Sembrerebbe, a quanto pare, che il destino degli allevamenti sia un inesorabile aumento delle dimensioni, in onore del dogma dell’economia del vantaggio a prescindere derivante dalla diluizione dei costi fissi. In pratica, però, si vede che la concentrazione degli allevamenti non ne accresce necessariamente la redditività sottoponendo all’allevatore questioni nuove. Un allevamento di piccole o medie dimensioni vede nella presenza diretta del proprietario un vantaggio enorme. Egli può sorvegliare direttamente la mungitura, la qualità della razione, partecipare alla rilevazione del calore ed eseguire le fecondazioni o comunque rendersi conto direttamente dei problemi che via via si presentano. L’aumento delle dimensioni diluisce questa presenza attiva, impegnando il proprietario con le accresciute incombenze burocratiche ed economiche.  L’allevatore è meno pressante nella quotidianità  e nel rapporto diretto con i singoli animali. Se i conti e la disponibilità di persone, anche e soprattutto, lo permettono viene assunto un capo-stalla che, nei grandi allevamenti, fa le veci a tutti gli effetti della proprietà. Spesso non fare questa scelta, quando gli animali da gestire e la terra da coltivare sono tanti, fa rimpiangere i conti di quando la stalla era più piccola e gestibile. Al crescere delle dimensioni aumenta il fabbisogno del terziario, ossia di quelle figure esterne che offrono consulenze e prestazioni professionali. Si va dal buiatra generico, al ginecologo specializzato, al chirurgo, al podologo , al neonatologo oppure il nutrizionista, l’agronomo, etc. Sta anche mutando il ruolo dei molti venditori che frequentano le aziende. Quelli più abili assumono dei ruoli da veri e propri broker o uomini di fiducia della proprietà, o di chi ha delegata la funzione e che gestisce i rapporti con i fornitori. Nella vecchia organizzazione del terziario e dei fornitori i ruoli erano quelli del veterinario aziendale , dell’alimentarista quasi sempre dipendente o stretto collaboratore di una ditta e, qualora fosse stato presente nell’area, un duplicato ( veterinario e alimentarista) dei piani di assistenza tecnica delle APA. Questa tipo di organizzazione del terziario ha tenuto molto bene ed ha contribuito sensibilmente alla crescita degli allevamenti, spesso più tecnica che economica. Ultimamente però l’accresciuta difficoltà di fare l’allevatore ,stretto da una burocrazia soffocante e da margini economici sempre più risicati, ha messo in crisi questo modo di gestire l’approvvigionamento di prodotti e di servizi. Si osserva ormai troppo spesso  un rimpallo di responsabilità tra allevatore, veterinario ed alimentarista più che una sinergia nell’approccio al problema. Questo è tipicamente il sistema della deresponsabilizzazione, utile solo a far cronicizzare i problemi più che a risolverli. A volte, ma non molto spesso, si cerca la gerarchia confinando chi offre prodotti e servizi annessi in una condizione che sfiora il “ caprio espiatorio” di biblico ricordo.  La nuova mentalità, indotta per amore e per forza dalle necessità economiche e dall’ormai imminente competizione internazionale ( fine del regime delle quote latte), obbliga l’allevamento ad adottare organigrammi e mansionari per le stesse ragioni per cui sono stati adottati dalle imprese che via via si sono trasformate da padronali a manageriali. Ma alla fine chi prende le decisioni in allevamento? Chi ha l’ultima parola? Chi coordina i vari professionisti impiegati? Questo sarà sempre l’allevatore o chi esso delegherà in onore del proverbio che “ con troppi galli a cantare non si fa mai giorno”.