Molto spesso l’abitudine ci porta a dare per scontati certi comportamenti e reazioni degli animali dimenticandone la genesi.

Il comportamento degli animali è il risultato dell’interazione fra diverse componenti: una componente innata o istintiva che è propria della specie di appartenenza e che è frutto della filogenesi ossia dell’evoluzione della specie in un determinato ambiente; vi si aggiunge poi una componente appresa che è il frutto delle modificazioni del comportamento indotte dall’ambiente fisico e sociale in cui viene a trovarsi l’individuo; e infine determinante è la capacità di percepire gli stimoli esterni filtrati dalle caratteristiche degli organi di senso. Chiunque abbia contatto con gli animali si accorge di quanto la loro capacità di percepire determinati stimoli sia superiore alla nostra, ma nel quotidiano si tende poi a non considerarlo. Ai ruminanti, ad esempio, viene riconosciuta una buona sensibilità visiva associata ad una miglior visione notturna, sebbene la ridotta acutezza, intesa come scarsa percezione dei dettagli, faccia percepire semplici ombre o cambiamenti di colore del pavimento come ostacoli reali. Di conseguenza, in virtù anche di una regolazione più lenta dell’apparato visivo, sarà molto impegnativo spostare gli animali da un luogo illuminato verso uno che lo è di meno, mentre, invertendo tali condizioni, gli animali tenderanno a spostarsi spontaneamente perché generalmente attratti dalla luce, se non abbagliante. Inoltre, l’evoluzione dei ruminanti in grandi spazi aperti ha favorito la caratteristica di un campo visivo molto ampio che permette di percepire oggetti in movimento anche a grande distanza, con una percezione più dettagliata del movimento dinamico che nell’uomo ma con una messa a fuoco più lenta e con distorsioni. A tale capacità di percezione corrisponde quindi una elevata reattività a stimoli dinamici molto distanti che possono risultare per noi di difficile percezione. Infine, la definizione dell’immagine e l’apprezzamento della profondità risultano limitati ad una ridotta area frontale per cui non deve stupire la loro tendenza a girarsi verso di noi per osservarci.

Uno dei sensi che negli animali è rimasto molto sviluppato ed utilizzato, rispetto all’uomo, è sicuramente l’olfatto. E’ alla base dei comportamenti sociali, in particolare nell’instaurarsi del riconoscimento materno-filiale, e nella ricerca dell’alimento, per cui influisce notevolmente sull’appetibilità della razione e sull’ingestione. Grazie anche all’organo vomeronasale, che percepisce i feromoni, l’olfatto permette una comunicazione fra conspecifici anche in assenza del mittente e determina quindi reazioni comportamentali la cui genesi è difficilmente comprensibile all’uomo. Tuttavia, indipendentemente dalle modalità di percezione degli stimoli, risulta determinante il ruolo dell’apprendimento nell’orientare i comportamenti. Infatti, se l’animale sperimenta ripetutamente che un evento, pur di forte impatto fisico o emozionale, non ha conseguenze negative o comporta dei vantaggi, progressivamente inizierà a non reagire o addirittura proverà a favorirlo. Quindi, conoscendo i meccanismi dell’apprendimento, è possibile sfruttare la capacità di adattamento degli animali, tenendo sempre presente che la novità è un elemento che genera immancabilmente reazioni di paura e stress.

