Si dice, e a ragione, che per il successo di una qualsiasi attività imprenditoriale sia necessario mettere le persone giuste al posto giusto. Un buon manager è quello che sa scegliere le “risorse umane” e che sa metterle in condizione di lavorare motivate e di fare quello in cui eccellono. Quello che in base alla indole e cultura trovano gratificante fare.

Jocelyne Porcher, ricercatrice dell’INRA e autrice del libro “Vivere con gli animali”, nel tentare di definire in maniera univoca e chiara il rapporto tra gli animali (da reddito) e l’allevatore, o meglio l’allevamento, identifica questi animali come “lavoratori e lavoratrici” ossia soggetti che si “sdebitano” per il cibo, il riparo e le cure ricevute con il latte e con la carne. Pertanto, se è vero che persone giuste al posto giusto fanno prosperare un’impresa, anche animali “felici e motivati” sono la fortuna di un allevatore perché più produttivi, sani e fertili.

Definire quali siano le condizioni d’allevamento ideali che rendano felice un animale da reddito è piuttosto complesso ma probabilmente basterebbe strutturare l’ambiente, il management e la nutrizione in modo molto simile a quanto avverrebbe in natura, al netto degli aspetti negativi della vita selvaggia. Per fare questo è assolutamente necessario conoscere a fondo l’etologia, ad esempio della vacca da latte, come la selezione genetica abbia modificato la sua fisiologia e il suo comportamento e come i programmi di miglioramento genetico continueranno a cambiarli. Senza questa conoscenza, come si fa ad impostare per loro una dieta corretta? O come si fa a costruire un allevamento o a gestire i gruppi?

Sappiamo bene quali danni e sofferenze vengono inflitti agli animali, soprattutto d’affezione, quando vengono antropomorfizzati, ossia quando si pensa che la loro percezione di benessere, o meglio di welfare, sia simile a quella dell’uomo. Sono disponibili molti studi in cui è stato valutato come le bovine da latte interagiscono tra di loro, come si alimentano, come si riposano e come manifestano il comportamento estrale e lo stress. Sono stati ad esempio compiuti molti studi sul comportamento alimentare. Uno dei più famosi e completo fu quello realizzato da R.G. Dado e M.S. Allen (DA), pubblicato nel 1994 sul Journal of Dairy Science (JDS 77:132-144). Questi ricercatori della Michigan State University (USA) osservarono il comportamento alimentare di un gruppo di vacche composto da 6 primipare e 6 pluripare, con una produzione media di kg 33.1 di latte, un’ingestione di kg 22.8 di sostanza secca (feed efficiency 1.45) e 63 giorni medi di lattazione.

Oggi, ossia 24 anni dopo lo studio in questione, le produzioni, il peso medio e la capacità ingestione sono completamente cambiate nella frisona, ma alcuni parametri del comportamento alimentare e di fisiologia ruminale sono stati successivamente confermati da molti altri trial come quello di C.Johnson e T.J.DeVries (JD) dell’Università di Guelph (Canada), pubblicato anch’esso sul Journal of Dairy Science (JDS 101:3367-3373) nel 2018. Le 132 vacche osservate da questi ultimi ricercatori avevano un numero medio di lattazioni di 1.8, 108.4 giorni medi di lattazione (± 42.7) e una produzione media di kg 43 (± 7) di latte, quindi nettamente superiore rispetto a quella osservata da Dado e Allen nel 1994. Un’altra profonda differenza era nel tempo speso a mangiare. Nell’osservazione di DA questo tempo era di 301(± 51) minuti al giorno mentre, in quella di JD, di 230.4 (± 35.5). Per DA le vacche facevano mediamente 11 (± 2.4) pasti al giorno, mentre per JD 9 (± 2), quindi ogni pasto delle bovine durava 28.8 minuti per DA e 25,5 minuti per JD, una durata molto simile. Secondo DA, le bovine del loro esperimento non riuscivano ad ingerire più di kg 2.2 di sostanza secca e 679 grammi di NDF a pasto. Quest’ultimo dato conferma in qualche modo uno dei “punti fermi” della nutrizione della bovina in lattazione che stabilisce che l’ingestione di NDF giornaliera è pari all’1.32 % (1.22-1.42) del peso corporeo. Interessanti le rilevazioni sull’attività ruminale, perchè sappiamo che un tempo di ruminazione “lungo”, ossia di durata ottimale, stabilizza il pH ruminale e migliora la digeribilità della fibra e dell’intera razione. DA quantificarono allora la durata giornaliera della ruminazione in 457 (± 74.5) minuti, ossia 20.5 minuti ogni kg di sostanza secca e 66.6 minuti per ogni kg di NDF ingerito, con 29 cicli di ruminazione e 62.9 atti di masticazione ruminale al minuto. Quest’ultimo dato conferma sperimentalmente l’antica osservazione che sostiene che una bovina che rumina bene compie una masticazione ruminale al minuto. Secondo JD la ruminazione giornaliera dura 516 (± 90) minuti. Per DA la bovina spende, o meglio investe, 758 minuti, e quindi 12.6 ore del suo tempo, per la masticazione giornaliera.

