Secondo la legge il latte è il prodotto della mungitura regolare, completa e ininterrotta della mammella di bovine che si trovino in buono stato di salute e di nutrizione e che non siano affaticate dal lavoro. Il latte non proveniente da bovina deve essere evidenziato con il nome della specie da cui proviene, es. latte di pecora
Il latte e i suoi derivati sono stati da sempre considerati alimenti di eccellenza. I macronutrienti (proteine, grassi e zucchero) in esso contenuti sono presenti in un bilancio pressoché perfetto ed altrettanto si può dire dei sali minerali e delle vitamine.
La fiducia quasi illimitata dei consumatori nei confronti del latte è stata intaccata a causa di alcune situazioni che hanno del paradossale.
Un colpo molto duro è stato assestato da Campbell con il suo “China study” . Si tratta di un’indagine condotta in Cina su una popolazione fisiologicamente intollerante al lattosio per cui il consumo di latte crea dei problemi. Dell’intolleranza congenita dei cinesi non si è tenuto conto ed è stata generalizzata l’informazione terroristica e non veritiera della pericolosità del latte.
Nel diffondere le notizie allarmistiche non si è tenuto minimamente conto che attualmente sono in commercio dei latti “delattosati” e che nei formaggi stagionati il lattosio è assente.
Anche se l’immagine del latte è stata scalfita, il suo consumo continua ad essere importante, tanto che la produzione nazionale è nettamente insufficiente a soddisfare i fabbisogni degli italiani.
Alla maggior parte dei cittadini il fenomeno risulta incomprensibile soprattutto alla luce delle “quote latte” che ci imponevano di limitarne la produzione, mentre nello stesso tempo lo dovevamo importare. Nessuno ha avuto la bontà di spiegare che la situazione era conseguente a una scellerata politica agricola a suo tempo ispirata proprio dalle organizzazioni oggi in prima linea nelle proteste contro le quote latte.
Andrebbe anche spiegato che i costi di produzione del latte in Italia sono superiori a quelli di altri Paesi europei con le evidenti difficoltà per i nostri allevatori. La situazione è aggravata dal fatto che parte dell’industria lattiero casearia italiana è passata nelle mani di importanti gruppi finanziari stranieri, in particolare francesi, che certo non ostacolano gli allevatori di oltralpe.
Ancora esiste una barriera per il latte fresco che, ragionevolmente, dovrebbe essere in prevalenza italiano poichè deve essere lavorato nelle 48 ore dalla mungitura. Ma queste cose il consumatore non le sa. Non sa neppure che il latte a lunga conservazione è in grande prevalenza di importazione.
Anche se si urla a difesa del “Made in Italy”, pochi sanno che i formaggi DOP (parmigiano, grana padano, pecorino romano, mozzarella di bufala, ecc.) sono “interamente” italiani. Forse spiegando bene le cose i consumatori potrebbero fare delle scelte consapevoli ricorrendo meno all’acquisto di altri formaggi che pur essendo sicuri hanno caratteristiche organolettiche molto diverse.
C’è stata poi la diffusione delle ideologie vegane che ritengono necessario escludere dall’alimentazione qualsiasi prodotto di origine animale e quindi anche il latte e i suoi derivati. In ossequio a queste ideologie l’industria alimentare si è adeguata producendo delle bevande vegetali (legumi e cereali in particolare) e derivati (tofu, ecc.) che in modo menzognero presentano come prodotti praticamente uguali al latte e ai formaggi. Si gioca molto sull’equivoco mettendoli in vendita negli stessi scomparti del latte e scrivendo “senza lattosio”.
La maggior parte dei cittadini non sa che si tratta di alimenti completamente diversi dal latte. Probabilmente se venissero proibite tutte le diciture che fanno apparire questi alimenti “uguali” ai prodotti lattiero caseari magari dicendo che si tratta di “fagioli di soia” sarebbe più facile fare delle scelte.
Si può concludere che il consumatore è scarsamente informato del valore nutrizionale e della sicurezza dei prodotti lattiero caseari. E’ ancora meno informato delle dinamiche produttive e commerciali che caratterizzano il mondo del latte. Questo stato di cose contribuisce a penalizzare i nostri allevatori che si trovano in una situazione critica.
E’ quindi necessario trovare il modo di diffondere notizie corrette consentendo ai cittadini di scegliere consapevolmente quello che acquistano.
Per raggiungere tale obiettivo i vari proclami allarmistici, condivisi anche dalle istituzioni ministeriali, sono soltanto dannosi e alla fine favoriscono proprio quelli che si intende attaccare.
Ricordiamo che con un sacco di soia si può preparare una quantità di “latte vegetale” pari a quello prodotto da una decina di vacche.
Meditate presunti difensori dei nostri allevatori.
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