Il nostro paese, oltre ad essere il 7° paese più industrializzato del mondo ed il 31° nella classifica della ricchezza, è anche un importante player agricolo. L’Italia rappresenta da sola il 12% del fatturato agricolo della Comunità europea (EU28), con un fatturato di 31.5 miliardi di euro, poco più di 12 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata e 1.677.755 aziende agricole.  Con queste credenziali l’Italia è pertanto la terza economia agricola europea dietro a Francia e Germania, ed ha ancora una superficie agricola da utilizzare di 592.153 ettari. Le nostre 291 produzioni tipiche (DOP, IGP e STG) ci classificano come il primo produttore europeo con un fatturato di 14 miliardi di euro, di cui una buona percentuale è realizzato con l’esportazione. Nelle nostre aree montane e collinari abbiamo 1.165.334 aziende agricole che rappresentano ben il 69% di quelle presenti nel nostro paese. Le aziende agrituristiche dal 2006 al 2016 sono aumentate del 35.2% passando da 16.765 a 22.661. Nel leggere questi dati si deve tuttavia tenere presente che l’agricoltura europea è fatta di piccole aziende. Basti pensare che 2/3 di queste attività ha meno di 5 ettari, un terzo degli agricoltori ha più di 65 anni e solo l’11% ne ha meno di 40.

Questo scenario tutto sommato positivo si scontra però con i drammatici dati della disoccupazione e della diseguaglianza sociale. Il 20% di nostri concittadini più benestanti ha patrimoni e liquidità che corrispondono al 69% della ricchezza italiana, dati che non sono un male di per sè ma che sono destinati a falsare molte delle statistiche sulla situazione economica del paese.

Dati estremamente negativi sono quelli sulla disoccupazione e sull’emigrazione. In Italia i giovani che non lavorano e che non studiano rappresentano il 24.1% del totale. I disoccupati nella fascia tra i 15 e i 24 anni sono 57.000 e quelli nella fascia tra 25 e 34 anni il 16%, con un andamento peggiorativo rispetto agli anni precedenti. Abbiamo quindi ben 7 milioni di giovani che non lavorano. Il tasso di disoccupazione totale è del 10.9% e tre milioni di occupati hanno solo un contratto a termine. Drammatico è anche il livello di emigrazione che abbiamo raggiunto. Negli ultimi 10 anni i nostri connazionali all’estero sono triplicati. Solo nel 2016 hanno lasciato il nostro paese in cerca di lavoro 114.000 persone, di cui circa il 40% under 24 anni.

Quello che sorprende è che nessuno dei governi che si sono avvicendati negli ultimi anni si è impegnato a costruire un percorso di lungo periodo per arginare il fenomeno della disoccupazione e quello dell’emigrazione, specialmente giovanile. Speriamo che quello in carica lo faccia. Come è noto, sono le imprese che assumono e lo fanno quando hanno la possibilità di aumentare il loro fatturato, anzi sono obbligate a farlo. Non è davvero il rendere sempre più precario il lavoro che spinge le imprese alla crescita, e i dati sono qui a dimostralo. La semplificazione burocratica, l’istruzione e la cultura, che nelle imprese si chiama ricerca e sviluppo, sono gli unici fattori che possono portare alla crescita dell’economia di una nazione e quindi dell’occupazione.

L’ottima percezione dell’agro-alimentare italiano, sia nel mercato domestico che all’estero, abbinata alla “narrabilità” del nostro paesaggio e della nostra cultura, potrebbe essere un ottimo ambito dove sviluppare ancora l’economia e quindi l’occupazione.

Uno degli stimoli che mi hanno spinto scrivere l’editoriale di mezza estate su questo argomento è stato la visita ad Amatrice che ho documentato in un articolo pubblicato di recente (Due allevatori alla guida di Amatrice). I terremoti che da Agosto 2016 hanno devastato alcuni comuni a cavallo tra quattro regioni del centro Italia, oltre ad aver provocato un numero enorme di vittime, hanno “resettato” l’economia, prevalentemente agricola, di quell’area. Finita la fase d’emergenza inizia quella della ricostruzione e ciò richiede, oltre ad ingenti capitali e burocrazia “intelligente”, una capacità di vedere il futuro anche di lungo periodo per cogliere questa drammatica occasione per dare un futuro e una speranza al sociale di queste zone.

Le aziende agricole presenti nelle aree montane e collinari sono per la maggior parte (> 76%) attrici del comparto agrituristico e della produzione delle DOP, IGP, STG e PAT. Egregio è il lavoro che svolgono e i numeri ne sono l’asettico testimone, ma si potrebbe fare di più, molto di più.

Degna di menzione è la richiesta che Amatrice ha fatto per l’ottenimento dell’STG (Specialità Tradizionale Garantita) per la “Amatriciana tradizionale”, ossia il celebre modo di condire la pasta. Anche l’attuale sindaco Filippo Palombini e l’assessore al Turismo, lo sviluppo e l’agricoltura, Azelio Marsicola, lo ritengono uno dei fattori fondamentali per la rinascita di quello che era uno dei più bei borghi di Italia. Un primo grande problema che investe buona parte dei terreni agricoli posti nelle zone montane e collinari è il frazionamento estremo dovuto al susseguirsi di eredità, che di fatto rende inutilizzabili e improduttivi molti terreni e, conseguentemente, ne causa l’abbandono. Da conoscere è il caso dell’istituto giuridico medioevale dei masi chiusi nell’area alpina germanofona, che in Italia corrisponde a molte province del Trentino-Alto Adige. Il maso chiuso è finalizzato a preservare l’indivisibilità della proprietà agricola e quindi per diritto ereditario spetta al primogenito maschio. I fratelli hanno diritto ad un indennizzo, oppure possono continuare a vivere e lavorare con il fratello maggiore.

Un rilancio “forte” dell’agricoltura delle aree così dette svantaggiate necessita obbligatoriamente di un intervento della politica e delle amministrazioni locali che dovrebbero incoraggiare, anche da un punto di vista economico, la lavorazione comune dei terreni agricoli e dissuadere l’abbandono dovuto alla frammentazione ereditaria. Un secondo punto importante è la necessità di fornire un supporto, o meglio formazione, a chi possiede agriturismi, caseifici agricoli o piccole aziende artigianali, sugli aspetti tecnici delle loro produzioni, sul marketing (specialmente digitale) e sulla comunicazione. Una forte spinta alla domanda di prodotti agroalimentari, soprattutto dall’estero, provenienti dalle zone montane e collinari italiane potrebbe derivare dal renderli “visibili” su internet e ai motori di ricerca. I dati non sono molto aggiornati (ISTAT 2010) ma sembrerebbe che poco più del 15% delle aziende agricole italiane possiede un sito web e che meno del 10% utilizza il commercio elettronico per propri prodotti e servizi. Il potenziamento dell’attività di vendita dei prodotti dei caseifici agricoli e, più in generale, delle aziende agricole delle zone montane e collinari non può avvenire tramite la GDO ma principalmente attraverso il contatto diretto con il cliente o attraverso il web. Una produzione agricola rurale non può avere un prezzo di cessione alla GDO paragonabile a quelli dell’agroalimentare industriale. Oggi, avere una qualsiasi attività invisibile ai motori di ricerca rappresenta un forte limite. E’ principalmente per questo motivo che Ruminantia, in collaborazione con CREA-ZA e Accademia Italiana del latte, ha pubblicato la rubrica Domus Casei. Questa rubrica è un luogo digitale dove chi opera nel complesso mondo dei formaggi può trovare spunti ed informazioni per migliorare ulteriormente la qualità del loro lavoro.