Esiste un’associazione positiva tra ingestione di sostanza secca e ruminazione (+0.003 kg/min) e frequenza dei pasti (+0.3 kg/pasto). Recentemente P.C Aikman, dell’Università di Reading (UK), ha verificato e confermato che l’ingestione media di sostanza secca delle bovine di razza Holstein e di razza Jersey è pari al 3.47% del loro peso corporeo (JDS 91:1103-1114), in condizioni di neutralità termica. Interessante allora e ancora oggi, lo studio di Dado e Allen su come le bovine da latte bevono o dovrebbero bere. Nella loro rilevazione l’ingestione d’acqua era di 77.6 (± 18.4) litri al giorno, per una durata di 28.7 minuti e con un tasso di abbeverata di 22.4 litri al minuto. Studi successivi dimostrarono che il 60% del consumo d’acqua giornaliero avveniva dopo le mungiture. E’ quindi buona norma predisporre abbeveratoi all’uscita della sala o del robot di mungitura, dimensionati in modo che le vacche possano bere tutte contemporaneamente (cm 75/capo). Questi lavori, come tutti gli altri studi che hanno esaminato il comportamento alimentare delle bovine, si integrano con quelli che hanno studiato il comportamento estrale, l’interazione sociale, il tempo di riposo della bovina da latte e quello trascorso in mungitura.

Di enorme aiuto, sia per la gestione della mandria che per verificare il comportamento degli animali e certificare in maniera oggettiva il benessere delle bovine, sono i sensori. Ad oggi ne sono disponibili molti tipi, ma forse non ancora quello completo, ossia in grado di misurare contemporaneamente l’attività motoria (comportamento estrale e scarsa motilità per probabili problemi di salute), il tempo trascorso sdraiata, la durata della ruminazione e il numero e la durata dei pasti giornalieri. Questo tipo di sensore non è ancora disponibile perchè è ancora lontana, ma non lontanissima, l’intelligenza artificiale, e potenti algoritmi che associno i dati dei sensori, dei biomarker analizzati nel latte e i vari eventi, in modo da supportare i gestori degli allevamenti e certificare oggettivamente il benessere della mandria. E’ di fondamentale importanza che tutti sensori verifichino i dati raccolti con la media degli ultimi giorni del medesimo soggetto. Questo aspetto sottolinea il fatto che ogni animale dell’allevamento è un individuo e come tale va gestito, anche quando la popolazione è molto ampia, e che le stalle vanno costruite anche e soprattutto per rispettare il normale comportamento delle bovine, salvaguardando i “diritti” di quelle non dominanti che non riescono ad adattarsi in ambienti troppo affollati e stressanti.