Per l’editoriale del numero di settembre 2020 di Ruminantia Mese pubblicammo un articolo dal titolo un po’ provocatorio, “L’auspicabile estinzione del capro espiatorio”, ricordando che: Troviamo tracce di questo archetipo presso i Babilonesi, gli Assiri e i Greci, ma il più chiaro degli identikit appartiene alla tradizione ebraica del Kippūr o “giorno dell’espiazione”. In questa ricorrenza religiosa il grande sacerdote caricava su una capra tutti peccati del popolo e la mandava a morire nel deserto intorno a Gerusalemme”. E’ da notare, e questo è importante per comprendere il resto di questo editoriale, che fu scelta la capra come sinonimo di un animale mansueto e innocente.

Non solo il millenario rituale del capro espiatorio non si è estinto ma, come succede nei momenti più confusi della storia, si è diffuso conquistando spazi sempre più importanti delle attività umane. Quando non si è in grado di affrontare un problema e di risolverlo, chi non ha oggettive e riconosciute capacità cerca il capro espiatorio di turno per sacrificarlo a suo vantaggio.

Succede, ad esempio, nelle aziende quando il capo, nel goffo tentativo di nascondere la sua incapacità, addossa la responsabilità a un dipendente, al fato o ad una congiura, ossia al capro espiatorio di turno.

Questo mito ha scelto la capra perché è sacrificabile a basso costo, non causa in genere problemi ed è da sempre percepita come un animale mite.

Anche nei nostri allevamenti continuano a proliferare i capri espiatori: a volte è la razione alimentare, il “governo ladro” o il clima impazzito. Un tempo era classico che fosse il mangime il capro espiatorio più importante.

Il mito del capro espiatorio sta facendo il salto di qualità dal Kippūr di allora, essendo di fatto entrato come elemento strategico sia nel movimento globale dei negazionisti-revisionisti-complottisti, sia in partiti e movimenti politici nazionali.

Il crollo delle grandi certezze nelle quali l’uomo occidentale aveva trovato conforto, come la religione e le ideologie, in un contesto di senso di colpa spesso latente di quello che l’uomo sta facendo al pianeta, ha aperto un’altra grande opportunità all’archetipo del capro espiatorio.

Spesso questa apparente soluzione, rapida e indolore, è adottata dai maschi e donne alfa che stanno conquistando i favori nella guida di un numero sempre crescente di nazioni. Calandosi nel merito di quello che è l’ambito all’interno del quale Ruminantia svolge la sua attività editoriale, anche la recente “protesta dei trattori” ha mostrato un notevole interesse alle simbologie del capro espiatorio.

C’è tuttavia da premettere che gli agricoltori, e quindi anche gli allevatori, che stanno manifestando per i loro diritti, sono una compagine molto eterogenea. Gli agricoltori, stretti tra costi di produzione crescenti e imprevedibili perché gestiti da gigantesche multinazionali che controllano le materie prime e l’energia, e l’industria di trasformazione e la GDO, vedono un futuro molto fosco.

A differenza di ogni altro settore produttivo e del commercio, l’agricoltura, e quindi la produzione primaria, ha poco margine di manovra per adattare la sua offerta alle mutevoli richieste dei consumatori e contrastare la crescente offerta di cibo ultra processato che, è bene specificare, non è la farina d’insetti o le “carni” coltivate, ma alimenti abbondantemente presenti nelle abitudine alimentari degli italiani.

Purtroppo una protesta spontanea così imponente è facile preda della metodologia del capro espiatorio, perché è la scorciatoia, la semplificazione da percorrere. Dare una risposta strutturale agli agricoltori significa elaborare un complesso piano europeo e italiano che vada al di là dell’erogazione di contributi economici anche condizionati (condizionalità) e dove la politica e gli agricoltori devono essere adeguatamente rappresentati.

L’attuale PAC, come è stata strutturata e soprattutto comunicata, non dà agli agricoltori le rassicurazioni che chiedono. Il rischio sono i tanti capri espiatori reclutati che coprono le inefficienze di chi è delegato e retribuito a risolvere i problemi ed evidentemente non lo ha fatto.

Ne abbiamo sentite di tutti i colori nel cercare i colpevoli della cattiva reputazione che l’agricoltura ha presso l’opinione pubblica. Si è scompostamente urlato che è tutta la colpa delle farine d’insetti e della “carne” coltivata. Ma chi li ha visti questi prodotti sul mercato? Non è invece più disastrosa la massiccia importazione di cibo dall’estero ed il fatto che questo non sia soggetto alle stesse norme di quello italiano?

Si è detto che i mali dell’agricoltura risiedono solo in Europa. Abbiamo visto montagne di post con disegni che ritraggono i “contadini” che attaccano i palazzi del Parlamento europeo dimenticando quanto queste immagini rendano fragile l’Europa verso le altre potenze straniere, soprattutto in prossimità delle elezioni.

Sarebbe più equilibrato non evocare una Italexit ma un miglior funzionamento del Parlamento europeo. Vogliamo avere i cittadini dalla nostra parte perché l’agricoltura produce cibo sano e abbondante per la gente ma invochiamo il ritorno ad un utilizzo controllato degli agrofarmaci e un ridotta tutela della biodiversità? Ci siamo dimenticati che il Green Deal non è nato dalla mente di politici illuminati e visionari ma dalle precise indicazioni date dall’opinione pubblica con il voto e negli innumerevoli sondaggi fatti e disponibili?

Dopo anni di confusione e continua chiusura di aziende agricole e allevamenti, e di demagogie propagandistiche, la gestione dell’agricoltura e della zootecnia ha l’urgente necessità di entrare in nuova fase, una fase post demagogia e quindi post-capro espiatorio. L’agricoltura ha bisogno di contrastare le tante menzogne che stanno fiaccando i nostri agricoltori ma non contrapponendo disinformazione alla disinformazione.

La protesta dei trattori che noi di Ruminantia vediamo positivamente, può fare la differenza a meno che non cada nella facile trappola di chi vuole destabilizzare le nostre democrazie solo per soddisfare suoi interessi ideologici.