La fertilità della Frisona Italiana, misurata a livello genetico attraverso l’indice aggregato fertilità, che punta a migliorare il tasso di concepimento al primo servizio, e a livello fenotipico attraverso il dato dell’intervallo concepimento, è in evidente recupero rispetto ai dati di fine anni 2000: lo si evince dai dati ANAFIBJ riportati in figura 1.
Figura 1 – Il trend genetico e fenotipico nelle vacche di razza Frisona Italiana (Fonte: ANAFIBJ).
Questo andamento è ancora più significativo se lo si osserva accanto al trend genetico e fenotipico del latte kg, un indicatore del livello produttivo delle bovine. Tra i due parametri c’è una correlazione debole ma negativa sia a livello genetico che fenotipico. A partire dal 2015 (le primipare del 2017) sia produzione che fertilità sono in miglioramento.
L’indice aggregato per la fertilità è stato introdotto nel 2006, ed è da allora che gli allevatori italiani hanno a disposizione uno strumento per la selezione dei riproduttori (padri e madri) capaci di trasmettere alla progenie una superiore fertilità insieme ad un buon livello produttivo.
L’indice fertilità è stato inserito nel PFT nel 2009 con un peso del 10%, sufficiente ad arrestare il declino della fertilità nella popolazione, e questo è ciò che è avvenuto negli anni dal 2009 al 2015 (figura 1).
L’importanza data alla fertilità è stata aumentata al 20% a partire dalla valutazione genetica di dicembre 2019, proprio per puntare a migliorare, insieme alle performances produttive della Frisona, anche la fertilità. Nel grafico 1 il livello genetico della fertilità comincia a migliorare però già dal 2015-2016. Probabilmente questo effetto è legato all’introduzione dell’Indice Economico Salute (IES) che, tenendo conto di costi e ricavi, attribuisce molta importanza alla fertilità e ha contribuito a far partire il recupero genetico qualche anno in anticipo sull’introduzione del nuovo PFT.
Questi dati sono la conferma di quanto le scelte fatte a livello genetico possano portare lontano anche quando si lavora con caratteri apparentemente in contrasto fra di loro. E’ accaduto negli anni ’90 con la qualità del latte: impostando correttamente la selezione, prima con l’ILQ e poi con l’ILQM, per aumentare la produzione e anche il contenuto di grasso e proteina nel latte, nonostante la forte correlazione negativa è stato possibile riportare la qualità del latte prodotto dalle bovine di razza Frisona ai livelli di eccellenza attuali.
A partire dagli anni 2000, l’obiettivo è stato quello di migliorare produzione e fitness degli animali intesa come longevità, salute della mammella e fertilità.
Per gli anni a venire, la sfida è quella di bilanciare produzioni di qualità, morfologia funzionale e fitness con la sostenibilità ambientale legata ad una maggiore efficienza alimentare ed una superiore salute metabolica e del piede.
I dati dimostrano che, quando gli obiettivi di selezione sono chiari, con la genetica si possono gettare le basi di performances produttive e funzionali di eccellenza, in grado di migliorare la redditività aziendale.
La domanda che lascio a ciascun allevatore è questa: sei sicuro di star scegliendo i tori in maniera che il profitto aziendale ne risenta in maniera positiva? O il solo criterio è che il seme costi poco e non importa che cosa si utilizza?
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