Dagli albori della nutrizione moderna della vacca da latte, si è molto dibattuto sui tanti e molteplici argomenti che le diverse scuole di pensiero e gruppi di ricerca hanno divulgato, affinando via via per ognuno di essi conoscenza, schemi di valutazione scientifica ed approccio applicativo pratico. Possiamo ricordare la nutrizione proteica, poi  più correttamente suddivisa nelle sue varie frazioni fino ad arrivare alla determinazione degli aminoacidi limitanti; quella glucidica in cui si sono via via determinate frazioni, calcolate fermentescibilità, individuate digeribilità intestinale; o quella lipidica, che tanto si è giovata dell’ accurata comprensione dei meccanismi di bioidrogenazione ruminale.

Alla richiesta del direttore di cimentarmi con uno o più aspetti sui quali non fosse stata fatta, a mio parere, sufficiente chiarezza e che meritassero ulteriore approfondimento, alla luce della mia ormai purtroppo lunga esperienza professionale, ho finito per scegliere quello che a mio avviso condiziona l’efficienza di tutti gli altri, di fatto la summa teologica e l’obiettivo di tutti gli sforzi che un nutrizionista nella pratica deve mettere in atto per massimizzare l’ efficienza della mandria: l’ ingestione di sostanza secca.

Per entrare nel vivo del problema, pongo una domanda che spesso ho posto a diversi operatori: se una razione permette la produzione di 180 gr di proteina batterica per kg di sostanza organica fermentata, e un’ altra ne permette 170, quale delle due è la migliore? Apparentemente la prima. Ma se di questa vengono fermentati 15 kg di sostanza organica e della seconda 17, evidentemente le cose cambiano. E la differenza la fa tutta l’ingestione.

REGOLAZIONE FISICA E FISIOLOGICA DELL’INGESTIONE

Dalla metà degli anni’80, con la valutazione della fibra operata da Mertens e Van Soest, si è iniziato a considerare le frazioni delle pareti cellulari come parametri per valutare da una parte l’ingombro della razione (ndf) dall’altra la digeribilità (adf ed adl). Si convenne che durante la fase di deficit energetico, tipica della fase iniziale della lattazione, il limite dell’ ingestione fosse fisico, cioè legato al contenuto di ndf di cui si considera possibile un’ingestione di circa l’1,2% del peso vivo. In questa fase è fondamentale mantenere i fabbisogni di fibra, pur tenendo presente che, dato il particolare momento coincidente con il picco di lattazione, è necessario formulare razioni molto concentrate. Cruciale è, specialmente, la ripresa dell’attività ruminativa nei giorni immediatamente successivi al parto, che fisiologicamente avviene al ritmo di circa 30 min al giorno e che di fatto rappresenta la miglior prevenzione dalle patologie puerperali e garantisce la massima capacità di assorbimento degli AGV da parte dei villi ruminali. In seguito, al termine del periodo di deficit energetico, è la regolazione fisiologica dell’ingestione ad intervenire come fattore discriminante, dal momento che sono i fabbisogni produttivi e riproduttivi dell’animale e la sua necessità di ripresa del peso corporeo a guidare il livello di ingestione.

Digeribilità, transito e fibra fisicamente effettiva

L’avvento del sistema dinamico (CNCPS) ha introdotto il concetto di digeribilità come risultante della relazione tra degradabilità e tasso di passaggio:  questo concetto, valido per tutti i principi nutritivi, per le frazioni fibrose diventa fondamentale e, se per le frazioni di fibra solubile la valutazione è relativamente semplice, per le frazioni legate covalentemente alle pareti cellulari va inoltre considerato il fatto che sono costituenti fondamentali della matrice ruminale, adesi alla quale vivono la stragrande maggioranza dei cellulosolitici ruminali.Come parametro riguardante l’aspetto meccanico funzionale della fibra, fu introdotto da Mertens il concetto di Fibra Fisicamente Effettiva (peNDF), a partire dalla considerazione che il diametro dell’orifizio reticolo ruminale misura 1.18 mm. Tutte le particelle al di sotto di questo valore non vennero considerate come fisicamente efficienti, e si assunse come linea guida il 70% di peNDF sul totale dell’ndf.

