Abbiamo riempito le pagine di Ruminantia di articoli dedicati a trovare le giuste parole per raccontare l’allevamento degli animali domestici che producono cibo per l’uomo. Personalmente, sono stato invitato a farlo anche partecipando a diversi seminari, workshop e interviste. Tutto questo importante sforzo divulgativo è dovuto al fatto che riteniamo i pregiudizi che l’opinione pubblica ha nei confronti degli allevamenti rappresentino un grave rischio a medio e lungo termine per la loro sopravvivenza e un problema di salute pubblica non indifferente.

Quest’ultima affermazione si riferisce al fatto che lentamente ma inesorabilmente, sta passando la convinzione che consumare cibi ultra-processati e, quando ci saranno, cibi sintetici sia l’uovo di Colombo per salvare il pianeta dal surriscaldamento, evitare le sofferenze degli animali allevati per fare cibo e per non incorrere nei rischi per la salute umana derivanti dal consumo dei prodotti del latte e della carne. A dimostrazione di ciò ci sono i giganteschi investimenti che la finanza e le multinazionali del cibo stanno facendo sullo sviluppo di questi nuovi alimenti.

È, a nostro avviso, urgente mettere a punto una narrativa che spieghi alla gente le ragioni dell’allevamento e predisporre alcuni interventi strutturali e gestionali delle stalle. È doveroso comunque ricordare che c’è una profonda differenza tra gli allevamenti cosiddetti intensivi di ruminanti, come le bovine, le pecore, le bufale, le capre da latte e i bovini da carne, e quelli di polli, suini, conigli e galline, anche se l’opinione pubblica quando parla di allevamenti intensivi non riporta questa differenza.

Il termine allevamento intensivo è associato dalla maggior parte delle persone a qualcosa di negativo, mentre quello estensivo lo è in misura minore. Il dialogo con i media e con la maggior parte delle associazioni animaliste e ambientaliste è estremamente difficile perché c’è poca voglia di ascoltare per capire questo argomento. A prevalere non è la convinzione che sarebbe importante migliorare la qualità della vita degli animali d’allevamento, ma quella di chiuderli e basta perché l’atteggiamento più saggio è quello di consumare il meno possibile alimenti di origine animale o addirittura astenersi completamente dal farlo. Che questo pensare, se prevalesse, porterebbe all’estinzione di quasi tutti gli animali domesticati dall’uomo 8000 anni fa poco importa ma, devo anche dire, poco interessa la dignità e la qualità della vita degli animali allevati per sport e affezione a cui vengono attribuiti desideri tipicamente umani ma molto lontani alla loro etologia.

Scrivere e spiegare l’allevamento intensivo, almeno a quelli che vogliono ascoltare per farsi un’opinione propria, è utile come fatto in sé, ma anche per capire cosa non vada nella nostra narrazione e cosa è poco comprensibile a persone che vivono ormai lontane dal mondo rurale e dalla natura primigenia, e che non conoscono l’etologia. Se si digita nella stringa di Google “allevamento intensivo”, nella SERP di questo motore di ricerca appariranno pochi link ad articoli tecnico-scientifici e culturali. In un mio scritto dal titolo “Gli allevamenti intensivi e le città”, pubblicato il 16 agosto 2022 su Ruminantia, sempre al fine di trovare parole giuste e comprensibili, ho provato a raccontare l’allevamento degli animali da reddito utilizzando il paragone con le città e il tipo di economia che buona parte dell’umanità ha adottato ormai da molto tempo, ossia quella capitalista e del libero mercato.

Di fondamentale importanza per capire il fenomeno e cercare soluzioni è non dimenticare che, secondo la cultura cristiana, Dio ha affidato all’uomo il “dominio” della natura. Solo la recente Enciclica “Laudato si” di Papa Francesco, ha rettificato il termine “dominio” con “custodia” del Creato generando dissapori e perplessità nel mondo cattolico. L’uomo ha plasmato la terra “a sua immagine e somiglianza”, e con la tecnica la ha asservita alla propria utilità. Questo non è di per sé un male, ma lo diventa quando non si pongono limiti al progresso tecnologico, quando scompare ogni scrupolo etico per il dominio incontrastato sulla terra e sugli altri esseri viventi, e soprattutto quando si vuole mascherare tutto ciò con le ipocrisie messe in atto non per cambiare le cose ma per placare le coscienze.

L’uomo, quando si è trasformato da cacciatore-raccoglitore errante ad agricoltore stanziale, ha scelto alcune specie selvatiche per domesticarle e asservirle ai suoi desideri relegando le altre ad un ruolo di specie braccate e comunque concorrenti con lui per il cibo, lo spazio e le sue altre attività. Pochissime sono le riflessioni fatte sul rapporto dell’uomo con la natura, e se si fanno sono confinate negli inaccessibili salotti confortevoli degli intellettuali. Quello di cui si parla nella vita reale è come chiudere gli allevamenti intensivi e non come migliorare la vita degli animali che ci vivono.

