Lo studio delle possibili interferenze, positive e negative, della nutrizione sulla fertilità dei ruminanti, ed in particolare delle bovine da latte, è stato per molti anni intenso. Nell’ultimo periodo si è però preferito optare per le soluzioni farmacologiche routinarie, ossia per i protocolli di sincronizzazione. Questa scelta che si è diffusa su tutto il pianeta ma il rischio intrinseco è di sollevare grandi perplessità da parte dell’opinione pubblica quando si utilizzano a tappeto e non per fini terapeutici, con possibili ripercussioni negative sui consumi dei prodotti del latte e della carne.

Quando si scelgono i tori da destinare alla fecondazione artificiale sono pochi i centri genetici che considerano se i riproduttori maschi siano “figli” di cicli estrali naturali o indotti artificialmente. Questo può paradossalmente portare nel lungo periodo a razze non più in grado di riprodursi naturalmente, anche se i caratteri riproduttivi hanno una bassa ereditabilità.

Nonostante questa premessa spesso gli allevatori, i nutrizionisti, gli alimentaristi e i veterinari danno grande importanza alla correlazione tra nutrizione e fertilità. Empiricamente c’è anche da dire che i ginecologici “umani” non credono che l’infertilità delle donne sia così intimamente legata alla nutrizione, a meno che non si considerino solo le vitamine, gli oligoelementi e alcuni principi attivi naturali (fitoterapici). Non mi risulta che i medici attribuiscano alle “carenze” energetiche o agli eccessi proteici la responsabilità primaria della ridotta fertilità femminile. Sempre empiricamente, sembrerebbero più in difficoltà a rimanere gravide le donne dei paesi ricchi rispetto a quelle dei paesi poveri con problemi di malnutrizione anche molto gravi.

Personalmente ritengo che la verità sia nel mezzo, e questa convinzione me la danno gli studi di biologia evolutiva comparata. Le femmine della classe dei mammiferi, a meno che non abbiano gravi problemi genetici o sanitari, generalmente si ingravidano se fecondate, mentre in tante specie solo pochi maschi si accoppiano, e sempre e solo i dominanti. Per una femmina, specialmente se di erbivoro, e in particolare per quelle appartenenti al sottordine dei ruminanti, la gravidanza è un evento molto impegnativo, perché porta ad un aumento dei fabbisogni nutritivi e del rischio di essere predata a causa della sua minore agilità e maggiore peso. Inoltre, la specie gli impone prima di instaurare una nuova gravidanza di fare una ricognizione anche di medio e lungo periodo per valutare se sussistono le condizioni nutrizionali affinché la madre possa adeguatamente nutrire il figlio con il latte almeno finchè questo non sia in grado di digerire gli alimenti vegetali.

In termini tecnico-scientifici quella che ci auspichiamo prenda la femmina dei ruminanti domestici è la “decisione di riprodursi”. Non sappiamo se questa decisione abbia qualche momento cosciente, ma sicuramente la ricognizione metabolica è estremamente complessa e conoscerla nel dettaglio aiuta a capire se e dove intervenire con la genetica, la gestione, la nutrizione, la sanità e l’ambiente.

Sicuramente le sincronizzazioni e qualche altro intervento ormonale aggiuntivo “aiutano” le bovine a prendere questa decisione, ma i risultati in termine di gravidanze ottenute non sono poi così elevati e le perplessità etiche dell’opinione pubblica non devono essere in alcun modo sottovalutate.

Per ottenere una gravidanza che sia portata avanti fino alla nascita del concepito ci vogliono follicoli di qualità (sia quello dominante che quelli della corte), un ovocito integro e sano, un comportamento estrale evidente, un corpo luteo che può produrre molto progesterone e un istiotrofo abbondante e nutriente. Serve che le bovine vivano in un ambiente spazioso e confortevole, con un basso livello di conflitti sociali e privo di paura dell’uomo, e che metabolicamente “credano nel futuro”, ossia che vitello potrà contare su tanto latte di cui nutrirsi e vivere in un ambiente poco ostile. A livello ipotalamico, ed in particolare nel nucleo arcuato dell’eminenza mediana, giungono le informazioni provenienti dai sensori metabolici, ossia ormoni come la adiponectina, la leptina, l’insulina, la ghrelina, etc. che informano l’ipotalamo sul metabolismo dell’animale e sul livello delle riserve lipidiche. Quasi sicuramente è la kisspeptina che modula la secrezione ipotalamica del GnRH in risposta alla ricognizione metabolica di breve e medio periodo che gli animali fanno in tempo reale e costantemente.

