Come sappiamo, l’incidenza dei problemi zootecnici è molto più alta nel periodo di transizione dove la vacca sperimenta variazione bioenergetiche molto rapide. Spesso si commette un errore nel considerarli inevitabili, mentre essi hanno in realtà un rapporto causa-effetto ed una correlazione molto evidenti.

La visione classica della transizione considera l’ipocalcemia come una porta d’ingresso per tutte le patologie puerperali, perchè conduce a diminuita forza muscolare, minor motilità gastrointestinale, diminuzione della secrezione dell’insulina e immunodepressione. Spesso le vacche che affrontano una ipocalcemia transitoria sono quelle più produttive e in buona salute, ma dalla letteratura scientifica è chiaro che, dopo la somministrazione di lipopolisaccaridi di membrana ad azione infiammatoria, il calcio circolante si abbassa, dimostrando quindi una correlazione tra infiammazione e ipocalcemia.

Gli eventi infiammatori, se ripetuti, possono quindi contribuire ad un’ipocalcemia che persiste nel tempo; in questo caso l’infiammazione può fare da battistrada al rallentamento della ruminazione e a tutte quelle patologie correlate ad un’ipocalcemia persistente (cisti ovariche).

Rapporto tra calcemia e fibrinogeno (indicatore dell’infiammazione).

L’eccessiva mobilizzazione del tessuto adiposo e la conseguente iperchetonemia, che porta ad ipofagia, sono i fenomeni che abbiamo sempre considerato, in quest’ordine causale e temporale, al secondo posto tra i fattori favorenti una transizione insoddisfacente, sebbene anche in questo caso NEFA e BHB alti possano essere riscontrati anche in vacche senza sintomi clinici.

Tutti i fenomeni omeoretici del post partum obbediscono ad una strategia nota come “risparmio di glucosio” per favorire la produzione di latte, in particolar modo la diminuita sensibilità all’insulina dei tessuti non specializzati: se questi fenomeni si mantengono all’interno di parametri fisiologici, come nel caso delle vacche sane, permettono all’animale di gestire il bilancio energetico negativo senza sintomi infausti, mentre se si perde il controllo da parte del sistema metabolico ormonale, come nei casi subclinici e clinici di chetosi ed ipofagia, può aver luogo l’attivazione immunitaria.

Noi sappiamo che servono circa 72 g di glucosio per sintetizzare 1 litro di latte che contenga almeno 50 g di lattosio. Nei mammiferi in lattazione, come sopra detto, abbiamo un aumento dell’escrezione di glucosio epatico e della resistenza all’insulina dei tessuti periferici per favorire la sintesi lattea. Anche il sistema immunitario ha bisogno di un’elevata quantità di glucosio se viene chiamato in causa. Un sistema immunitario attivato intensivamente consuma 1 kg di glucosio in 12 ore, e per di più aumentano sia il glucagone che il cortisolo che stimolano l’output di glucosio epatico. Se questi fenomeni avvengono contemporaneamente, tutti i nutrienti necessari per la sintesi del latte diventano estremamente carenti; in questo caso diventa lampante la correlazione tra attivazione immunitaria e diminuzione dell’ingestione.

Consumo di glucosio durante il processo infiammatorio.

Citiamo inoltre la teoria dell’ossidazione epatica del glucosio che afferma che in caso di eccessivo arrivo di propionato, metabolita anaplerotico che stimola l’ossidazione dell’acetil coenzima A nel fegato, il senso di sazietà viene stimolato causando un’ulteriore ipofagia.

Inoltre, in caso di alta domanda di glucosio, l’ossalacetato lascia il ciclo degli acidi tricarbossilici per partecipare alla gluconeogenesi, quindi entrambi questi processi favoriscono l’ossidazione dell’acetil CoA facendo anch’essi da battistrada alla chetosi.

All’attivarsi del meccanismo infiammatorio molte cellule del sistema immunitario, utilizzano il glucosio tramite una glicolisi aerobia. Questo meccanismo permette una produzione rapida di ATP e aiuta la proliferazione dei ROS, necessari in caso di patologie ossidanti la membrana cellulare.

Questo fenomeno ha come effetto collaterale un aumento del catabolismo del muscolo scheletrico.

Tutte queste alterazioni metaboliche sono utilizzate per assicurare un apporto di glucosio ai leucociti attivati. Quindi, sia l’ipocalcemia che l’iperchetonemia hanno correlazioni molto strette con i processi infiammatori e rimane senza risposta la domanda su qual è il rapporto causa/effetto, ovvero se sia il processo infiammatorio a causare gli altri due, o viceversa.

Leaky Gut Sindrome

Durante le settimane intorno al parto le vacche sono esposte a diversi eventi stressanti. La maggior frequenza e l’entità di questi insulti infiammatori determinano il livello di gravità della patologia e possono coinvolgere utero e ghiandola mammaria. Per di più, si è ipotizzato che il tratto gastro intestinale possa avere un ruolo dal momento che l’acidosi ruminale, l’ipofagia e lo stress psicologico possono compromettere l’integrità della barriera intestinale stessa dando origine alla sindrome di cui tanto oggi si parla: la leaky gut syndrome o sindrome dell’intestino gocciolante.

Anche i fattori infiammatori possono originare un’alterazione dell’epitelio della mucosa intestinale. Quando le cellule epiteliali affrontano l’infiammazione, le proteine che permettono di rendere tali le giunzioni strette (tight junction) tra cellula e cellula epiteliale diventano più lasse permettendo il passaggio di tossine e patogeni nel torrente sanguigno. La permeabilità intestinale è alterata, ad esempio, dalle tossine da Fusarium, che inoltre diminuiscono la capacità di produrre muco delle cellule caliciformi ed aumentano la produzione di citochine da parte delle cellule epiteliali e contestualmente la produzione di IGA epiteliali.

L’analisi del microbioma intestinale è sicuramente uno strumento molto avanzato ma ci dà una fotografia istantanea che non prevede il processo dinamico e non rende merito all’interattività della comunità intestinale.

Diversi prebiotici però, quali l’acido butirrico microincapsulato o il gluconato di calcio ruminoprotetto, possono svolgere un’importante azione protettiva e stimolante per la crescita rispettivamente della mucosa dell’intestino tenue e dell’intestino crasso.

In sintesi, i fenomeni infiammatori possono essere essi stessi la radice dei problemi puerperali anziché esserne la conseguenza.