Nei giorni scorsi è stato pubblicato un interessante lavoro scientifico sull’evoluzione della popolazione canadese di vacche da latte. Credo si possa dare per scontato che i risultati siano validi in ogni popolazione in selezione e, dunque, anche in quella italiana. Si desume che le vacche nate nel 2017 hanno una produzione EVM doppia per produzione in quantità latte, kg di grasso e kg di proteine rispetto a quelle nate nel 1975. Niente male, se consideriamo la “lentezza” dei cambiamenti di gran parte di quel periodo, che abbraccia oltre 40 anni.

La cosa più interessante è che, grosso modo, la metà di quel miglioramento è attribuibile alla genetica e l’altra metà ai miglioramenti ambientali e gestionali in senso lato.

La selezione è, dunque, un potentissimo, seppur lento, strumento di miglioramento.

E’ esperienza condivisa che, se selezioniamo per un carattere, seppure con un po’ di variabilità, otterremo un miglioramento per quel carattere o per quel gruppo di caratteri. Così è successo per la quantità di latte, per i titoli e per le mammelle. Purtroppo, ci siamo accorti di questa potenza anche per via di quei caratteri che abbiamo trascurato, quali la longevità, la fertilità e la resistenza alle malattie; ce ne stiamo accorgendo con i capezzoli corti e con l’eccesso statura e di caratteri da latte.

E fin qui, forse, non c’era bisogno di scrivere queste righe.

Il punto su cui voglio porre l’attenzione è che, a mio parere, pochissime aziende stanno operando in modo scientifico al fine di selezionare per il reddito. Nella condizione italiana, aggiungo.

Molti selezionano per ciò che ritengono sia correlato al reddito. La cosa simpatica è che ognuno ha una propria ricetta che, generalmente, non costituisce un metodo.

Uso un esempio semplice a questo scopo: immaginiamo di dover scegliere tra due tori: uno con +1.500 a latte e +0,10% a grasso, l’altro con + 1.000 a latte e +0,30% a grasso. Se il nostro obiettivo è il reddito, quale scegliamo?

Di solito le risposte premettono sempre “Secondo me…”. Il punto è esattamente quel “secondo me”. Significa che stiamo affidando le nostre scelte selettive ad una sensazione, ad una opinione, quasi sempre non fondata. Ora immaginiamo la situazione reale in cui i tori tra cui scegliere siano diverse centinaia ed i caratteri disponibili per la selezione siano diverse decine, con tendenza all’aumento. Ad ulteriore complicazione, abbiamo le diverse correlazioni genetiche tra i vari caratteri ed i diversi livelli di ereditabilità degli stessi. A questo punto, come sia possibile utilizzare il sistema “Secondo me…”, è veramente un argomento bizzarro.

Si raggiunge l’apoteosi per la quale investiamo tanti soldi in strutture, in attrezzature ed in organizzazione; aggiungiamo alla dieta di ruminanti gli amminoacidi protetti; facciamo crescere vitelle e manze non risparmiando alcuna attenzione; testiamo la mandria con la genomica (giusto per vedere cosa abbiamo tra le mani). Il tutto, per tornare all’origine del ragionamento, perché vogliamo migliorare (si auspica) il reddito per la metà che compete all’ambiente in senso lato.

E, ops, abbiamo dimenticato di individuare un metodo scientifico attraverso il quale scegliere i tori da acquistare ai fini del reddito che la nostra azienda desidera produrre. Beh, niente di male, era solo il 50% del potenziale di reddito. Non “secondo me”, ma secondo uno studio scientifico, su un’intera popolazione, lungo 40 anni.