Pool di ndf e ndf non digeribile

Oltre alla forma fisica, il tempo di ritenzione ruminale e la digeribilità dell’ndf sono legati alle caratteristiche fermentative dell’ndf di ogni foraggio. Si sono individuati due pool di ndf potenzialmente digeribile: quello veloce(1) e quello lento(2); naturalmente la loro digeribilità da potenziale diventa reale a seconda del loro tempo di permanenza ruminale, che ora, secondo l’ equazione Nor-Fro, sembrerebbe essere più lungo, ridando quindi importanza al contributo di energia apportato dai foraggi. E’ chiaro che maggiore è il tasso di digeribilità della frazione veloce, maggiore sarà il suo utilizzo nelle prime ore dopo il pasto; nel caso dell’erba medica, quasi priva di emicellulosa, sarà anche maggiore il residuo di ndf indigerita nel rumine. Diverso il caso delle graminacee foraggere, caratterizzate da una minor velocità di digestione della frazione rapida ma da una migliore utilizzo della frazione lenta. Agli estremi opposti, paglia e fieno da una parte ed insilato di mais bmr dall’altra: basso il tasso di digestione veloce ed alto il residuo indigerito per i primi, mentre mentre il secondo ha digestione molto veloce e residuo basso. A partire da queste considerazioni è stato necessario rivedere l’equazione classica che determinava l’indigeribilità dell’ndf (adl moltiplicato 2,4), valida solo per i foraggi ricchi di lignina (paglia,medica) ma da rivedere su rapporti più alti per mais e graminacee. Per motivi chimico fisici (fragilità della fibra, progressivo appesantimento delle particelle indigerite costituite da percentuali crescenti di lignina) l’attenzione si è spostata sull’ndf indigeribile (undf) come valore più attendibile per la previsione dell’ingestione.  Questo assunto, apparentemente paradossale, ha una sua logica in quanto l’undf è fondamentale tanto per il riempimento ruminale quanto per la prevenzione dell’acidosi subclinica ruminale, dal momento che, come la matrice, garantisce motilità ruminale e produzione ottimale di saliva, il meccanismo fisiologico  della bovina per rimuovere gli ioni idrogeno. In sintesi, questo parametro dovrebbe variare tra lo 0.3% e lo 0.4% del peso vivo, nel range inferiore qualora i foraggi abbiano una digeribilità più lenta della frazione 1, in quello superiore qualora la digeribilità della frazione 1 fosse più veloce.

Oltre la fibra

A condizionare l’ingestione oltre all’aspetto della funzionalità e del riempimento ruminale vi sono infiniti fattori: quelli sociali (sovraffollamento, separazione degli animali per ordine di parto), quelli patologici (mastiti,metriti,zoppie), quelli metereologici (stress da calore) e quelli legati al management (distanza dalla zona di riposo a quella di mungitura). Per rimanere nell’ambito della nutrizione pratica mi piace ricordarne alcuni da non sottovalutare assolutamente, a cominciare dalla modalità di miscelazione del carro. La sofficità della miscelata, la sua umidità intrinseca (molto diversa da quella estrinseca, ottenuta bagnando con acqua), nonché lo sforzo di rendere il più possibile simile la lunghezza delle particelle foraggere, aiutati magari da elementi omogeneizzanti specie nelle razioni ricche di foraggi secchi (melasso), aiutano molto un’ ingestione ottimale, assieme ad un numero sufficiente di rabbocchi nel corso della giornata ed alla cura di non lasciare la mangiatoia vuota per troppe ore.

Inoltre, altro aspetto pratico da non sottovalutare è la qualità fermentativa degli insilati, di cui troppo spesso ci dimentichiamo, come quando ci troviamo di fronte a foraggi ottimi dal punto di vista nutrizionale che però presentano fermentazioni anomale o addirittura, nel caso dei foraggi preappassiti, residui di ceneri troppo elevati. Spesso la popolazione microbica presente in questi insilati (coli, clostridi, lieviti) effettua sul pabulum ruminale le stesse fermentazioni che ha operato durante la fermentazione dell’insilato, causando nei casi più gravi danni sanitari o alterando i pattern fermentativi con danni in prima istanza sull’ingestione.

Dal punto di vista tecnico, la discussione sui rapporti tra ingestione e singoli principi nutritivi potrebbe essere interminabile. Ma parlando di ecologia ruminale, lo sviluppo della popolazione cellulosolitica (con i suoi effetti positivi sull’ingestione) necessita di un tasso corretto di proteine solubili, dal momento che ammoniaca, aminoacidi, e oligopeptidi forniscono l’azoto necessario per la sua crescita. Un altro fattore limitante per i cellulosolitici è il maltosio, che molti di loro non riescono a sintetizzare, quindi bisogna prestare attenzione anche al tasso di zuccheri nella razione.

In conclusione, si può affermare che nuove tecnologie di razionamento, miglioramenti della qualità foraggera e conoscenza profonda della dinamica ruminale possano generare ingestioni si sostanza secca anche superiori al 4% del peso vivo, senza interferire sul benessere delle bovine… e quindi buoni 28 kg di sostanza secca a tutti!

DOI 10.17432/RMT.2050-2062