L’agricoltura è definita “settore primario“, nel senso che oltre ad essere il primo settore economico nato nella storia dell’umanità è anche il più indispensabile: nessun altro settore economico è più essenziale per i bisogni dell’umanità. Purtroppo solo pochi ci riconoscono questo ruolo, sia in termini di soddisfazioni morali sia in termini di remunerazione.
L’agricoltura è un settore molto antico, ed è quindi il frutto di continui miglioramenti di un lavoro nato nella notte dei tempi. Alcuni periodi storici, come il nostro, hanno assistito ad un’accelerazione di questi miglioramenti. Si tratta tuttavia pur sempre di un mestiere antico i cui fondamentali non sono cambiati: bisogna conoscere la natura e la biologia per produrre derrate alimentari di qualità in modo sostenibile. Lavorando con i ruminanti, abbiamo a che fare continuamente con animali dalla biologia lenta. In fondo, siamo nella condizione di allevare i batteri del rumine fornendo loro alimenti che, in buona parte, loro soli riescono ad utilizzare; ciò affinché l’animale utilizzi i prodotti del metabolismo ruminale e li trasformi aumentandone il valore nutritivo e biologico. Questa trasformazione per quanto importante, è a basso valore aggiunto, economicamente parlando. In realtà, molta parte dell’agricoltura è a basso valore aggiunto. Se osserviamo i fattori di produzione utilizzati ed il risultato che ne otteniamo, possiamo avere un’idea più chiara del fatto che ci troviamo in un settore “povero” di valore aggiunto. Solo l’eventuale ulteriore trasformazione dei prodotti agricoli (formaggi, carne, insaccati, vino, ecc.) è in grado di incrementare decisamente il valore delle produzioni agricole.
Tutta questa lunga dissertazione serve per dire che in settori come il nostro, in cui si registra un basso valore aggiunto, l’attenzione ai costi ha un valore formidabile. Dunque l’incessante attenzione a trovare forme intelligenti di risparmio diventa il nostro mantra e la parsimonia diventa un valore antico come lo è il nostro lavoro che deve tornare ad essere un insostituibile alleato.
Provo a fare un esempio semplice ma spero efficace. Immaginiamo che il titolare di una stalla da 100 vacche che produce 30 litri/capo spenda 10€ al giorno in più per una o più scelte di gestione. Potremmo definire tale cifra non degna di nota.
Poniamo che il suo risultato economico annuale prima di quelle scelte sia 20.000 € di utile che equivale ad un guadagno, alle attuali condizioni, di circa 2 centesimi/litro. Poniamo che il guadagno marginale (prezzo del litro di latte venduto diminuito di tutti i costi variabili legati all’incremento di produzione) di ogni litro di latte prodotto in più come media annuale corrisponda a 20 €centesimi (valore del latte venduto diminuito di quel tanto di maggior alimentazione che serve per produrre quella parte di latte in più, del leggero allungamento dei tempi di mungitura, ecc.). Ciò significa che per ottenere il medesimo risultato di fine anno, a fronte di un maggior costo di 10 €/giorno, dovremmo consegnare quotidianamente una maggior produzione di 50 litri di latte/giorno (50 lt x 0,20€=10€). Questo significa dover passare a 30,5 litri di media ogni santo giorno che ci svegliamo, per assorbire una maggior spesa di 10 €. Per quanto banale sia spendere 10 € in più al giorno, non lo è altrettanto aumentare la propria media di mezzo litro al giorno.
Immaginiamo ora quante volte spendiamo 10 € e, di riflesso, quanto maggior latte dobbiamo essere in grado di produrre per pareggiare l’effetto di quelle spese (pareggiare non significa guadagnare di più!) e quanto sforzo facciamo e chiediamo alle nostre vacche di fare per pareggiare ciò che altrimenti sarebbe più facile ottenere semplicemente controllando con maggior disciplina i costi.
Una volta uno zio agricoltore mi disse che i soldi non spesi sono i primi guadagnati. Per quanto non ne sapesse nulla di Keynes ed affini, l’ammonimento mi è sempre sembrato degno di un grande economista.
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