Oltre al metabolismo, l’ipotalamo utilizza informazioni da segnali socio-sessuali, e dal fotoperiodo. Molte specie di ruminanti domestici sono poliestrali stagionali proprio per garantire dapprima all’embrione poi al nascituro la più ampia probabilità di sopravvivenza. Iniziare una gravidanza a fine inverno aumentava infatti la probabilità per la madre di accedere a pascoli rigogliosi e quindi di avere una maggiore quantità di nutrienti, utili a garantire una buona qualità dell’ovocito e successivamente dell’embrione.

La bovina da latte, per la necessità di disporre di latte tutto l’anno nella stessa quantità, è stata selezionata per essere un animale poliestrale annuale, anche se negli ultimi anni si nota una certa stagionalità della fertilità e della produzione. Il percorso evolutivo degli esseri viventi è lunghissimo e tuttora in atto, e le specie si sono cautelate per avere la maggiore possibilità di riprodursi nel migliore dei modi. La modulazione della secrezione del GnRH serve a modulare la secrezione delle gonadotropine ipofisarie FSH e LH, che rispettivamente influenzano positivamente la crescita e la deiscenza del follicolo, ossia l’ovulazione di quello dominante. I follicoli ovarici hanno a loro volta un loro network informativo perché sono anche loro dotati di recettori per ormoni come gli estrogeni, il progesterone, la leptina, l’insulina e l’IGF-s. Quest’ultimo ormone è considerato un potente fattore di crescita follicolare e la sua secrezione, principalmente epatica, avviene se il fegato è sano e se la concentrazione di amminoacidi nel sangue circolante è adeguata. Si può prendere già questo ultimo esempio per comprendere come la nutrizione clinica possa concretamente migliorare la qualità dei follicoli e degli ovociti in esso contenuti.

Il bilancio energetico e amminoacidico negativo, tipico delle specie e delle razze destinate alla produzione di latte, è uno dei fattori metabolici che più di ogni altro scoraggia a prendere la decisione di riprodursi. Anche se quello che sto per scrivere ha motivazioni empiriche, probabilmente non è tanto il BCS basso a scoraggiare il ripristino di una gravidanza dopo il parto ma è il dimagrimento più o meno intenso che modula i sensori metabolici ipotalamici. Nel fluido follicolare giungono i corpi chetonici come il BHB, i NEFA, l’urea e il glucosio. Un assetto metabolico fatto di elevata concentrazione di BHB, Urea e NEFA, e ridotta concentrazione di glucosio descrive al follicolo un intenso bilancio energetico e amminoacidico negativo che è una condizione che non permette di avere follicoli, ovociti e poi corpi lutei di qualità. Un punto fermo nella conoscenza della fisio-patologia riproduttiva, che non va mai dimenticato perché condiziona fortemente le scelte preventive e terapeutiche ovariche, è che i follicoli per passare dalla fase primordiale a quella pre-antrale impiegano circa tre mesi. Durante questo lungo periodo vengono accompagnati durante la crescita in primis da numerosi fattori di crescita ma anche dalle gonadotropine ipofisarie. Il passaggio dalla fase pre-antrale alla piena maturazione, e quindi all’ovulazione, dura circa due cicli estrali, e quindi poco più di 40 giorni. In questo secondo periodo sono più importanti l’FSH e l’LH piuttosto che i fattori di crescita.

Quella discussa finora è una sintesi del rapporto tra l’asse ipotalamo-ipofisi-ovaie-utero e la fertilità, e di come questo viene influenzato da fattori nutrizionali e metabolici, dallo stress e dalla salute dell’animale. La nutrizione clinica può fare molto a patto che non cada nella semplificazione, spesso molto dannosa, che per migliorare la fertilità di un allevamento basta aumentare l’energia e ridurre le proteine delle bovine fresche e non ancora gravide.

Sul numero di settembre 2023 di Ruminantia Mese, ossia il prossimo, pubblicheremo un decalogo pratico su come aiutare la fertilità delle bovine da latte non ricorrendo specificatamente ai farmaci.