Il concetto d’individuo è tipicamente umano e utilizzarlo per capire le altre specie è molto fuorviante. Alla natura interessa la propagazione del materiale genetico delle specie, per cui l’enorme diffusione che hanno avuto quelle animali e vegetali domesticate dall’uomo, a scapito di quelle selvatiche, è coerente con la teoria darwiniana della sopravvivenza del più adatto. I cosiddetti allevamenti estensivi esistono di fatto per alcune razze di animali, e dove comunque la loro libertà di andare dove vogliono e riprodursi è fortemente limitata. Anche a quegli animali ai quali l’uomo è convinto di dare una buona vita, come quelli da sport e d’affezione, non è data libertà di andare dove vogliono e di riprodursi liberamente. È un controsenso dire che tutti gli animali domestici sono di fatto schiavi dell’uomo mentre non lo sono quelli selvatici anche se continuamente braccati e cronicamente a rischio d’estinzione. Non ho conoscenza di movimenti animalisti a difesa dei diritti degli animali d’affezione e da sport. La dignità di questi animali è solo garantita da leggi molto generiche e ora anche dalla Costituzione Italiana, ma poco concretamente dall’opinione pubblica. È severamente vietato tenere i giovani vitelli legati mentre non lo è usare guinzagli e carrozzine per cani e gatti.

Un caro collega anche lettore di Ruminantia, del quale per privacy non riferirò il nome, mi ha segnalato il movimento o associazione Herbivorize Predators (erbivorizza i predatori) di cui non conoscevo l’esistenza ma che rappresenta a mio avviso un’ulteriore testimonianza di scarso rispetto per i diritti degli animali. Propongo pertanto da quest’anno che è appena iniziato, di fermare l’ipocrita inquisizione degli allevamenti intensivi e cercare, perché c’è, una soluzione più generale; anche se come detto in precedenza, la situazione degli allevamenti dei ruminanti è molto diversa da quelle dei monogastrici.

Noi di Ruminantia nel 2017 facemmo una proposta molto pratica su questo presentando il progetto dedicato alle bovine da latte chiamato “La Stalla Etica”.

Le società umane sono ormai da molti secoli organizzate sullo sfruttamento delle riserve naturali e dell’uomo da parte di pochi individui e aziende. Chiunque di noi quando diventa consumatore, dirigente, operaio, studente o consulente è chiamato ad esprimere una performance la cui retribuzione deve generare un profitto sicuramente superiore al ricavo derivante dall’attività svolta. Chi vive alle spalle della società prendendo senza dare è marginalizzato e considerato negativamente.

Per ottimizzare i costi, massimizzare i profitti ed emanciparsi dalle dure leggi della natura gli uomini si sono ammassati nelle città le cui dimensioni sono in continua crescita. Senza citare la popolosità di megalopoli come Shangai, Pechino, Istanbul e Città del Messico, e per rimanere nella nostra Italia, basti pensare che Napoli ha una densità di 8.000 abitanti per kmq e Milano più di 7.000. La vita delle comunità occidentali è frenetica; basta pensare, ad esempio, ai giovani divisi tra scuola, compiti a casa, sport e corsi di musica e di danza. Chi non ha più da dare in termini di valore aggiunto perché anziano o inabile al lavoro viene comunque socialmente marginalizzato. La filosofia si è da sempre chiesta se l’uomo sia veramente libero o sia solo illuso di esserlo. Marguerite Yourcenar nel suo libro “Memorie di Adriano” avvisa che l’uomo è e sarà sempre schiavo senza sapere di esserlo.

Le città si sono spesso brutalmente evolute, soprattutto con i loro quartieri periferici. Da qualche anno però si stanno facendo numerosi interventi sia strutturali che gestionali per rendere gli agglomerati urbani sempre più vivibili e a misura d’uomo. Lo stesso sta avvenendo per gli allevamenti degli animali da reddito, e in maniera più rapida di quanto possa sembrare, anche se spesso in maniera sbagliata perché non si tiene conto della reale etologia delle specie e delle razze allevate. Ci auspichiamo che nel 2023 le vere motivazioni di alcune associazioni animaliste e ambientaliste vengano allo scoperto, e che chi crede veramente che anche agli animali si debba assicurare una vita migliore si adoperi per ripensare alcuni paradigmi degli allevamenti, pronto al dialogo con la gente o almeno con quella che desidera un mondo migliore. Comunque, è certo che è stato commesso il grave errore di non raccontare la verità degli allevamenti e del fine vita degli animali all’opinione pubblica. Questo ha creato sospetti e pregiudizi che non sarà facile sfatare. Gli allevamenti non hanno nulla di cui vergognarsi ma, come abbiamo detto più volte, le “mele marce” vanno anche brutalmente isolate perché fanno male oltre che a sé stesse, anche alla reputazione della categoria. È poi necessario fare i dovuti cambiamenti strutturali e gestionali che fughino tutte le perplessità della gente, e riprendere senza indugi e a testa alta quel cammino insieme agli animali iniziato 8000 anni fa che ha dato vantaggi sia alla specie umana che alle specie domesticate.

 

 

Per l’immagine di copertina ringraziamo il Dott. Marco Poggianella.