Si è da poco conclusa la 67esima edizione della fiera internazionale della bovina da latte e molte sono le sensazioni che noi “veterani” dell’evento ci siamo portati dietro. Personalmente la frequento, senza averne mai saltata un’edizione, da oltre 30 anni. La ritengo, oltre al piacere di salutare i molti amici, un momento per avere il polso della situazione. Sono ovviamente sensazioni quelle che mi sento di trasmettere.

Quello che più mi ha colpito è il ridotto numero di allevatori e le poche vacche presenti. In questo momento di crisi sia economica, ma anche sociale e politica mondiale, la sensazione ricevuta e che ci siamo scambiata è stata quella che chi ha voluto andare ancora in fiera c’è andato per cercare delle risposte alla maniera che fa l’uomo da sempre, aggregandosi. A molti ha dato fastidio lo sfarzo di alcuni stand commerciali che senza esibire novità hanno preferito non seguire l’incipit di sobrietà che sta venendo da tutto il vecchio mondo.

Credo che la fiera ci abbia “parlato” come del resto fa ogni anno dicendo che l’unica salvezza per la zootecnia da latte è quella d’uscire dall’individualismo e adottare una politica generale di sobrietà e aggregazione. E’ chiaro ed evidente che solo insieme si può ottenere un aumento del prezzo del latte e che altrettanto insieme si possono trovare le soluzioni tecniche ed economiche per rendere più redditizio l’allevamento. Il “ messaggio” della fiera sia un monito a chi attualmente ufficialmente rappresenta gli allevatori ed uno stimolo a chi a idee per farlo.