“Feromone (dall’inglese pheromon) o ferormone (dal greco portare e mettere in movimento) è il nome dato a sostanze chimiche, segnali attivi a basse concentrazioni, prodotte ed escrete in particolar modo da insetti, che sono in grado di suscitare delle reazioni specifiche di tipo fisiologico e/o comportamentale in altri individui delle stessa specie che vengono in contatto con esse“. Questa è la definizione che Wikipedia da di questo gruppo di sostanze chimiche volatili, note anche ai “non addetti ai lavori”, per il mito che evocano sul comportamento sessuale umano. Nell’immaginario collettivo, ma poco in quello scientifico, sarebbero, appunto e soprattutto, i ferormoni ad innescare un’attrazione irresistibile tra un uomo ed una donna a prescindere da fattori fisici o sociali. Nell’uomo non è mai stata definitivamente archiviata la questione ferormoni relativa alla possibilità che questi abbiano un ruolo nell’interazione tra individui come certamente avviene in tutti i mammiferi e negli insetti.
Sempre secondo Wikipedia, tali sostanze si suddividono in ferormoni traccianti (trace), cioè rilasciati da un individuo e che vengono seguiti da appartenenti alla stessa specie come traccia; ferormoni d’allarme (alarm), che vengono emessi in situazioni di pericolo inducendo un maggiore stato di vigilanza in quanti li captano; ferormoni innescanti e scatenanti (primer), che inducono nel ricevente modificazioni comportamentali e/o fisiologiche a lungo termine; e ferormoni liberatori o di segnalazione (releaser), che scatenano comportamenti di aggressione o di accoppiamento. Gli effetti più spettacolari sono ampiamente documentati nelle api, dove, addirittura, i ferormoni dell’ape regina inibiscono lo sviluppo degli organi riproduttori delle operaie, o nei topi, dove i ferormoni maschili hanno un ruolo sulla ciclicità degli estri delle femmine, nell’accelerare la pubertà e di modulazione del numero degli oociti al momento dell’ovulazione.
Abbandonando Wikipedia e le altre specie animali, per occuparci specificatamente della vacca da latte, si intuisce che una maggiore conoscenza di questo aspetto delle interazioni sociali potrebbe potenzialmente contribuire, in maniera sostanziale, alla risoluzione dei problemi legati alla fertilità ed alla riduzione di quello stress sicuramente causa delle molte patologie, metaboliche e non solo, che affliggono l’allevamento della vacca da latte. Una maggiore conoscenza dei meccanismi che presiedono la comunicazione tra individui della stessa specie, unitamente alle necessità comportamentali di cui hanno bisogno, può contribuire sensibilmente a verificare se le condizioni d’allevamento utilizzate siano veramente idonee per meglio sfruttare quel potenziale genetico produttivo di cui abbiamo dotato i nostri animali. Chi pratica quotidianamente l’attività zootecnica o veterinaria con le vacche da latte, ben sa che molte tecniche d’allevamento, strutture ed infrastrutture zootecniche, anche se appena adottate, sono poco rispettose di quel comportamento naturale, matrice del comfort, necessario al corretto espletamento di tutte quelle funzioni fisiologiche fondamentali come il riprodursi, bere e mangiare, riposare e produrre latte.
Tornando all’argomento guida, i ferormoni, che chiameremo così utilizzando la radice greca della parola, sono sostanze chimiche volatili che troviamo nelle urine, feci e ghiandole cutanee che causano, in un altro individuo della stessa specie, specifiche reazioni non solo comportamentali, ma anche sul sistema endocrino e riproduttivo. Ci occuperemo essenzialmente dei ferormoni “primer“, ossia quelli che inducono modificazioni fisiologiche e/o comportamentali. La presenza di queste sostanze viene continuamente ricercata specialmente dai maschi, ma anche dalle femmine, annusando, leccando e strofinando la regione uro-genitale. In animali domestici come cani e gatti è frequente osservare questo comportamento come primaria interazione tra individui della stessa specie. Nell’uomo si ritiene non esistano ferormoni “releaser” ma solo “primer”, che sembrerebbero essere prodotti dalle ghiandole sudoripare ascellari. Tipica è la secrezione di queste sostanze nella fase di proestro e di estro, e la continua ricognizione dell’area urogenitale che fa il toro che vive nel gruppo delle femmine. É usuale nei maschi di quasi tutte le specie ungulate l’investigare routinariamente questa regione, stimolandola con sfregamenti che possono provocare l’emissione d’urina dove potrebbero, appunto, trovarsi i ferormoni. La sequenza comportamentale del maschio che cerca la bovina in calore è molto caratteristica e in parte imitata da femmine che assumono comportamenti maschili nel medesimo gruppo. Dapprima il toro annusa, lecca e sfrega la regione urogenitale e quando olfattivamente riconosce, per la presenza di ferormoni, la bovina in calore, esibisce un caratteristico comportamento denominato il riflesso o reazione o comportamento di Flehmen, facilmente riconoscibile dall’estensione della testa portata verso l’alto, bocca semi-aperta e labbro superiore arricciato. Anche le femmine esibiscono quest’atteggiamento nei sintomi accessori del calore o quando individuano una bovina in estro. Successivamente a questa fase il toro, ma lo fanno anche le femmine, appoggia il muso sulla bovina per vedere se rimando ferma accetterebbe la monta e quindi avrebbe la massima probabilità di rimanere gravida. L’annusare ed esibire il comportamento di Flehmen serve a consentire che la massima concentrazione di ferormoni raggiunga l’organo vomeronasale, una struttura a sacco cieco bilaterale aperta nel canale naso-palatino rivestito da uno strato di cellule sensibili, chemiocettori, specializzate nel riconoscere i ferormoni anche a basse concentrazioni. Il meccanismo di trasmissione dello stimolo chimico ricevuto dai ferormoni verso il sistema nervoso centrale è diverso da quello utilizzato per trasmettere stimoli olfattivi comuni. Il segnale che giunge da questo distretto raggiunge l’area sub-neocorticale e quindi l’ipotalamo. Nei tori la stimolazione da ferormoni releaser scatena comportamenti aggressivi.
