Sono ormai moltissimi anni che il seme di cotone è entrato tra i concentrati quasi indispensabili per la bovina in lattazione, a meno che non ci siano precisi divieti d’impiego come per la produzione del Parmigiano Reggiano. Questo consorzio di tutela ne vieta espressamente l’utilizzo per possibili rischi nella qualità del formaggio e nelle sue caratteristiche merceologiche come sapore, odore e colore anche se oleaginose come la soia integrale sono comunque ammesse. In questi lunghi anni il cotone è stato utilizzato con  motivazioni che vanno dalla sua presunta capacità di aumentare il grasso del latte, al solo rappresentare una buona fonte complementare d’energia, proteina, fibra e grasso agli altri concentrati presenti in razione. Agli inizi, essendo un alimento “esotico” e difficilmente lavorabile nei mangimifici, venivano attribuiti al cotone per lo più effetti negativi sia sulla qualità del latte destinato alla caseificazione che sulla salute e fertilità delle bovine. Ad oggi viene abbondantemente utilizzato nelle vacche in lattazione e per questo è bene approfondire i suoi punti di forza e di debolezza per un impiego più consapevole. C’è da premettere che ad oggi non è un alimento “economico”, ossia in grado di ridurre i costi della razione potendo competere con la soia, le polpe, i cruscami e i grassi rumino-protetti. Il prezzo del cotone integrale alla stalla è stabilmente ormai ben al di sopra degli Euro 0.30/kg, con un minimo in autunno ed un massimo in estate quando può raggiungere i 36 centesimi al chilogrammo. Per i produttori di cotone il seme è uno scarto ma economicamente eccellente se si pensa che il cotone, inteso come materia prima per la tessitura, grosso modo vale Euro 1.2/ kg e il seme circa euro 0.25/kg !  Il seme di cotone disponibile in Italia è una delle due varietà coltivate (high-lint white Akala). Ma se non è un alimento economico perché viene utilizzato? Iniziamo a costruire la risposta partendo dalle sue caratteristiche analitiche e riportando tutti i dati analitici come percentuale della sostanza secca. Il seme di cotone ha il 23% di proteina, il 20% di grasso, il 44% di NDF, il 32% di ADF (quindi 12% di emicellulosa) e il 9.8% di ADL.

Il 27% della proteina grezza è solubile (6.2% sulla sostanza secca), l’RDP ossia la proteina rumino degradabile è l’11% e la quota indegradabile (RUP) l’11%. La frazione B1, ossia la quota di proteina vera della frazione solubile, è molto elevata e ciò è un indubbio vantaggio per i batteri che fermentano gli amidi. A livello amminoacidico il cotone ha il 9.2% (sulla sostanza secca) di amminoacidi essenziali. In particolare, ed espressi come percentuale della proteina grezza, il 10.5% d’arginina, il 4% di lisina e l’1.6% di metionina. L’85% dell’NDF è effettivo (peNDF) ossia partecipa alla ruminazione e quindi a mantenere stabile la percentuale di grasso del latte. L’NDF effettivo è ad esempio il 30% superiore a quello del  fieno di medica. Il cotone infatti è sì un concentrato ma viene calcolato in razione come se fosse un foraggio ed alta capacità di ruminazione e quindi in grado di mantenere elevato il grasso del latte, cosa che molti foraggi non sono in grado di assicurare. E’ per questo motivo, e non per l’elevata digeribilità dell’NDF o per l’elevata percentuale di grasso del cotone, che si utilizza per mantenere o innalzare la percentuale di grasso del latte. La digeribilità dell’NDF è del 48%. Interessante, ma che necessita attenzione, la sua composizione di acidi grassi. Il 56% degli acidi grassi è rappresentato da acido linoleico (C18:2 omega 6), il 24% da acido palmitico (C16:0) e il 15% da C18:1 trans. Questa particolare composizione degli acidi grassi deve far riflettere su quali aspettative si devono avere dall’impiego del seme di cotone. Le vacche da latte ingeriscono grandi quantità di C18:2 omega 6, acido grasso molto presente nel mais e nella soia integrale. Questo, essendo un precursore importante delle prostaglandine, esercita una generica azione infiammatoria e luteolitica. Nelle razioni della vacche da latte, specialmente quando la percentuale di grasso del latte è molto premiata economicamente, si sta attenti che la quota di C18:1 trans che arriva all’intestino sia minore di gr 70 e non superi mai i gr 100 per evitare i bruschi cali di grasso nel latte a causa della “sindrome da bassa produzione di grasso nel latte”. A classico dosaggio d’impiego di Kg 1.5-2.5 e se in razione non sono presenti altre oleaginose non viene in genere superato questo apporto. I lipidi del cotone vengono rilasciati lentamente nel rumine e consentono estese bio-idrogenazioni degli acidi grassi insaturi portando alla saturazione dei doppi legami. Questo evita che quote elevate di acidi grassi insaturi, specialmente trans, arrivino all’intestino per essere assorbiti. A livello energetico il seme di cotone ha 2.15 Mcal/kg di energia netta latte o 0.94 UFL se si utilizza il sistema francese.  Per ogni grammo di proteina apportata da questo alimento la bovina riceve 40 KJ di energia netta e ciò lo rende il supplemento ideale per le bovine in bilancio energetico negativo.  Gli effetti del cotone sulle fermentazioni ruminali dipendono molto dal tipo di razioni in cui viene utilizzato. Sappiamo che il rapporto ruminale 3:1 tra l’acido acetico e l’acido propionico è altamente correlato con l’NDF della razione per cui il cotone, o meglio la sua quota di NDF effettivo, mantiene o promuove questo rapporto. Un’ultima considerazione riguardo al gossipolo, sostanza tossica presente nel cotone integrale. Questa molecola è tossica per i monogastrici provocando una riduzione della capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti periferici. Tra gli inconvenienti legati al consumo di gossipolo c’è l’alterazione delle performance riproduttive sia dei maschi che delle femmine. Questi effetti collaterali sono pressochè nulli nei ruminanti in quanto il rumine ha la capacità di neutralizzarlo. Molte sono state le ricerche effettuate per dimostrare questo fatto. Si è visto infatti che l’utilizzo di una dose sperimentale di kg 5 di cotone somministrato per 6 settimane a vacche in asciutta non ha causato problemi. Le numerose prove effettuate nelle vacche in lattazione hanno individuato che il limite massimo d’impiego di cotone è oltre i kg 4 per capo per giorno.

Conclusioni

Il cotone grazie alla sua composizione proteica, lipidica e fibrosa è un valido complemento per la razione delle vacche da latte sia nella quota foraggera, a cui appartiene, e sia nella frazione dei concentrati. Gli effetti positivi che potrebbe avere sul grasso del latte sono principalmente dovuti all’alta percentuale di peNDF piuttosto che alla sua elevata percentuale di grasso. Qualora però si ritenga che sia il sistema immunitario che l’apparato riproduttivo “soffrano” di un’elevata presenza di prostaglandine (PGF-) è bene considerare l’apporto complessivo di acidi grassi insaturi omega-6 derivanti dal mais e da oleaginose integrali come la soia o il girasole. A volte la sola considerazione della concentrazione energetica della razione come scelta per contrastare il bilancio energetico negativo delle bovine “fresche” può essere molto fuorviante.