Nella maggior parte dei casi in Italia si gestisce la nutrizione dei ruminanti da reddito definendo dei fabbisogni, sì legati alla ricerca, ma spesso modificati dalle esperienze personali e scegliendo le materie prime da utilizzare in funzione della tradizione o di convinzioni personali. L’alimentazione è il centro di costi più elevato in allevamento ed il suo impatto sul profitto è molto rilevante.

Nelle zootecnie del resto del mondo si approntano i razionamenti con il ferreo principio di farli al minor costo ossia utilizzando le materie prime più convenienti per soddisfare al minimo i fabbisogni nutritivi (precision feeding). Pertanto, le variazioni delle diete in allevamento si effettuano quasi esclusivamente quando variano i prezzi e le disponibilità degli alimenti. Il metodo utilizzato è semplificativamente definito “ottimizzazione” e il calcolo delle razioni è effettuato utilizzando software specifici che sfruttano le potenzialità offerte dalla “programmazione lineare”. Il principio generale è quello di definire molto accuratamente i fabbisogni nutritivi per la specie e la fase del ciclo produttivo per cui si sta approntando la dieta, dare dei vincoli minimi e massimi ai singoli nutrienti selezionati e, successivamente, offrire al software una gamma di alimenti disponibili e con un prezzo di utilizzo anch’esso precisamente definito. Questi programmi eseguono l’ottimizzazione al minor costo (least cost), indicando al nutrizionista quello che in gergo è definito il “costo dei vincoli” da lui attribuiti alle singole materie prime o ai singoli nutrienti. Operando con questa metodologia si riesce con estrema precisione a quantificare il costo effettivo, ad esempio, di un decimale della proteina o dell’energia o della quantità della materia prima vincolata. In questo modo, il nutrizionista può dare un esatto valore al vincolo che ha imposto e valutare quale risparmio economico si otterrebbe dall’allentare un vincolo su un nutriente o su un alimento.

Il procedere per “ottimizzazione” comporta, oltre ad una profonda conoscenza dei fabbisogni nutritivi, l’avere un’aggiornata composizione analitica degli alimenti disponibili e, ovviamente, un software di razionamento in grado di effettuare questi calcoli. Ovviamente, l’ottimizzazione al minor costo per essere gestita al meglio necessita di una profonda conoscenza agronomica, fondamentale per orientare i piani colturali dell’azienda e per coniugare la massima produttività della “campagna” con il più basso possibile costo delle razioni alimentari. Generalmente sono le lauree in Agraria e Scienze delle Produzioni Animali a fornire tutte le competenze necessarie per ragionare di alimentazione dei ruminanti in questo modo che ben si definisce come “nutrizione di base”.

Anche se la conoscenza dei fabbisogni nutritivi dei ruminanti da reddito è ormai piuttosto elevata, c’è a volte la necessità di andare in deroga ai fabbisogni o alle razioni “least cost” aumentando o diminuendo la concentrazione di alcuni nutrienti o di alcuni alimenti, o inserendo qualche additivo di comprovata efficacia. E’ questo l’esempio dell’acidosi ruminale estiva che impone una riduzione degli amidi oppure l’uso di antiossidanti quando, condizioni di sovraffollamento e ingresso di malattie infettive in allevamento, richiedono un aiuto al sistema immunitario. Molti sarebbero gli esempi da riportare. Questa “deroga” temporanea alla nutrizione di base si chiama “nutrizione clinica” ed è una competenza propria del buiatra piuttosto che dello zootecnico e, idealmente, sarebbe oggetto di dialogo tra il nutrizionista e il buiatra per trovare il miglior compromesso tra costi dell’alimentazione e salute dell’allevamento.

In Italia purtroppo e per varie ragioni c’è una generale sopravvalutazione del ruolo della razione, specialmente nelle bovine in lattazione. Si modificano anche più volte al mese le razioni se le visite ginecologiche non sono andate bene, se ci sono mastiti o zoppie o comunque per le più disparate ragioni, dimenticando che il rumine impiega non meno di 40 giorni per “imparare” una nuova razione o meglio per cambiare gli equilibri interni del complesso ecosistema ruminale. Questo modo di procedere sottintende che non esistono dei fabbisogni nutritivi standard ma che sono legati all’esperienza, spesso solo empirica, del nutrizionista. Questa impostazione, alternativa all’ottimizzazione, genera nella maggior parte dei casi costi aggiuntivi molto elevati e sicuramente incompatibili con l’attuale situazione del prezzo del latte e della carne alla stalla. Inoltre, il procedere a tentativi o approssimazioni successive ha l’intrinseco rischio di generare problemi di salute alle bovine per eccessi e carenze nutritive derivanti dall’esperienza empirica del nutrizionista che non si confronta con le molte “evidenze” scientifiche oggi disponibili per la nutrizione animale, sia clinica che di base.