I ferormoni, oltre ad essere uno specifico segnale d’individuazione del calore, sono in grado nei mammiferi, e specificatamente nella vacca da latte, di esercitare un’importante effetto di bio-stimolazione su diversi aspetti della fisiologia riproduttiva delle femmine. Gli effetti si possono osservare sull’inizio della pubertà, sulla stimolazione dell’ovulazione e sulla riduzione dell’intervallo parto-ripresa dell’attività ovarica. É eclatante l’effetto che hanno i ferormoni secreti dalle femmine dominanti dei primati sulle femmine subordinate per il blocco dell’ovulazione. Nella bovina il ruolo dei ferormoni non è stato completamente chiarito, e la ricerca sull’argomento è spesso controversa. In manze prepuberi la presenza del toro induce la pubertà, ad un certo tempo, in 2/3 degli animali rispetto ad 1/3 del gruppo di controllo, confermando come l’interazione sociale e la presenza del toro possano accelerare la pubertà. L’esposizione a tori vasectomizzati per 3-4 ore due volte al giorno potrebbe diminuire la durata dell’anaestro dopo il parto. In un esperimento, la presenza del toro ha accelerato la ripresa dell’attività ovarica di ben 20 giorni. É stato osservato che comunque la presenza del toro facilita l’attività di gruppo, e quindi induce quell’intensa stimolazione in grado di ridurre sensibilmente l’incidenza dei calori “silenti”. Inoltre, la presenza del toro facilita le manifestazioni del comportamento estrale, e pertanto il riconoscimento del calore. É stato osservato che le bovine esposte al toro hanno una concentrazione di progesterone prima dell’estro più elevata, e questo può incrementare il numero dei recettori ovarici per l’LH. La presenza del toro sembrerebbe non essere in grado di modulare la secrezione pulsatile dell’LH se non per periodi di tempo molto brevi. Della presenza del toro ne traggono più vantaggio bovine che perdono meno peso dopo il parto e con BCS corretto, come anche animali sottoposti a regimi alimentari più carenti per proteina ed energia.
La bio-stimolazione dell’attività riproduttiva della vacca da latte può rappresentare un aspetto marginale nella complessa lotta alla sub-fertilità, ma potrebbe avere un ruolo se una più intensa ricerca fosse fatta sull’argomento. Nelle situazioni dove la gestione della fertilità lascia a desiderare si sceglie di sovente la strada di riutilizzare il toro per cercare di recuperare in fretta quelle gravidanze necessarie a mantenere un grado di “freschezza” della mandria funzionale a tenere almeno costante la produzione di latte. L’immissione del toro in allevamento non è sempre possibile, specialmente se si tratta di stalle con cuccette e con corsie d’alimentazione di ridotte dimensioni. Immettere un toro in queste condizioni potrebbe creare traumatismi anche gravi sia alle bovine che al toro. Pertanto, risultano idonee a queste scopo solo stalle a lettiera permanente, ormai molto poche, o che dispongono di paddock esterni di adeguate dimensioni. Ad immettere i tori nella stalla si è frenati, oltre che da ragioni di sicurezza per il personale addetto, anche da precauzioni sanitarie e dal rallentamento dell’attività d’incremento genetico che da questo deriva. É a tutti ben noto il ruolo assolutamente negativo che può avere la monta naturale nella trasmissione delle infezioni vaginali ed uterine. Non sottovalutando assolutamente queste problematiche, è tuttavia necessario riconsiderare il ruolo che la bio-stimolazione ferormonale, ma anche visiva, acustica e tattile possa avere sulla fertilità della vacca da latte. Riprendere alcune tecniche come la vasectomia, la deviazione del pene ed altro adottato in passato, o anche la sola presenza del box del toro all’interno dei gruppi degli animali non gravidi potrebbe, se suggellato dalla ricerca scientifica, aggiungere un ulteriore strumento di lotta contro la sindrome della sub-fertilità della vacca da latte che tanto preoccupa gli allevatori ed i tecnici italiani.
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