioni climatiche meno stressanti, può paradossalmente considerarsi sanitariamente meno pericoloso del primo raccolto?
  3. Inoltre, il secondo raccolto più adatto è sempre il mais o in certe situazioni è preferibile utilizzare un sorgo da granella o un sorgo BicolorxBicolor?
  4. Dobbiamo quindi considerare il mais come una coltura necessaria ma prevalentemente utilizzata per la produzione di pastone di pannocchia o di granella? E in questo caso, come utilizzare gli stocchi?

Queste domande non possono comunque prescindere dalla produttività per ettaro: infatti, la doppia coltura ha senso se la produzione per ettaro è superiore almeno del 25% a quella della monocoltura. Per esempio, se produciamo 21 tonnellate di s.s. con un silomais di primo raccolto, la doppia coltura ha senso se riusciamo a produrre 9 tonnellate di autunno vernini e 18 tonnellate di S.S. di silomais di secondo raccolto.

È quindi essenziale, soddisfatto il requisito produttivo, porsi obiettivi ragionevoli: minimizzare i rischi sanitari per la pianta e per gli animali, sfruttare il maggior numero di gradi calore, auto approvvigionarsi il più possibile e diminuire gli acquisti esterni, e, tramite la qualità dei foraggi, cercare di migliorare la qualità del latte.

A mio avviso una parte della superficie aziendale va comunque destinata a doppio raccolto, sfruttando così, specialmente nel periodo estivo, le caratteristiche di maggior appetibilità della razione, apportata dalla presenza degli autunno-vernini; inoltre, la digeribilità dell’NDF di questi ultimi è più costante nel tempo, aiutando così la produzione di grasso nel latte.

Inoltre, le linee guida della nuova PAC sembrerebbero premiare l’approccio del doppio raccolto.

Nel caso ipotetico in cui la superficie a doppio raccolto silo vernini silomais sia sufficiente, in termini quantitativi, a fornire totalmente o quasi l’approvvigionamento foraggero, il mais di primo raccolto dovrebbe essere destinato alla produzione di pastone di pannocchia. In questo caso, si dovrà mettere a punto un protocollo corretto per la raccolta degli stocchi.

Qualora invece, per ragioni agronomiche (terreni molto argillosi), sia difficoltoso effettuare il doppio raccolto, il silomais può essere utilizzato a quantitativi molto alti grazie alla tecnica di trinciatura shredlage, che permette di mantenere una lunghezza di taglio anche di 3-4 cm in modo da garantire un quantitativo sufficiente di fibra fisicamente effettiva (PeNDF) e al tempo stesso schiacciare convenientemente la granella.

Un’altra frontiera interessante è la successione mais precoce (minor necessità di irrigazione, minori rischi sanitari)/sorgo da sfalcio a ciclo corto per alimentare gli animali da vita.

Per questa categoria è comunque buona pratica destinare le superfici di difficile irrigazione ad una successione vernino ad alta produttività insilato (frumento, triticale)/sorgo di ciclo medio.

In conclusione, il silomais di primo raccolto non è più un elemento imprescindibile delle nostre razioni e la sua associazione con i vernini, in termini di risultati quali-quantitativi, è molto efficiente; d’altro canto, la produzione di pastone di pannocchia rappresenta una garanzia economica e sanitaria per la quota energetica della razione.