Della genetica affascina la precisione. Il genetista che appronta un piano di selezione per una razza, destinata ad essere o a produrre alimenti per l’uomo, “plasma” gli animali di generazione in generazione fino ad ottenere ciò che è meglio per il consumatore e quindi per l’allevatore. Le promesse che il genetista fa vengono sempre mantenute. Uno su tutti l’esempio della Frisona italiana. Si è voluta incrementare la produzione ed ecco i quasi 94 quintali del 2012. Visto che l’Italia è un paese a spiccata vocazione casearia era necessario che le Frisone facessero si tanto latte, ma anche tanto grasso e tanta caseina. Non è poi così lontano nel tempo quando nel Maggio del 1991 fu promulgata la legge 185 che istituì il “latte di alta qualità”. Ci ricordiamo bene che, per puntare a questo interessante obiettivo economico, si doveva consegnare latte con non meno del 3.50 percento di grasso e con almeno 32 grammi/litro di proteina, cosa non facile con la genetica d’allora. Oggi tutta la Frisona italiana ha nel 2012 prodotto un latte al 3.83 % di grasso e con 34.8 grammi di proteina per litro. Tutto questo per il miglioramento della nutrizione ma, soprattutto, grazie al lavoro fatto dai genetisti. A fronte di questa evoluzione quanti-qualitativa del latte altrettanto non si può dire per i così detti caratteri funzionali ossia la fertilità, la resistenza alle malattie e quindi la longevità funzionale. La breve vita produttiva delle bovine, a causa di problemi riproduttivi,  podali e mammari ,”brucia” di fatto il vantaggio economico che gli allevatori acquisiscono grazie al consegnare più latte e con titoli migliori.

Il vantaggio economico pertanto è principalmente di chi ritira il latte e non di chi lo produce. In questi anni mi sono sempre sorpreso di come la genetica quantitativa non si ponesse con forza il quesito di quali possano essere gli effetti collaterali negativi dell’avere bovine così performanti  che producono al picco quantità di grasso e proteine impressionanti e, soprattutto, contemporaneamente al momento in cui dovrebbero rimanere ancora gravide. Ammesso che la domanda se la siano posta e che abbiano anche trovato una risposta, perché non avvisare per tempo l’allevatore che le tecniche d’allevamento e la nutrizione non possono necessariamente andar bene allora e andare bene adesso. Con l’ingresso prepotente della selezione genomica non continuo a percepire segnali di avviso dal mondo della genetica agli allevatori sul fatto che le vacche che verranno avranno necessità diverse, non tanto per essere produttive, quanto per essere longeve e quindi redditizie. I fisiologi ben sanno che, per fare tanto latte e con tanto grasso e proteina, vengono premiati dalle selezione assetti ormonali e metabolici a volte riconducibili al diabete tipo uno e al diabete tipo due e che, per fare tutta questa caseina, si possono causare agli animali gravissime carenze di specifici amminoacidi coinvolti nell’immunità o nella fertilità. Perché il dialogo, che mi auguro ci sia e ci sia stato tra genetisti e fisio-patologi, non è arrivato agli allevatori attraverso suggerimenti di nuove tecniche di gestione dell’ambiente e della nutrizione? I genetisti si difendono giustamente da questo dicendo che i caratteri funzionali hanno una bassa ereditabilità ma forse dimenticando che ,con questi tassi di consanguineità, nella popolazione potrebbero essere diventati dominati alcuni caratteri recessivi legati a difetti enzimatici, anche marginali, ma che nel concerto del metabolismo possono creare danni devastanti. Devo riconoscere che con l’avvento della selezione genomica pensai che finalmente si potessero selezionare bovine più predisposte a produrre più progesterone, più ormone IGF, meno soggette all’insulino- resistenza, più cheratina o con una maggiore attività enzimatica dell’enzima carnitina acil-transferasi ,visto che molti di questi polimorfismi sono stati accertati e molti geni chiave nella sintesi di enzimi chiave individuati.

La selezione genomica accelererà il miglioramento genetico della nostra Frisona ma, senza le dovute cautele, potrebbe non risolvere il vero problema dei nostri allevamenti, ossia il ridurre i giorni medi lattazione ed aumentare fino a 3 il numero medio di lattazione in stalla. Questo non per puntare ad ulteriori performance tecniche ma solo per migliorare la redditività. Motivo principale per cui vengono allevate le vacche da latte.