L’osservatorio di Ruminantia è sicuramente previlegiato e si integra con il mio personale, in quanto condivido con alcuni allevatori, alcune industrie di trasformazione e un Consorzio di Tutela le ansie e le gioie del fare latte, formaggi e carne per la gente. Solo alcuni stolti e imprudenti negano che il rapporto tra l’opinione pubblica e gli allevamenti si sta deteriorando giorno dopo giorno. Poco o nulla si sta facendo per raccontare senza filtri la verità dell’allevare gli animali e il loro rapporto con tutti gli ecosistemi e gli stessi allevatori. La strategia imperante del lasciar correre e del non rispondere mai alle domande e alle accuse dell’opinione pubblica, oppure la scelta di opporsi negando le critiche che la gente ci rivolge, sono a mio avviso estremamente nocive per il futuro delle filiere del latte e della carne. Per chi vuole invece iniziare un dialogo sereno e costruttivo con i consumatori, i media e le associazioni animaliste e ambientaliste, o almeno con quelli ancora non schiavi dei pregiudizi, Ruminantia in questo editoriale di fine anno si permette di suggerire alcuni punti che andrebbero affrontati almeno per quanto riguarda l’allevamento dei ruminanti, che è profondamente diverso da quello dei monogastrici.

  • Moltissime persone, almeno quelle sensibili ai temi della deforestazione, criticano l’allevamento degli animali da cibo perché consuma molta soia, la cui produzione distrugge ampie aree del mondo come l’Amazzonia. Quello che non gli abbiamo mai spiegato con chiarezza, per colpa nostra e di chi non ce ne ha dato la possibilità, è che quello che mangiano i ruminanti sono gli scarti della soia e di altre oleaginose che derivano principalmente dalla produzione di olio vegetale. Se il prezzo del latte e della carne prodotti da questi animali fosse più remunerativo, e quindi gli allevatori non fossero costretti a produrre sempre più, lo scarto della soia potrebbe essere sostituito con legumi come il pisello proteico e il favino, oppure da foraggi proteici come l’erba medica e il trifoglio. Il resto della dieta dei ruminanti è fatto di foraggi e scarti vegetali dell’industria, alimenti che l’uomo non può inserire nella sua dieta perché indigeribili. L’unico alimento in diretto conflitto con l’alimentazione umana è il mais, ma se ciò è di ostacolo per un dialogo con l’opinione pubblica se ne può ridurre l’impiego nell’alimentazione animale.
  • La gente è convinta che gli animali si allevino tutti negli allevamenti intensivi dove essi soffrono perché i loro diritti di fare una vita dignitosa vengono sempre e comunque calpestati. La gente non conosce la vera etologia dei ruminanti domestici, e di questo noi non abbiamo mai parlato con loro. Certo è che alcuni aspetti come le stalle a stabulazione fissa o a cuccette, gli autocatturanti, la non possibilità di accesso all’esterno e l’allontanamento dei vitelli dalla madre alla nascita creano disagio nell’opinione pubblica, e questo ci impone una profonda riflessione e qualche deciso passo indietro.
  • Si accusa l’allevamento di utilizzare enormi quantità di antibiotici, e questa secondo molte persone come i medici è la principale causa del problema dell’antibiotico-resistenza. Poco invece sa l’opinione pubblica del fatto che nei ruminanti e altri animali è stato bandito nel 2006 dall’Unione europea l’uso degli antibiotici come fattori di crescita. Secondo quanto riportato dal rapporto ESVAC 2020 dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), dal 2012 al 2020 c’è stata in Europa una riduzione del consumo dei farmaci veterinari del 43.2%, che in Italia è stata del 51%. C’è da notare che circa l’86.9% degli antibiotici utilizzati negli animali d’allevamento rientra nella categoria delle soluzioni orali e premix, e non può essere quindi utilizzato negli animali con un rumine funzionante. Tutto questo la gente comune non lo sa perché non glielo abbiamo mai detto, e nessuno ce lo ha chiesto.
  • E’ diffusa la certezza che i ruminanti siano tra i principali contributori alla produzione dei gas climalteranti responsabili del surriscaldamento del pianeta. Ovvio è che la produzione di metano enterico, e quello emesso dallo stoccaggio e la distribuzione dei liquami, contribuiscono al totale delle emissioni di natura antropica. I dati sono a disposizione di chi vuole utilizzarli, cioè di chi non nega che gli allevamenti inquinano e di chi, di fronte a dati scientificamente inconfutabili come quelli dell’ISPRA, è disposto a cambiare idea. Al resto dell’opinione pubblica andrebbe detto, se ci venisse concesso, che l’agricoltura è responsabile del 7% del totale delle emissioni di CO2 equivalente e l’allevamento dei ruminanti lo è del 5%. In ogni caso, è già in atto un cambiamento derivante da una diversa selezione genetica, dalla copertura dei vasconi di stoccaggio dei liquami, da un’evoluzione della nutrizione e dall’impiego di additivi di comprovata efficacia. Nelle aziende agricole dove si allevano i ruminanti, ampie sono le superfici sulle quali vengono coltivati gli alimenti zootecnici e dove pertanto avviene uno spesso importante sequestro del carbonio sia nel suolo che nelle stesse piante. Tutto questo la gente non lo sa perché non glielo abbiamo mai detto e nessuno ce lo ha chiesto.
  • Si accusa la zootecnia di fare ampio utilizzo d’energia e di farlo da fonti fossili. Chi formula questa accusa non ha mai voluto approfondire quanti impianti di biogas e quanti di agrivoltaico sono presenti negli allevamenti, e quanta energia elettrica producono. Ci sono ormai molti allevamenti di ruminanti che hanno un bilancio energetico positivo. Questo l’opinione pubblica e le associazioni ambientaliste non ideologiche lo devono sapere se gli interessa la verità.

Conclusioni

La produzione primaria di latte e di carne, ma anche l’industria di trasformazione e i Consorzi di Tutela, devono confrontarsi con l’opinione pubblica e con essa instaurare un dialogo permanente fatto non solo con l’ottica di convincerla ma anche per acquisire suggerimenti utili ad una riqualificazione degli allevamenti. La cosiddetta intermediazione operata dai giornalisti ha presentato gravi lacune in questo senso perché è spesso più alla ricerca degli scoop che di una noiosa ed impopolare verità. Il web, le stalle aperte e le agenzie di comunicazione che hanno ricevuto dalle industrie e dai Consorzi di Tutela un giusto brief possono avere un ruolo decisivo, a patto che decidano che è la verità e solo la verità che va raccontata. Noi di Ruminantia già nel 2017 presentammo il progetto quanto mai attuale della Stalla Etica® dove produrre il Latte Etico®, ossia un modello olistico di riconversione degli allevamenti cosiddetti intensivi verso le aspettative dell’opinione pubblica e di reddito per gli allevatori. Ad oggi in Italia di Stalle Etiche® ancora non ce ne sono. Qualcuna è nata ispirandosi a taluni dei concetti che compongono il progetto. Forse a breve qualcuna di queste verrà realizzata nella sua versione integrale e su di essa Ruminantia concentrerà tutti i suoi sforzi di comunicazione, gestendola come è doveroso gestire un vero e proprio show room.