I nostri ruminanti domestici, attraverso la selezione operata dall’uomo, hanno mutato molte delle caratteristiche morfologiche, fisiologiche ed etologiche dei progenitori selvatici. Ciò nonostante, le funzioni biologiche sono sempre regolate da un orologio interno sincronizzato sull’alternanza di luce e buio e delle stagioni; gli animali tendono a rispettare questi bioritmi e i comportamenti naturali che ne derivano, sia allo stato libero che in allevamento. Ad esempio, la necessità di riposare nell’arco della giornata è prioritaria per la bovina, anche nei confronti dell’assunzione di alimento. Qualora non riesca a soddisfare il proprio bisogno di riposo in decubito per 12-14 ore, la bovina manifesta risposte di stress cui si associano cali di produzione e aumento delle zoppie. Inoltre, essendo più propensa a ruminare in decubito, tale deprivazione può interferire anche sull’attività fermentativa ruminale. Di conseguenza il management aziendale dovrebbe essere impostato nel rispetto di tale esigenza ed evitare tutte quelle situazioni e procedure che concorrono a ridurre i tempi di riposo, fra cui l’eccessiva densità, cuccette o lettiera permanente inadeguate, la prolungata permanenza fuori dal paddock o negli autocatturanti. Un altro comportamento irrinunciabile è quello di assunzione dell’alimento, che è direttamente correlato alla produzione di latte; il bovino dedica infatti all’ingestione lo stesso tempo (in media 4-5 ore) sia al pascolo che in stabulazione libera o fissa, variando essenzialmente il numero e la durata dei pasti. Se questo comportamento viene “sacrificato” a favore di altri, come nelle condizioni elencate precedentemente per il tempo di riposo, si verificano ripercussioni negative sull’ingestione, conversione e produzione. Tale riduzione risulta ancor più deleteria per le primipare, che hanno tempi di alimentazione più lunghi. Tutti questi fattori sottraggono tempo ai bisogni primari degli animali con inevitabili ripercussioni negative su benessere, salute e performance.

Infine anche lo spazio disponibile alla mangiatoia rappresenta un elemento importante per la redditività dell’allevamento, dal momento che le bovine tendono a sincronizzare l’assunzione dell’alimento e a distribuirsi sul pascolo, pur raggruppate, a una distanza media di 12 m.

Il comportamento alimentare degli ovini è fortemente influenzato dalla facilitazione sociale per cui i componenti del gruppo tendono ad iniziare e concludere contemporaneamente il periodo di pascolo, che in questa specie ha una durata superiore rispetto al bovino, compensata da minori esigenze di riposo.

Si è già accennato all’importanza strategica della densità di allevamento in quanto potenziale ostacolo all’espletamento delle attività quotidiane essenziali. Le risposte di stress e calo produttivo associate a situazioni di elevata densità, non sono da riferirsi solamente alla difficoltà di accesso alle risorse ma anche all’instabilità gerarchica che caratterizza gruppi disomogenei o numerosi in cui il riconoscimento dei conspecifici diventa difficoltoso. Difatti la densità dovrebbe essere tale da rispettare lo spazio individuale del bovino e la dimensione del gruppo dovrebbe permettere il riconoscimento individuale e quindi il mantenimento di una stabile gerarchia. Alterazioni dell’ordine gerarchico sono fonti di stress che comportano cali di produzione e che spesso derivano da interventi dell’allevatore. Cambiamenti di gruppo e isolamento sono eventi inevitabili in allevamento, che però l’allevatore può gestire mitigandone gli effetti. Ad esempio i soggetti possono essere movimentati ed immessi in un nuovo gruppo almeno in coppia e lontano dai momenti di maggiore attività come i pasti; inoltre le zone di isolamento, come i box parto, dovrebbero essere utilizzate per il tempo strettamente necessario e trovarsi in contiguità a quelle dei gruppi di provenienza e destinazione, per non determinare brusche alterazioni dell’ambiente sociale. Nel bovino, comunque, la capacità di riconoscere individualmente i componenti del gruppo è elevata, e in gruppi oltre i 90-100 capi, la gerarchia viene mantenuta stabile attraverso la formazione di sottogruppi. Risulta quindi determinante, più che altro, la disponibilità e l’accessibilità delle risorse: corsia di alimentazione mai vuota, adeguata portata dell’acqua, dimensioni e disposizione di mangiatoie, abbeveratoi ed aree di riposo.

Sarebbe bene ricordare sempre che le criticità finora esposte risultano massime per le primipare che convivono con le pluripare, e per tutti i capi allevati qualora l’ambiente di allevamento non offra caratteristiche ottimali di temperatura, umidità e qualità dell’aria.

Questo breve excursus può essere utile per non dimenticare che esiste una stretta relazione fra i requisiti strutturali degli ambienti di allevamento, che a volte ci sembrano imposti senza un effettivo legame con la realtà zootecnica, e l’etogramma dei ruminanti domestici, che viene meno considerato di quello di specie selvatiche ed esotiche oggetto di documentari di successo.