Sono ormai decenni che gli allevatori vengono sensibilizzati alla raccolta dei dati in allevamento e i professionisti, siano essi veterinari o zootecnici, ad utilizzarli. Il “mantra” è che senza dati non si può valutare se un allevamento va bene o va male e che senza le dovute informazioni è impossibile gestire la fertilità e quant’altro delle singole bovine. Questo “mantra” tuttora in corso e ovviamente totalmente condivisibile ha dato i suoi effetti, o meglio, una parte di essi. Nelle nostre stalle ci sono montagne di dati sulla produzione, sulla fertilità e sulle malattie. Dati raccolti ed elaborati in infiniti modi dai numerosi software gestionali ormai presenti in moltissimi allevamenti o restituiti dall’associazione allevatori in seguito ai controlli funzionali. Inoltre, molti professionisti elaborano e raccolgono i dati e molte ditte si propongono per questo.

Il risultato è un “overload” d’informazioni spesso fine a se stesse perché non generano le dovute e necessarie azioni. Ma questo “collezionismo” di dati a cosa dovrebbe servire? In primis a valutare se le performance produttive, riproduttive, sanitarie ed economiche dell’allevamento siano soddisfacenti e in secundis per verificare se l’attività degli operatori e dei consulenti sia efficacie o meno. Tutto questo a livello dei singoli allevamenti e, più in generale, su raggruppamenti più ampi. Nel segreto del nostro animo tutti auspichiamo che servendosi dei dati si possa oggettivamente dire se un allevamento va bene o va male e se le  scelte quotidiane per esempio di una razione, di una terapia, di una modifica strutturale siano state efficaci. Farsi “guidare” dai dati darebbe quella serenità di giudicare asetticamente il valore delle scelte fatte. “ Catalanamente” parlando i dati, e solo loro, dovrebbero valutare la bravura del veterinario, del nutrizionista, dell’allevatore ,del piano colturale, delle scelte genetiche fatte, eccetera eccetera evitando così di farsi influenzare dall’eloquenza di venditori e professionisti o dalle mode del momento. Servirebbe anche ai professionisti per valutare se le indicazioni di docenti o dei molti relatori di conferenze o dei cosi detti protocolli siano oggettivamente efficaci e quindi meritevoli di replicazione.

L’impressione di molti di noi è invece quella che, se pur tutti d’accordo, quando ci si deve far giudicare dai dati scatta in pratica una furbesca e composta ritirata. Veder rappresentato su un video o su un report una scarsa performance che sostanzialmente contraddice o quanto promesso o quanto paventato, può avere effetti devastanti scardinando le classifiche di piani e progetti ritenuti vincenti e magari premiare allevatori e professionisti efficaci ma non dotati della virtù dello stupire. Il nostro paese è in forte difficoltà economica. Le ragioni sono numerose ma sostanzialmente classificabili nei troppi costi dello stato e nei pochi ricavi perché le imprese scoraggiate nell’investire da una burocrazia asfissiante e dall’eccessiva pressione fiscale non sono motivate a potenziare le loro attività. Quella stessa politica che ci governa rifiuta lo spietato giudizio dei numeri accampando scuse per prendere tempo pur di non perdere i privilegi acquisti.

Ma quale può essere la soluzione? Come sempre nella storia deve partire dal basso, promuovendo la consultazione dei “numeri” per dire se un professionista è più bravo dell’altro, se un allevatore è capace di fare il suo lavoro, se un prodotto acquistato è efficacie e se un protocollo o un progetto è stato importante. Questo rinnovato atteggiamento sarebbe di stimolo a migliorarsi e permetterebbe di avere le persone giuste al posto giusto consentendo alla meritocrazia di prendere le redini della rinascita economica e morale del nostro paese.