Le caratteristiche sensoriali di odore, consistenza e gusto aiutano gli animali a scegliere gli alimenti da ingerire e a scartare quelli nocivi.

Negli allevamenti che praticano l’unifeed o TMR c’è una forte attenzione all’ingestione giornaliera di sostanza secca. Essa viene continuamente monitorata perché correlata positivamente con le performance produttive, riproduttive, sanitarie ed economiche degli animali. Nelle bovine da latte alimentate con il metodo TMR, si dispone di raffinatissime equazioni di previsione dell’ingestione e, se si verifica una discrepanza tra quella reale e quella teorica, si attiva un complesso meccanismo diagnostico che comprende la verifica del reale valore nutritivo degli alimenti, della sufficiente disponibilità d’acqua e spazio in mangiatoia, della presenza di patologie metaboliche intercorrenti come l’acidosi e la chetosi, e di alterazioni degli alimenti o la loro intrinseca scarsa o nulla appetibilità.

Le attuali conoscenze sul TMR o sul pascolamento sono state costruite non con l’obiettivo di stimolare l’ingestione ma con quello di agevolare l’individuazione delle possibili cause di un’ingestione non in linea con le previsioni e per rimuoverle. Della bovina da latte, in particolare, sappiamo quanti pasti al giorno farebbe e di che dimensione (quantità) dovrebbero essere, e come alcuni fattori, come il riposo e la concentrazione degli animali in stalla, la condizionino.

Pochissime informazioni si hanno invece su come il senso del gusto e dell’olfatto possano condizionare l’ingestione dei singoli concentrati o consociati in un mangime. Quando un tempo il mangime si somministrava in mangiatoia, magari durante la mungitura e quindi due volte al giorno, si sapeva che stati di acidosi legati a grandi consumi di concentrati amidacei molto fermentescibili provocavano, come primo sintomo, il rifiuto di mangiarlo in ragione di un feedback metabolico protettivo. Si sa anche che l’inclusione nei mangimi di alimenti ammuffiti o rancidi, o additivi dall’odore forte e sgradevole, oppure grassi ruminoprotetti di non buona qualità, limitavano l’ingestione spontanea intesa come dimensione e velocità del pasto.

Un aspetto molto empirico e poco approfondito dalla ricerca scientifica è l’effetto sull’ingestione di un’associazione negativa di un disordine digestivo o metabolico con uno o più alimenti. Avviene anche in umana che una situazione di malessere e di nausea crei disgusto nei confronti di un alimento che, seppur buono, è stato consumato in concomitanza con questa situazione. Una buona definizione di appetibilità potrebbe quindi essere: “Percezione edonica/incentivante di un dato alimento risultante non solo dalle caratteristiche organolettiche dello stesso ma anche dallo stato interno del soggetto e dalla sua esperienza associativa individuale e gli effetti post-ingestivi dell’alimento”. 

Con l’avvento della mungitura automatica come i robot, si sta diffondendo la tecnica della PMR, ossia la coesistenza dell’unifeed con la somministrazione di concentrati tramite auto alimentatori. Questo metodo, utilizzato negli allevamenti di bovine da latte, si è diffuso in Italia tanti decenni fa con lo scopo di dare un supplemento di concentrati solo alle bovine più fresche e produttive, o semplicemente geneticamente superiori. Il PMR dà gli indubbi vantaggi di evitare carenze o eccessi alimentari, di ridurre i costi delle razioni, di evitare ingrassamenti di animali a fine lattazione e di diagnosticare, con la dovuta tempestività, forme di acidosi sub-clinica attraverso il consumo o il rifiuto di assumere il concentrato. Quasi sempre ai mangimi si aggiungono aromatizzanti più per ragioni commerciali che per motivazioni tecniche.

Con l’avvento della mungitura robotizzata si è “riabilitata” la PMR, perché una delle motivazioni che spinge le bovine a frequentare la mungitura più volte al giorno è il desiderio di consumare mangime. Un concetto ancora debole e poco sperimentato nelle bovine da latte è se il valore edonico delle proprietà sensoriali possa superare i segnali di sazietà e i suoi meccanismi regolatori, e quindi portare ad eccessiva assunzione di un alimento o un mix di essi.

