L’identikit della vacca ideale potrebbe sembrare un’argomento banale se non si considerassero due fattori economici importanti. Il primo è che le vacche, soprattutto di razza frisona, hanno una vita produttiva troppo breve e questo ha un impatto negativo sulla redditività del loro allevamento. La prima lattazione della primipara è gravata dai costi necessari per crescerla fino al primo parto. La seconda lattazione comincia ad essere più profittevole e quando si avrebbe il massimo profitto, ossia con la pluripara, essa viene eliminata principalmente per problemi di fertilità, di piedi o di mastite. Per gli allevamenti avviene quello che succede in qualsiasi impresa: il primo anno di attività ci si rimette, il secondo si va in pari e il terzo ci si guadagna. Si chiude quindi l’impresa quando essa comincia a guadagnare. L’elevata presenza in lattazione di primipare (35-40%), le poco più di due lattazioni e i tassi di rimonta che spesso superano il 30%, testimoniano che nella frisona il problema c’è ed è grave. Il secondo fattore è che tutto questo, unitamente all’obiettivo morfologico di questa razza che vede nelle fiere la massima esibizione, spaventa i consumatori. Il premiare bovine scheletriche che in allevamento sarebbero considerate problematiche ricalca il modello della modella anoressica.
Per considerazioni esclusivamente economiche sta crescendo l’interesse degli allevatori ad acquistare tori frisoni che trasmettano alla discendenza una maggiore resistenza alle malattie, una maggiore fertilità e più longevità, anche se nelle fiere vengono premiate morfologie apparentemente poco “funzionali”. Ci sono però alcuni aspetti da chiarire.
La selezione della frisona italiana non sembra essere interessata a questi caratteri in quanto non vengono raccolti negli allevamenti. Malattie metaboliche a decorso clinico e sub-clinico come la ritenzione di placenta, l’edema mammario patologico, il collasso puerperale, la chetosi, la dislocazione dell’abomaso e l’acidosi ruminale rappresentano circa il 75% delle patologie d’allevamento e sono sicuri fattori di rischio per la sindrome della sub-fertilità e malattie a sfondo infettivo come la mastite clinica e sub-clinica e il complesso metrite/endometrite. Non ci risulta che tali patologie vengano raccolte negli allevamenti e utilizzate per la selezione delle principali razze italiane, anche se in larga misura raccolte e archiviate da allevatori e veterinari. Allo stesso tempo, il solo utilizzo delle cellule somatiche per selezionare verso una maggiore resistenza alla mastite può essere potenzialmente pericoloso perché può “premiare” animali con meno cellule somatiche ma meno resistenti al flagello delle mastiti cliniche, dal momento che per cellule somatiche s’intende la sommatoria di macrofagi, neutrofili e linfociti. I primi sono un’importante prima linea difensiva della mammella, quindi da premiare con la selezione, mentre i secondi intervengono solo quando l’infezione necessita di una linea difensiva più specializzata. Senza l’utilizzo della conta differenziale delle cellule somatiche (DSCC) si rischia di premiare riproduttori meno efficienti ad impegnare appieno il sistema immunitario cellulo-mediato.
Un latte ideale ha tanti macrofagi di base e pochi neutrofili, a meno che ci sia un’infezione in atto. Ormai i cataloghi dei centri genetici nord americani sono pieni di tori che conferiscono alla discendenza una miglior resistenza alle malattie e fertilità, ma sono tutti animali selezionati in territori con tecniche d’allevamento e una nutrizione molto diversi da quello che avviene in Italia e, più generale, in Europa. Ci si può fidare? Altri allevamenti ricorrono all’incrocio (cross-breeding) con razze da latte francesi o nord europee, in virtù dell’antico e noto lussureggiamento dell’ibrido, tecnica selettiva adottata da tempo immemorabile nelle essenze vegetali e nei monogastrici ma con molte differenze perché guidata da rigorosi e alquanto complessi piani di selezione e incrocio.
Una cosa è tuttavia certa, che la scelta delle razze o del tipo di animale che produce latte in Italia deve rapidamente cambiare. Nelle stalle si deve rapidamente avere un numero decisamente più alto di pluripare, animali più fertili e resistenti alle malattie. Frisone altamente medicalizzate, ossia dove sia necessario adottare di routine cocktail ormonali sempre più complessi per farle riprodurre, che richiedono interventi sistematici di antibiotici nella vitellaia, alla messa in asciutta e nel periparto sono antieconomici ed inquietanti per i consumatori, nonché incompatibili con la lotta all’antibiotico-resistenza e al costante miglioramento della salubrità del latte e delle carni. Alla luce delle tante esperienze fatte non è il puntare a medie produttive elevate che salva il reddito degli allevatori ma la gestione razionale di costi e dei ricavi. Chi mastica d’economia ben sa che fatturato e profitto non sono sinonimi per cui non è detto che chi fa 40 kg di media generi più profitto di chi produce meno. Riteniamo che una buona fertilità, una bassa rimonta e una buona longevità siano più correlate al reddito di medie esaltanti e ottima morfologia da fiera. Non dimentichiamoci poi che il nostro datore di lavoro è il consumatore e che la sua sensibilità ai temi etici e salutistici sta condizionando ora più di prima le nostre attività.
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