I costruttori di impianti di mungitura automatica danno grande importanza al numero di mungiture medie giornaliere delle bovine e al potere condizionante dell’appetibilità del mangime. Per capire meglio la fondatezza tecnico scientifica di questa convinzione, è bene approfondire come il senso del gusto e dell’odorato possano eventualmente modulare l’assunzione di mangimi formulati con materie prime non rancide, ammuffite e intrinsecamente appetibili.

Il senso del gusto serve agli animali per regolare l’assunzione del cibo più adatto ad un determinata situazione fisiologica e a rifiutare quello non adatto. I gusti di base sono il dolce, l’amaro, il salato, l’acido o aspro e l’umami. I ruminanti posseggono i recettori linguali per tutti e 5 i gusti di base, anche se le bovine hanno meno geni che codificano i recettori per l’amaro. Il gusto che riceve il maggior consenso tra i ruminanti è l’umami che viene evocato dall’L-glutammato (glutammato monosodico) e che ha un valore edonistico positivo, ossia stimola l’appetibilità e sembra sia associato dagli animali alle proteine. Il gusto amaro invece ha un valore edonico negativo perché potrebbe essere associato a tossine di varia natura, per cui stimola un sottoconsumo o il rifiuto del mix di alimenti che lo contengono. Molte incertezze si hanno nel dare un valore edonico positivo o negativo al gusto acido o aspro. Nei foraggi freschi o conservati si concentrano molti acidi come il tartarico, il lattico, il citrico, il malico, l’ossalico, l’acetico e il butirrico. Questi ultimi due, unitamente all’acido propionico, vengono prodotti in grandi quantità dal rumine e con la ruminazione tornano molte volte in bocca all’animale. Pur avendo poche evidenze scientifiche a disposizione si ritiene che abbiano un valore edonistico positivo ma in quantità contenuta. Il sapore dolce ha un effetto edonistico positivo nei bovini e nei caprini, ma non negli ovini. Mono e disaccaridi, come il saccarosio, il glucosio, il fruttosio, il maltosio, il lattosio e il galattosio o gli edulcoranti, lasciano le pecore indifferenti mentre i bovini li riescono a percepire neurologicamente dolci. Il gusto salato è considerato dagli allevatori e dai nutrizionisti un gusto gradito ai ruminanti, ma il valore edonico può essere al contempo positivo e negativo perché dipende dalla concentrazione di minerali della dieta giornaliera.

Molto più complesso è capire se gli aromatizzanti siano in grado di condizionare l’ingestione dei concentrati somministrati nel PMR. A differenza di quanto abbiamo descritto per i sapori è difficile suddividere in gruppi gli aromatizzanti. In uno dei pochi studi disponibili è stata studiata la capacità di condizionare l’appetibilità dei mangimi testando gli aromi anice, fieno greco, miele, arancia, timo, melasso e vaniglia, e scoprendo che quest’ultimo è in grado di aumentare il consumo di concentrato fino a oltre 400 grammi al minuto.

Conclusioni 

Rendere una razione o un mangime più appetibile per i ruminanti, in modo che ne mangino di più e più rapidamente, è un auspicio portatore di indubbi ed evidenti vantaggi. Non si debbono però generare false aspettative su un argomento per il quale le evidenze scientifiche sono sicuramente poche.

Ci permettiamo pertanto di sintetizzare quanto secondo noi è opportuno fare:

  • Evitare nelle diete dei ruminanti alimenti sicuramente o oggettivamente inappetibili a prescindere dalla loro qualità.
  • I ruminanti riescono a percepire con l’olfatto e con il gusto odori e sapori associabili con possibili disturbi alla loro salute se ingeriti.
  • Esiste una differente preferenza di odori e sapori a livello di specie, di allevamento e di individuo. 
  • La possibilità che aromi e sapori possano incrementare sensibilmente la quantità e la velocità di ingestione di una razione o di un alimento è molto limitata.
  • Sia l’unifeed che aromi e sapori molto intensi non riescono a risolvere il problema di alimenti poco o per nulla appetibili.
  • Esistono alcune patologie in allevamento non trasmissibili, come l’acidosi ruminale la chetosi metabolica, che si esibiscono alterando il comportamento alimentare dei ruminanti.